Quo vadis Ikhwā'n?

Roberta La Fortezza
Analista di Intelligence e sicurezza per la regione MENA e il Sahel

Nel periodo successivo al moto rivoluzionario regionale del 2011, i movimenti legati agli al-Ikhwā'n al-muslimū'n (“Fratelli Musulmani”) hanno utilizzato la fine dei regimi dittatoriali e i processi elettorali che si sono aperti nella regione Middle East and North Africa (MENA) per trovare nuovi e più ampi spazi all’interno dei singoli panorami politici nazionali. Soprattutto in anni segnati da gravi difficoltà economiche in molti dei Paesi MENA e dall’emergere del terrorismo internazionale, i partiti che si rifacevano al movimento degli Ikhwā'n sono risultati nella posizione migliore per poter affermare la propria forza sociale anche attraverso le urne. Il loro impegno decennale nel sostenere la popolazione dal punto di vista sociale e la loro divulgazione a favore di un sistema che integrasse i più emarginati e che assicurasse un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, ha infatti garantito loro una consistente base elettorale di riferimento tra le masse chiamate al voto dopo il 2011. D’altro canto, il loro discorso, certamente conservatore soprattutto dal punto di vista sociale ma indubbiamente moderato rispetto a quello dei gruppi salafiti che andavano diffondendosi nella regione, ha in parte contribuito ad attutire il peso dell’ideologia salafita e ha reso i movimenti legati agli Ikhwā'n più adatti a governare poiché pronti ad accettare forme moderne di organizzazione e attività politica.  

Oggi, a più di un decennio dalle rivolte del 2011, il declino politico e sociale, soprattutto nel Maghreb, dei movimenti legati organicamente o ideologicamente agli Ikhwā'n appare evidente, segnalato soprattutto dai più recenti appuntamenti elettorali e accompagnato dalla ripresa dei processi di repressione e polarizzazione sociale e politica che già in passato avevano caratterizzato il rapporto tra Ikhwā'n e potere centrale. Dal punto di vista elettorale, infatti, i partiti collegati agli Ikhwā'n hanno recentemente perso posizioni in quasi tutti i paesi in cui erano riusciti a ottenere un ruolo primario in termini di consensi e di potere politico. In Egitto, dopo il breve passaggio alla presidenza del leader degli Ikhwā'n egiziani, Mohammed Morsi, l’arrivo al potere del Generale ʿAbd al-Fattāḥ al-Sīsī ha riportato il movimento ai margini della vita politica egiziana, riproponendo i tradizionali meccanismi di repressione adoperati anche nei decenni della presidenza Mubārak. Del resto, altresì in quei contesti nazionali del Maghreb in cui sono riusciti a restare nelle maglie del potere politico anche in anni più recenti e non hanno subito la medesima repressione a cui si è assistito in Egitto, o non sono stati cacciati dal potere manu militari come in Sudan, i partiti collegati agli Ikhwā'n hanno subìto un processo pubblico avente l’obiettivo, più o meno tacito, di emarginarli dal potere; in tale contesto sono stati spesso etichettati come entità non democratiche e finanche come gruppi terroristici, assimilati sovente a quei gruppi radicali di matrice salafita che avevano contribuito ad arginare negli anni precedenti.

