Il terrorismo e noi

di 
Piero Fassino

Antonio Megalizzi non ce l’ha fatta. E con lui altre tre vittime innocenti, colpite a morte a Strasburgo dalla furia omicida di un fanatico jihadista. Un altro terribile attentato che si aggiunge alle tragedie vissute in questi anni a Parigi, Madrid, Bruxelles, Londra, Monaco, Nizza, Berlino, Barcellona, Manchester, Stoccolma: le tante stazioni di una via crucis che ha funestato l’Europa, seminando dolore e paura.
Un terrorismo che si alimenta di fanatismo religioso, rancore sociale, odio vendicativo e che recluta i suoi giovani attivisti nelle banlieux delle capitali europee, là dove i percorsi di integrazione precipitano spesso in emarginazione, precarietà e esclusione. Giovani la cui quotidianità esistenziale è spesso segnata da attività illegali che li conducono in carcere dove la predicazione jihadista li trasforma in “combattenti di Allah”.  Un terrorismo arcaico nella sua brutalità e al tempo stesso capace di utilizzare il web e gli strumenti digitali per diffondere la propria estremistica predicazione. Un terrorismo praticato non solo da  cellule organizzate, ma spesso da “lupi solitari” indotti all’azione assassina dal clima di odio antioccidentale, antieuropeo, anticristiano e antiebraico profuso dal radicalismo islamico.
Sopratutto un terrorismo che persegue una strategia diversa da quella praticata dal terrorismo politico conosciuto in Italia e in Europa negli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso. Allora le organizzazioni terroristiche, altrettanto feroci nella loro crudele violenza, selezionavano le vittime nel loro valore simbolico di rappresentanti dello “Stato da abbattere” - magistrati, giornalisti, carabinieri, agenti di polizia e di polizia penitenziaria, sindacalisti, dirigenti di impresa, uomini politici - con l’obiettivo di isolarli dalla società e delegittimarli agli occhi dei cittadini. Dall’assalto alle Torri Gemelle di New York in poi il terrorismo jihadista ha perseguito la strategia opposta: colpire chiunque e ovunque per far sì che qualsiasi persona tema di esserne bersaglio, diffondendo così nelle opinioni pubbliche un generale clima di paura e di angoscia. E l’attacco si concentra contro l’Europa, il continente dove più sono radicati, affermati e riconosciuti i diritti fondamentali che presiedono alla convivenza democratica e tutelano le libertà collettive e individuali delle persone. Quei valori dell’occidente che escludono guerre di civiltà e di religione che il jihadismo predica e fomenta.
Proprio per questo non possiamo, non dobbiamo rassegnarci a convivere con una violenza omicida. Serve un sussulto democratico, una mobilitazione della coscienza civica, un’azione quotidiana di rifiuto della violenza per far prevalere le ragioni della convivenza, del rispetto della dignità umana, dei diritti irrinunciabili di ogni persona. Un sussulto democratico che eviti la tentazione di rispondere al fanatismo islamico con la rinuncia alle politiche di integrazione, convivenza, multiculturalità e multireligiosita. Perché proprio a questo mira il radicalismo: scavare un solco incolmabile tra persone di diversa cultura e diversa fede, fomentare una guerra di civiltà, lacerare la società con un odio inestirpabile.
Abbiamo celebrato da pochi giorni il 70esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Diritti ancora negati e repressi in troppi luoghi del pianeta. Ovunque un uomo, una donna è oppresso o oppressa per le opinioni che esprime, per i diritti che rivendica, per il dio che prega, per l’etnia e il genere a cui appartiene, per il colore della sua pelle, per l’orientamento sessuale che ha scelto, lí si consuma una violenza che ferisce e indebolisce i valori su cui deve fondarsi un mondo libero e giusto.

Valgono le parole di una fervente sostenitrice dei diritti umani quale fu Eleanor Roosevelt: “Dove iniziano i diritti universali? In piccoli posti vicino a casa, così vicini e così piccoli che non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona: il quartiere dove si vive, la scuola che si frequenta, la fabbrica o l’ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità “.
Quando un anno termina e uno nuovo inizia ci si augura che il domani sia migliore di ciò che si lascia alle spalle. È giusto, ma non può essere solo un auspicio. Dipende da ciascuno di noi, dai nostri comportamenti individuali e collettivi far sì che il 2019 sia davvero un anno di affermazione delle ragioni della giustizia e dei diritti contro ogni forma di intolleranza, sopraffazione, violenza.
A tutti i migliori auguri miei personali e del CeSPI per un Buon Natale e un Buon Anno nuovo.