L'integrazione europea nell'epoca della post-democrazia

Vincenzo Grassi
Segretario Generale dell’Istituto Universitario Europeo.

Il presente  contributo costituisce l’espressione di personali visioni dell’autore e non rappresenta , in alcun modo e a nessun titolo, posizioni ufficiali dell’Istituto Universitario Europeo.

Le 7 domande individuate nella meritoria riflessione di Marco Piantini ne contengono implicitamente numerose altre.

Innanzi tutto, appare necessaria una premessa. La crisi del modello di integrazione europea non può essere separata da fenomeni di più ampia portata che interessano l’insieme della comunità internazionale e della stessa civilizzazione materiale.

L’Unione Europea è nata e cresciuta in un contesto storico determinato.

Le nuove tecnologie informatiche e della comunicazione, l’irruzione della potenza economica asiatica e l’esplosione demografica africana (solo per menzionare tre “mega-trends”) hanno mutato profondamente gli scenari ereditati dalla Guerra Fredda e dai primi decenni successivi alla caduta dell’Impero sovietico.

I modelli politico-istituzionali elaborati dal pensiero occidentale e poi resi universali da varie forme di colonizzazione ed imperialismo (culturali ancor più che militari) non possono più essere considerati come irreversibili

Gli schemi di Montesquieu e Smith hanno retto, con significativi adattamenti, per quasi 3 secoli ma sono ormai in via di superamento. La democrazia rappresentativa - basata sulla separazione dei poteri e sull’esistenza di formazioni politiche organizzate - e l'economia capitalista - fondata sulla produzione di beni e sul reinvestimento dei profitti - non costituiscono formule organizzative destinate a perpetuarsi nel lungo termine.

Forze contrastanti concorrono ad abbatterle: da un lato, il velleitario ma vigoroso ritorno a nazionalismi, etnicismi, identitarismi religiosi; dall'altro, le rivendicazioni settoriali di specifiche "tribù", digitalmente organizzate e caratterizzate da variegate appartenenze di genere e di stile e quindi non più legate, come i vecchi partiti, ad ordini e classi organici ( LGTB, vegani, animalisti invece di operai, contadini, impiegati, proprietari).

Nel campo del diritto, queste tensioni comporteranno una crescente difficoltà a varare normative erga omnes prefigurando un possibile ritorno a forme di diritto personale (come nel vecchio impero ottomano).

Nel contempo, rischia di accrescersi la divaricazione tra previsioni normative e prassi degli apparati di potere che favoriscono, ad esempio, l'esplosiva coesistenza di avanzatissime legislazioni in materia di protezione dati e di estesissime intrusioni nella sfera privata di ogni singolo cittadino.

Come in ogni cambiamento d’epoca, i rivolgimenti sociali e il rimescolamento di valori e di posizionamenti generano disorientamento nonché la tendenza a individuare capri espiatori come scorciatoia per fornire risposte semplici a questioni complesse.

Questo meccanismo, efficacemente descritto da Gramsci, è valido anche nell’epoca di Zuckerberg e degli hackers di Stato.

L’ossessione del complotto demo-pluto-giudaico-massonico del secolo scorso è stata sostituita dalla presunta congiura delle élites cosmopolite (di cui gli eurocrati sarebbero insidiosi vettori) .

La velocità di circolazione delle paranoie di massa è però straordinariamente aumentata così come la capacità di autoalimentazione delle medesime giacché, in rete, produttori e consumatori di informazione distorte e dati manipolati sostanzialmente coincidono.

L’Unione Europea è vittima quindi del collasso delle forze che l’avevano creata (partiti, agenti economici, classi intellettuali) oltre che di proprie contraddizioni intrinseche.

Il Trattato di Maastricht ha segnato uno spartiacque. Dopo la decisione di passare alla Moneta unica condividendo così un elemento fondamentale della sovranità, l’ambigua (ma fino a quel momento fruttuosa) coesistenza tra ispirazione federalista e prassi funzionalista non poteva proseguire.

Occorreva compiere l’ultimo passo. Ma è mancato il coraggio. Sono state inventate formule originali e bizantine (la struttura a pilastri con la navata comunitaria e i corridoi intergovernativi: la Federazione degli Stati-Nazione; i vari controlli di legittimità democratica elaborati dalla Corte di Karlsruhe) pur di non sciogliere il nodo centrale.

Ci fu il tentativo della Convenzione ma il passaggio dal Trattato costituzionale respinto in via referendaria al Trattato di Lisbona faticosamente approvato ed entrato in vigore è la cronaca di un fallimento.

