Europa, certamente. Ma l'europeismo non basta

Lorenzo Robustelli
Direttore di Eunews

Quando si parla di interesse e partecipazione all'Unione europea spesso si fa un errore: si dà un gran valore all’“europeismo”. Una cosa che a un livello sussidiario non facciamo considerando lo “statalismo”, quando si valuta l'interesse di un italiano, o di un francese, ad avere uno Stato nazionale che si occupa di risolvere i suoi problemi e di offrire opportunità. Certo che ai cittadini questo interessa, ma non c'è necessariamente una spinta ideale: la cosa è molto più pragmatica.

Indubbiamente, in tutti e due i casi ci sono coloro che “ci credono”, che credono all'Europa unita per motivi ideali, e quelli che credono nell'idea della patria. Ma sono una minoranza, in entrambi i casi. E sono anche le minoranze meno utili, perché appunto ideologiche, dunque spesso poco pratiche; ma soprattutto le loro posizioni richiedono un'elaborazione di pensiero per essere condivise, richiedono conoscenze, confronti, analisi. Insomma, una cosa un po' complicata che la maggior parte dei cittadini neanche immagina possa esistere.

I cittadini, intendo la gran parte di noi, non chiedono afflati ideali e obiettivi romantici da raggiungere. Chiedono di poter vivere in pace, decorosamente, avere un lavoro, poter accedere alle cure mediche, avere una casa (magari di proprietà), poter andare in vacanza, poter far studiare i figli e offrire loro un futuro. E poi di andare in pensione, magari non troppo a ridosso dell'ultimo giorno di vita e godersi i nipoti.

Finché queste cose le hanno avute - o hanno per lo meno avuto la percezione di poterle avere in un futuro non lontano - gli italiani, e anche tanti europei, hanno accettato di definirsi “europeisti”; e soprattutto lo hanno fatto quando ancora erano numerosi gli esponenti delle generazioni che avevano vissuto la guerra mondiale o ne avevano sentito parlare da chi l'aveva vissuta. La banalità del bene, oserei scrivere.

Pian piano la questione che l'Ue ha garantito 70 anni di pace è diventata un ritornello senza senso per chi ha meno di 40 anni, e neanche immagina più che possano esserci guerre tra francesi e tedeschi o spagnoli e britannici, o di tutti contro tutti. Questo enorme valore è saltato: in parte è anche giusto che sia così, che la pace sia “normale”, ma di fatto è venuto meno un importante motivo che ha decisamente concorso alla nascita e alla crescita dell'Europa unita. Perché, diciamolo con coraggio, Altiero Spinelli ha fornito un contributo intellettuale fondamentale per la nascita dell'Unione, ma se non ci fossero state ragioni economiche vere che ne consigliavano la creazione il progetto di Spinelli sarebbe rimasto a Ventotene.

E poi gli altri punti delle aspettative dei cittadini. Quante di quelle che ho elencato sopra sono pienamente soddisfatte per la larga maggioranza dei cittadini? Poche, forse nessuna; anche il diritto alla salute è traballante. Ma bastano le ultime due aspettative a spiegare molto: pensione e nipoti. Due elementi che stanno sparendo, con le pensioni pagate sempre più tardi e sempre meno, mentre i nipoti semplicemente non nascono. La mancanza di aspettative può avere effetti diversi, può deprimere o rendere rabbiosi. In Italia quel che il sistema, tutti noi, abbiamo favorito è stata la rabbia. Come è stato scritto già da altri in questo dibattito, i politici più fomentatori hanno dominato la comunicazione negli ultimi anni perché, dicono coloro che confezionano programmi Tv o anche giornali, “funzionano”. E il fenomeno è vero in Italia, come lo è ormai anche alla Bbc.

La risposta alla crisi è dunque fornire risposte, è dunque entrare nel dibattito ora becero sui social media e interloquire con gli arrabbiati, anche se qualunquisti o “populisti” (metto tra parentesi questa parola perché andrebbe ogni volta definita, ma è un tema a parte). Bisogna saper tornare ad offrire prospettive, a partire dal far capire il valore della pace, dal garantire un lavoro, una pensione, una casa, dei nipoti. La questione, è chiaro, non è riflettere e proporre un modello “europeista”, perché si salterebbe una tappa, quella di capire qual è il sistema economico e politico, che si va creando in questo nuovo millennio e che è completamente differente da quello passato, in cui gli schemi produttivi e sociali sono del tutto diversi e che ancora, credo, non abbiamo colto e non siamo in grado di gestire.