Il fallimento politico più spettacolare si è registrato in Marocco dove, alle elezioni legislative dell'8 settembre 2021, il Parti de la Justice et du Développement (PJD), al governo da un decennio, ha subìto una vistosa battuta d'arresto: dopo essere stato a lungo il partito con il maggior numero di seggi, nelle elezioni del 2021 ha conquistato solo un decimo dei seggi (13 rispetto ai 125) rispetto alle precedenti elezioni del 2016. Meno grave è apparsa la situazione del Mouvement de la Société pour la Paix (MSP), il principale partito algerino collegato al movimento degli Ikhwā'n, in seguito alle elezioni del 12 giugno 2021. Sebbene l’MSP abbia ottenuto 65 seggi, migliorando la propria posizione rispetto alle elezioni del 2017, quando aveva ottenuto 34 seggi, l’MSP non è riuscito a superare il principale partito algerino, il Front de Libération Nationale (FLN) e ha ottenuto pochi seggi più del secondo partito dello scenario algerino, il Rassemblement National Démocratique (RDN). Ciò appare tanto più emblematico se si considera il contesto in cui si sono tenute le elezioni del 2021: i due partiti al potere in Algeria ormai da decenni, l’FLN e l’RDN, sono stati fortemente screditati dall’ondata di proteste dell’Hirak nata nel 2019. Questo avrebbe dovuto favorire, in teoria, i partiti degli Ikhwā'n, soprattutto se si considera che l'Hirak non è riuscito a strutturarsi politicamente e non ha dunque presentato propri candidati, mentre l'opposizione laica ha boicottato le votazioni. Inoltre, la stessa affluenza alle urne, pari a solo il 23%, avrebbe dovuto costituire un’opportunità concreta per partiti con un nucleo elettorale e un apparato politico, quale quelli degli Ikhwā'n, relativamente esclusi dagli scandali, soprattutto corruttivi, che al contrario hanno interessato i partiti che gravitano intorno a “le Pouvoire” algerino. Infine, in Tunisia, il partito Ennahdha pur avendo ottenuto la maggioranza alle elezioni del 6 ottobre 2019 è stato ben presto emarginato dalla vita politica tunisina con la decisione dal Presidente Kaïs Saïed del 25 luglio 2021 di attivare la clausola di eccezionalità giuridica ex art. 80 della Costituzione. Le difficoltà economiche, aggravate dalla pandemia Covid-19, l’inadeguatezza istituzionale di molti degli uomini di Ennahdha, la mancanza di prospettive per i tunisini, soprattutto tra le classi più giovani, sono stati tutti fattori fondamentali che hanno costituito la base imprescindibile per la decisione del 25 luglio. Il Presidente tunisino, infatti, percependo, e fomentando in parte, il crescente malcontento della popolazione soprattutto nei confronti di Ennahdha, partito di maggioranza, si è sentito in una posizione abbastanza comoda per impegnarsi in uno scontro diretto con il partito di Rached Ghannouchi, estromettendolo ormai de facto dal potere.

Probabilmente, proprio la partecipazione diretta dei partiti legati agli Ikhwā'n nella gestione della res publica e il loro protagonismo nello spazio politico dopo il 2011 hanno posto le basi per il declino politico a cui si assiste oggi. Il 2011 è stato, infatti, per molti partiti legati agli Ikhwā'n l’anno che ha segnato il definitivo passaggio da un partito basato sul proselitismo morale all’interno della società di riferimento, a un partito che ha attivamente collaborato alla definizione delle istituzioni statuali e al loro funzionamento. La partecipazione alla vita pubblica ha evidenziato, in molte occasioni, l’impreparazione dei vertici degli Ikhwā'n a governare; inoltre, le sfide che i movimenti legati agli Ikhwā’n hanno dovuto affrontare negli ultimi anni in termini di rivisitazione della propria impostazione ideologica sulla base dei principi di moderazione e di partecipazione pacifica alla vita politica statuale non hanno portato a una riduzione della disuguaglianza sociale e ai benefici che la popolazione si attendeva. Al contrario, i membri degli Ikhwā'n hanno iniziato a vivere di quelle stesse logiche clientelari, corruttive, di clientelismo, nepotismo e collusione che dal punto di vista ideologico sostenevano di voler combattere. L’attenzione primaria da parte della membership degli Ikhwā'n alla conservazione delle posizioni politiche e sociali raggiunte e l’inserimento nei tradizionali meccanismi di gestione del potere ha fatto aumentare le recriminazioni da parte della base elettorale contro i partiti collegati agli Ikhwā'n. D’altro canto, lo stesso discorso veicolato da questi partiti a livello sociale non si è dimostrato capace di sopravvivere alla prova della fattibilità: le grandi riforme annunciate, le promesse rimarcate da questi movimenti soprattutto con riferimento alla fine dell’ingiustizia sociale, non si sono declinate, negli anni in cui i partiti degli Ikhwā'n hanno partecipato alla gestione della res publica, in un reale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e questo ha peggiorato il processo di disaffezione tra la base sociale, e dunque elettorale, e i partiti degli Ikhwā'n. L’esperienza di governo, dimostratasi in molti casi deludente agli occhi di quelle classi delle società del Maghreb che avevano originariamente sposato e sostenuto il progetto politico degli Ikhwā'n, ha determinato conseguentemente una consistente perdita di consensi per questi partiti, favorendo o la loro sconfitta alle urne o la possibilità in capo ad altri soggetti di sfruttare tale crescente debolezza per una loro rinnovata emarginazione.

