Ripensare l’Europa

Alessandra Ballerini, Mario Bova, Alberto Bradanini, Tana de Zulueta, Maurizio Gressi , Gian Giacomo Migone
A. Ballarin, Avvocato; M. Bradanini, già ambasciatore d'Italia a Teheran e a Prchino; M. Bova, già ambasciatore a Tirana, a Tokyo e direttore generale per l'Unione europea; T. de Zulueta, giornalista ed ex parlamentare, M. Grezzi, consigliere politico parlamentare; G.G. Migone, presidente della Commissione affari esteri del Senato (1994-2001)

"La strada verso "un'altra Europa" va ripresa con grande energia. Oltre 500 milioni di persone non possono restare privi di una voce a livello globale, né un futuro mondo pluricentrico può essere privato di un polo che, ispirato alle pagine più alte della sua storia, tenda verso maggiore eguaglianza, libertà, democrazia. Tuttavia, ciò può soltanto avvenire partendo da una piena consapevolezza dei gravi effetti prodotti dalle disfunzioni dell'attuale assetto europeo. Il nostro gruppo ritiene che una profonda conoscenza di tali disfunzioni, da approfondire nelle più diverse sedi, sia imprescindibile per costruire gli assi portanti di un nuovo progetto di Europa, che consenta il superamento degli attuali limiti: quelli relativi alla rappresentatività politica e democratica; il ricorso continuativo a procedure intergovernative; la politica di austerità fiscale a spese di cittadini e stati più deboli, e a favore di interessi finanziari preponderanti e privilegiati; la mancanza di una governance politica e democratica dell'eurozona. Il progetto di una Nuova Europa deve rendere le istituzioni politiche europee realmente democratiche; introducendo la responsabilità politica della Commissione nei riguardi del Parlamento, che dovrà diventare l’istituzione cardine del nuovo impianto, dotato dunque di poteri legislativi e di vigilanza politica sull’operato della Commissione europea. Occorre da subito cancellare il fiscal compact, contrastare le diseguaglianze; creare una politica estera comune e una difesa integrata; perseguire una politica dell'immigrazione fondata su equità distributiva degli oneri, su principi umanitari di rispetto della dignità e della vita del migrante, su meccanismi efficaci di accoglienza, sulla valutazione dei problemi demografici che investono i Paesi europei, sulla promozione di adeguate politiche di cooperazione e sviluppo nei confronti dei Paesi di provenienza. I principi democratici, a suo tempo sanciti dalla Dichiarazione di Copenhagen, devono essere rispettati dai membri – a cominciare dai c.d. governi di Visegrad – oltre che da nuovi stati membri. Ne consegue peraltro l'urgenza di un obiettivo ormai dimenticato: la costituzione di un seggio permanente europeo che rafforzerebbe la legittimazione, oltre che dell’Europa, dello stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in un mondo ormai multipolare. Si tratta, va detto, di una battaglia assai difficile, in un contesto ormai obsoleto, in cui la Francia non ha mai accennato alla disponibilità di rinunciare al suo seggio, mentre la Germania continua a perseguire l’obiettivo di entrare nel CdS con un seggio permanente e il Regno Unito è ormai avviato su un percorso fuori dall’Ue.

La moneta comune ha trovato nel passato la sua giustificazione storica quale primo, cruciale traguardo per arrivare un giorno a costruire un’autentica federazione europea.

Tale può restare soltanto a condizione che siano realizzati obiettivi essenziali, quali l’armonizzazione fiscale e la governance politica. Finora la moneta unica si è risolta in un meccanismo di tutela degli interessi (politici, non soltanto economici) dei paesi più forti, in primo luogo della Germania, e di irrecuperabile arretramento dei paesi meno competitivi, come l'Italia, favorendo prevaricazioni dei primi contro i secondi: una situazione del tutto insostenibile che mina alle fondamenta il progetto di un'Europa comune. È ad esempio ben noto che la Germania stigmatizza senza pietà l'elevato debito pubblico italiano e di altri stati, ma si guarda bene dall'usare lo stesso metro di giudizio nei riguardi del proprio forte surplus commerciale, sistematicamente superiore al 6%, limite massimo stabilito dai parametri europei. In tal modo risulta artificialmente alto il valore della moneta europea, a danno degli altri paesi dell’eurozona, contribuendo a perpetuare uno scompenso prevedibilmente fatale per l’euro e forse per la stessa Unione Europea. Deve essere alta la consapevolezza italiana di tali disfunzioni e del danno insopportabile, in via di ulteriore aggravamento, subito dall'Italia. Le politiche confuse e conservatrici passivamente perpetrate in passato dai nostri Governi non sono oggi più tollerabili.

Sono le strategie economiche dell'UE che vanno drasticamente rinnovate. L'Europa deve essere un motore di crescita sostenibile, non un ostacolo alla creazione di ricchezza. La Banca Centrale Europea, come la statunitense Federal Reserve, deve perseguire l’obiettivo della crescita e della lotta alla disoccupazione e non solo quello del controllo dell’inflazione, in collaborazione con le istituende istituzioni europee democratiche. È altresì da non dimenticare che le politiche di austerità, applicate senza correttivi, distruggono ricchezza, specie quando un paese è gravato da un elevato debito pubblico.

L’Italia deve lavorare, da subito, insieme ad altri paesi europei, per promuovere indispensabili correttivi, quali l’esclusione dal patto di stabilità delle spese in infrastrutture di interesse comune, e investimenti ad alto moltiplicatore capaci di dare un contributo rilevante sia alla domanda che all’occupazione. Una battaglia politica che, per essere credibile, dovrà tuttavia essere accompagnata, nell'ambito nazionale, da politiche di efficace risanamento, quale un’azione molto più decisa di lotta all’evasione fiscale e alla corruzione, di contrasto alle mafie e agli sprechi di denaro pubblico, di lotta alle disuguaglianze, di promozione della cultura e della formazione.

Un’Europa Unita è prospettiva e futuro, anche per una generazione che se ne sente già parte. Essa costituisce anche un antidoto – parte essenziale dell’identità storica della sinistra italiana -  ad una degenerazione della nostra politica transatlantica che occorre riconoscere e correggere.

Crediamo che tale strategia di crescita politica, economica, democratica dell'Europa non debba e non possa essere demandata alla destra che, per sua sensibilità, e vocazione, è ispirata da grandi potentati economici e finanziari, dall'interesse di nazionalismi; è frequentemente condizionata da populismi opportunistici e strumentali, da suggestioni autoritarie; da una prevaricazione dei diritti dei deboli. È invece  ricercando nel progetto europeo l'affermazione di obiettivi di eguaglianza, democrazia, di cultura solidale, di crescita dei diritti civili e del welfare, di convivenza pacifica tra i popoli, ci appare imprescindibile che la costruzione di una diversa Europa attinga ai valori di una nuova sinistra e diffidi radicalmente di quanti nel parlamento italiano guardano come proprio modello agli schemi brutali del lepenismo, di Orban, dell'Europa di Visegrad o alla stessa miope, attuale percezione di un'Europa malata, conservatrice ed burocratica che trova nella violazione costante del principio di sussidiarietà un surrogato alla sua mancanza di consapevolezza e vocazione politica."