Per circa tre lustri, l’Unione Europea ha pigramente vivacchiato sulla base di una frode intellettuale spacciando alle pubbliche opinioni la nozione di Unione Economica e Monetaria laddove la seconda esisteva sulla base di un robusto modello istituzionale imperniato sulla indipendenza della BCE mentre la prima non era altro che un blando sistema di coordinamenti.

La crisi del 2007-2008 ha spazzato via illusioni e malintesi. L’Unione Europea è stata dotata in tempi rapidi e con modalità discutibili di una rigorosa disciplina di bilancio e di un sistema di regole deflazioniste che hanno determinato in taluni Stati membri desertificazione economica e traumatiche rotture nella coesione della compagine sociale.

La BCE ha salvato l’EURO ma nessuno ha salvato l’ispirazione solidarista dell’ideale europeo.

La Sinistra (sia riformista che antagonista) è stata vittima collaterale di questa resa dei conti.

Molti Stati membri vedono ormai nell’Europa uno strumento di realizzazione di obiettivi nazionali, non più un luogo di valori condivisi. I britannici hanno preferito voltare le spalle ad un sistema che avevano crivellato per 40 anni di deroghe ed “opt-out”.

Le istituzioni comuni (in primo luogo la Commissione) hanno perso credibilità quali garanti di interessi sovranazionali e la loro terzietà ed indipendenza sono ormai compromesse.

Difficile immaginare un punto di ripartenza senza una dolorosa analisi autocritica sugli errori commessi.

Nel breve periodo, la priorità è sicuramente quella di salvare il salvabile soprattutto di preservare il massimo possibile dell’acquis normativo e giurisprudenziale.

Intorno a questa difesa, si potrebbero costituire alleanze volte ad esaltare il ruolo europeo nel fronteggiare le grandi sfide transnazionali (in primo luogo la lotta al cambiamento climatico dove la “leadership” dell’Ue  malgrado tutto resiste ed è ancora internazionalmente riconosciuta).

Senza troppo vagheggiare su marcusiane coalizioni di minoranze, si deve comunque puntare sulla mobilitazione di quelle forze (ambientalisti, consumatori, industrie innovative) che più soffrirebbero dall’adozione delle politiche neo-autarchiche suggerite dai movimenti eurofobi.

Si tratta di un sentiero stretto che richiede una condizione preliminare: l’abbandono di una politica economica monomaniacale che subordina ogni prospettiva di sviluppo alla riduzione dei deficit e dei disavanzi.

Per una paradossale astuzia della ragione, le asprezze dell’Amministrazione Trump potrebbero indurre alcuni Stati membri a considerare nuovamente l’Europa come una rete di protezione e non come uno spazio da utilizzare per il perseguimento di interessi nazionali di breve periodo.

La Politica Estera e di Sicurezza potrebbe pure offrire l’opportunità per un rilancio, almeno settoriale, della dimensione europea. Vista dall’esterno, l’Unione Europea è ancora un fattore di potenziale stabilità ed un affidabile punto di riferimento in aree come la cooperazione allo sviluppo, il commercio internazionale, la promozione della pace attraverso il dialogo. Il prezioso lavoro svolto in questi anni dalla Vice Presidente Mogherini ha contribuito ad evitare all’Unione Europea una crisi di sfiducia esterna comparabile a quella che si registra all’interno degli Stati membri.

Più ampie assunzioni di responsabilità politiche e finanziarie nel campo della Difesa potrebbero concorrere a rimotivare classi dirigenti ostili od esitanti rispetto ad investimenti di respiro europeo.

A titolo di considerazione conclusiva, occorre riconoscere che un’ulteriore disgregazione dell’Unione Europea non può essere esclusa. L’esito delle prossime elezioni per il rinnovo del Palamento Europeo, nuove turbolenze economico-finanziarie, una eccessiva discontinuità nella guida della BCE rappresentano altrettanti fattori di rischio.

Ma la battaglia per l’obiettivo dell’unificazione politica dell’Europa proseguirà in ogni caso giacché tale obiettivo costituisce un imperativo etico-politico ed un interesse concreto.

Il confronto tra l’Europa vergognosa delle trincee e dei campi di sterminio (che ha visto gli Stati nazionali nel ruolo di sanguinosi protagonisti) e l’Europa luminosa dei Diritti dell’Uomo e delle tutele sociali a protezioni dei più deboli continuerà a percorrere la storia del nostro Continente.

Soltanto attraverso estese condivisioni di sovranità all’interno di un sistema giuridico-istituzionale equilibrato, le antiche Nazioni europee potranno mantenere una voce ed un’influenza in un quadro che sarà verosimilmente caratterizzato nei prossimi decenni dal potere di grandi Stati imperiali (Stati Uniti, Cina) e dalla invadenza di enormi conglomerati che gestiranno l’economia dell’intelligenza artificiale e le nuove forme della produzione e del lavoro.