Il meccanismo trasformativo-adattativo dei movimenti degli Ikhwā’n ha determinato un contraccolpo all’interno della stessa élite del movimento tra l’attuale leadership, attenta a mantenere il bilanciamento con gli altri poteri anche tramite un approccio attendista e conciliante, e una base che potremmo definire più radicale la quale è ideologicamente improntata su una maggiore islamizzazione del discorso politico. Questo ha provocato una crisi di legittimità interna, in cui le stesse leadership sono apparse incapaci di armonizzare le diverse istanze politiche e sociali. Ne è un esempio il PJD marocchino al cui interno si sono evidenziate almeno due fazioni, i riformatori guidati da Saad el-Othmani e i conservatori. Anche in Tunisia, ben prima della svolta del 25 luglio si è assistito a forti tensioni all’interno del partito Ennahdha tali da portare, nel corso del 2020, alle dimissioni di alcuni personaggi di spicco del partito, tra cui anche Abdelhamid Jelassi, uno dei fondatori e numero due del movimento politico.

Secondo alcuni osservatori l’impianto ideologico degli Ikhwā’n avrebbe pertanto fallito nel tentativo di partecipazione alla vita politico-istituzionale moderna. Sebbene i dati sembrino al momento confermare tale prospettiva, è probabilmente prematuro sancire la definitiva uscita di scena dei gruppi che gravitano intorno alla declinazione ideologica dell’Islam politico degli Ikhwā’n. Non fosse altro per il fatto che, tradizionalmente, questi gruppi hanno dimostrato di essere estremamente resilienti e in grado di adattarsi a situazioni poco favorevoli alla loro stessa sopravvivenza. Anche nelle fasi più acute di repressione, gli Ikhwā’n hanno dimostrato la propria capacità di resistere e di rinascere come forza socio-politica non appena si presentino condizioni nuovamente favorevoli: potrebbe dirsi, in questo senso, che il movimento degli Ikhwā’n ha imparato a scommettere proprio sulla repressione, trasformandola in una fonte di forza, coesione e consensi. Per poter sfruttare il meccanismo repressione-rafforzamento, tuttavia, sarà necessario definire una nuova strategia per arginare le contestazioni dei giovani membri insoddisfatti della strategia di resistenza passiva adottata dalla vecchia guardia e, soprattutto, per ricostruire la base popolare. Proprio quest’ultimo aspetto appare la sfida più importante: a differenza del passato, l’emarginazione politica a cui i partiti collegati agli Ikhwā’n stanno assistendo oggi giunge dopo i primi esperimenti di governo, giudicati fallimentari, i quali hanno quindi portato molti dei sostenitori degli Ikhwā’n a dubitare del progetto politico del gruppo e soprattutto delle reali competenze e possibilità per portarlo avanti. Un altro elemento di differenziazione rispetto al passato è legato al fatto che i gruppi collegati agli Ikhwā’n si trovano attualmente di fronte al compito di dover cercare di non scomparire dallo scenario socio-politico della regione MENA mentre risultano profondamente divisi al loro interno sulla strategia da perseguire e sulle modalità da adoperare. La stessa strategia repressione-rafforzamento sarà poi difficile da utilizzare in alcuni specifici contesti: nel caso del Marocco, ad esempio, è stata la stessa base sociale con la libera espressione del voto a sanzionare il PJD; nella stessa Tunisia, dove vi è stato il tentativo di adoperare tale strategia, è pur vero che al momento, dopo un anno dalla svolta del 25 luglio, larga parte della popolazione sembra ancora appoggiare e condividere la svolta presidenziale. Proprio queste differenze rispetto al passato, cioè il fatto che la perdita di posizioni non sia dovuta tanto alla repressione o al rapporto con il potere centrale, quanto a uno scollamento con la propria base socio-elettorale di riferimento, potrebbero incidere in maniera più consistente sulle possibilità future degli Ikhwā’n di riemergere politicamente e socialmente, obbligando quantomeno tali gruppi a perseguire nuove e inesplorate strategie.