Una casa comune europea

Nicola Pellicani
Deputato della XVIII Legislatura, segretario della Fondazione Pellicani e promotore del Festival della politica.

Uno dei padri fondatori dell’Europa unita, Jean Monnet, aveva ben chiaro che “l'Europa sarebbe stata costruita attraverso le crisi” e in passato ne ha superate molte, tocca a noi oggi trovare la forza per proseguire in questo percorso. Il prossimo maggio infatti si voterà il rinnovo del Parlamento Europeo e, per la prima volta da quando è eletto a suffragio universale (1979), le forze antieuropeiste potrebbero raggiungere percentuali capaci di condizionare pesantemente il futuro dell’Europa tanto da mettere perfino in discussione la sua esistenza.

L’alternativa che gli elettori si troveranno davanti è molto semplice: il campo sovranista spinge per un ripristino degli Stati nazione a discapito del progetto federalista. Seppur le differenze nel campo sovranista siano moltissime, è un fronte capace di individuare bene il nemico, lo straniero, comunque esso si presenti, indicando l’Unione Europea e il processo di globalizzazione in atto come responsabile di ogni male possibile. Il Fronte sovranista ha una linea politica molto chiara, ovvero bloccare ogni processo di ulteriore integrazione destrutturando quei (pochi) poteri sovranazionali che l’Unione è riuscita a darsi nel suo complicato cammino. Un disegno che trova corrispondenza in molte scelte fatte da paesi come gli Stati Uniti nell’era di Trump, paesi cerniera tra oriente e occidente come Turchia e Israele, potenze globali come la Russia e la Cina. La posta in gioco è quindi altissima: è tutto il sistema di relazioni internazionali costruito faticosamente dopo la seconda guerra mondiale ad essere sotto attacco, dal Wto alla Nato ad appunto l’Unione Europea.

In Italia abbiamo un governo di fatto ostile all'Unione Europea, sempre ambiguo sulla moneta unica, che non ha mai pronunciato una parola chiara contro la politica filorussa della Lega, sempre pronto a tendere la mano al Gruppo di Visegrad e alle politiche sovraniste da esso propugnate, forte dell'asse Salvini-Orbán che punta a minare le fondamenta della coesione europea. L’Italia sta quindi diventando parte importante di una serie di Paesi che puntano alla disgregazione dell’Europa in nome “del popolo”, un popolo dipinto come coeso, compatto, dotato di una volontà chiara e precisa. Contrapporre il popolo alle democrazie rappresentative è una formula vecchia e più volte sperimentata che, dove è riuscita, ha portato al potere incontrollato di pochi instaurando regimi in cui il rapporto non è tra istituzioni democratiche e cittadini, ma tra leader e “popolo”. C’è un forte rischio che si affermino democrazie del tutto illiberali in molti paesi dell’Europa, a partire dall’Italia.

La sinistra deve trovare la forza di darsi una proposta credibile e con obiettivi semplici e chiari. Dobbiamo essere consapevoli che la crisi dell’Unione Europea è reale, i sovranisti sono l’effetto di tale difficoltà non certo la causa. Basti pensare al tema degli immigrati: molti governi in cui forze aderenti al PSE sono al governo si sono comportanti in maniera del tutto irresponsabile rifiutando di elaborare una politica dell’accoglienza (quanto potrà ad esempio l’SPD sostenere un governo che ha come ministro dell’Interno chi spinge per chiudere i confini tedeschi con l’Austria e i paesi limitrofi?). Ma allo stesso tempo c’è molto da lavorare per trovare politiche di sviluppo capaci di generare occupazione. Non si può negare che l’Unione Europea si sia chiusa in aridi algoritmi economici. Le sfide sono enormi, viviamo in società dove l’organizzazione laboriale novecentesca è stata spazzata via e siamo legati ad una globalizzazione che ha portato crescita economica, ma ha anche distribuito la ricchezza in maniera del tutto ineguale. La crisi della sinistra viene da lontano, tutti ne siamo consapevoli, e non siamo stati in grado di trovare formule che riuscissero dove la socialdemocrazia europea invece è riuscita nel ‘900, a garantire sviluppo e un benessere diffuso. La sinistra fa sempre più fatica a parlare proprio agli strati della popolazione che per carenza di risorse immateriali e materiali faticano ad avvantaggiarsi dell’estensione dei diritti individuali e dei processi di globalizzazione. Ovvero non è capace di parlare con quello che dovrebbe essere il suo elettorato di riferimento, le persone meno attrezzate ad affrontare le sfide del terzo millennio.

Come fare? Esistono molte europe ma manca l’Europa. La Germania insiste nel difendere un attivo commerciale che danneggia altre economie europee, l’Euro resta una moneta incompiuta, il costo della macchina burocratica europea è sfuggito da ogni controllo... Ma la cosa più grave è che l’opinione pubblica europea non considera più essenziale lo stesso progetto europeista, come si è visto in Gran Bretagna. E senza la potenza dei simboli non si possono vincere le elezioni. La politica a sinistra deve tornare a vivere di progetti e principi indisponibili coinvolgendo nel progetto di rifondazione culture ed energie presenti nella nostra società, ad ora sempre più isolate e scoraggiate.

Va in questa direzione l'appello promosso da Massimo Cacciari, Giacomo Marramao, Biagio De Giovanni e altri intellettuali, che ha già raccolto migliaia di adesioni, per cercare di far emergere con chiarezza l’importanza di una casa comune europea. Ma non basta. I prossimi mesi saranno fondamentali affinché le sinistre europee riescano a ricompattarsi attorno a pochi e chiari punti in grado di rilanciare l’Unione Europea. Il PD in questo ha un ruolo fondamentale rivestendo nel Partito Socialista europeo un ruolo importante: la risposta alla crisi transnazionale che stiamo vivendo non è elaborare un programma italiano, tedesco, francese, greco, ecc. ma costruire un’agenda della sinistra europea.

Da qui a maggio dobbiamo trovare poche ma chiare parole d’ordine oltre che ricette realizzabili per affrontare una campagna elettorale che si preannuncia difficilissima. Intanto potremmo tutti cominciare rileggendo il Manifesto di Ventotene, un documento che ben evidenzia i rischi del pensiero sovranista di ieri e di oggi, un documento imprescindibile per coltivare la memoria che anche la sinistra ha molte volte smesso di studiare abbandonandosi a facili nuovismi.

Queste sono le parole dell'ultimo paragrafo, che rappresentano un ottimo punto di partenza: “Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.”