Il Mediterraneo allargato, una regione in transizione: conflitti, sfide, prospettive (Ita/Eng/Fr)

di Enrico Campelli* e Giorgio Gomel**
*Docente di Comparative Politics presso Sciences Po - **Coordinatore Osservatorio Mediterraneo e Medio Oriente CeSPI

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Un mondo sempre più interconnesso ma nello stesso tempo diviso è forse caratteristica propria del momento presente. Interdipendenze sistemiche e antagonismi dirompenti si combinano in molte parti del mondo, producendo mutamenti profondi e trasformazioni dall’esito incerto. Diffusi processi di differenziazione interna sono andati erodendo l’omogeneità – reale o solo presunta – di comunità e paesi dalla lunga storia, che pure stentano a trovare nuovi equilibri. Moltiplicazione di confini, dunque, ma anche – contemporaneamente e paradossalmente - assottigliamento di confini, per via del profilarsi in misura più intensa che in passato di identità multiple. Di questa dinamica il Medio Oriente allargato, Medio Oriente e Nord Africa (area MENA) è forse l’esempio più pertinente, una regione che sfugge ostinatamente alle analisi “facili”.

Zona conflittuale e volatile per eccellenza, l’area MENA ospita quasi il 10% della popolazione mondiale, ma le voci della stragrande maggioranza delle persone che vivono in questa vasta regione (la cui identificazione stessa è soggetta a dibattito) sono spesso emarginate o ignorate, non solo dall’informazione mainstream, ma anche dalle analisi generaliste e a maglie troppo grandi. Il dibattito consueto tende in genere a concentrarsi – e ad esaurirsi – sull’azione di leader o di Governi che in molti casi non rappresentano pienamente la molteplicità degli assetti reali né l'intero spettro di punti di vista dei loro cittadini: un errore di metodo, infatti, induce spesso a considerare la regione come pienamente omogenea in termini politici, culturali e storici. Il risultato è una reductio ad unum del tutto inattuale, che distorce l’analisi.

Se è generalmente vero che attori integralisti e governi autoritari tengono in ostaggio e soffocano le voci di milioni di persone in tutta la regione – fatto che inevitabilmente sollecita un dibattito sulle ragioni dei fallimenti delle rivolte del decennio precedente e sulle cause del persistere di alcune leadership ed élites - la battaglia per la dignità e le libertà fondamentali, così come le grandi sfide che caratterizzano il mondo globalizzato, si articolano assai diversamente nei molti territori che compongono questa regione. Guardando al Medio Oriente e al Nord Africa, vediamo in realtà un mondo in profonda transizione. Qui, nuove sfide e orizzonti politici inediti, come quelli algerini e sudanesi, si sovrappongono a dinamiche di vecchia data, e richiedono una riflessione attenta da parte degli studiosi.

 Contributi da parte di ricercatori interessati al tema potranno affrontare questioni quali:

  1. l’adeguato accesso ai vaccini in questa fase pandemica, anche in base alle classi sociali che compongono le società prese in esame e, più in generale, le criticità legate alla ripresa economica in un mondo ancora segnato dagli effetti della pandemia;
  2. le dinamiche migratorie, anche in relazione alla recente crisi ucraina;
  3. la pervasività e le resistenze delle identità religiose e culturali, spesso reciprocamente antagoniste o, come nel recente caso libanese, forse pronte a superare antiche divisioni;
  4. l’urgenza di attenzione alla sostenibilità ambientale considerati i mutamenti climatici in corso e la possibilità che cooperazione in materia di fonti energetiche e risorse idriche possa essere anche strumento di pace rispetto a conflitti in essere;
  5. lo shock di offerta prodotto dalla guerra in Ucraina sui prezzi delle materie prime agricolo-alimentari e le ramificazioni di questo su crisi alimentari con rilevanti impatti sociali;
  6. il rinnovo dell’accordo sul nucleare iraniano e le prospettive derivanti da esso per un’architettura di sicurezza regionale;
  7. il tema della rappresentanza e della democratizzazione istituzionale, con una possibile analisi di scenari nuovi e inediti rispetto al decennio precedente;
  8. le problematiche di genere, ovviamente tutt’altro che secondarie ed anzi tali da profilare talora la possibilità di nuovi protagonismi socioculturali (come nel caso algerino) e le pratiche di cittadinanza attiva, fondamentali nell’orientare l’analisi e l’azione politica.

Non è certamente un caso, d’altra parte, che i nodi cruciali appena indicati – e proposti all’attenzione di quanti vorranno contribuire - siano alcuni di quelli stessi che hanno guidato le rivoluzioni e le rivolte popolari nella regione, iniziate – e in molti casi esaurite - più di dieci anni fa. Queste condizioni sono ancora presenti all'inizio del 2022 nella maggior parte dei paesi MENA, insieme a nuove criticità causate dalla pandemia di COVID-19 e dai cambiamenti socioeconomici globali in corso, che stanno influenzando diverse parti della regione in modi dissimili.

Riforme costituzionali e modifiche profonde delle forme di governo sono solo alcune delle traiettorie politiche che hanno interessato la regione. Molti ordinamenti sono stati soggetti a rinegoziazioni istituzionali intense e spesso violente, in un quadro complessivo che vede sistemi di governo pesantemente squilibrati a danno di minoranze interne e aspri scontri etnico-religiosi che ancora interessano molte zone e Stati. Libia, Siria, Libano e Yemen sono solo alcuni degli esempi di Stati sull'orlo dell'implosione economica e politica, segnati da una crisi di lunga data che ha visto un aggravarsi negli ultimi anni a causa di conflitti, corruzione, instabilità e, in alcuni casi, dell’altissimo numero di rifugiati e sfollati interni.

 Per quel che riguarda il tema della partecipazione democratica e della regressione dello stato di diritto, non si può non constatare il fatto che in Tunisia, undici anni dopo la caduta di Ben Ali e a seguito di un processo di democratizzazione forse solo procedurale, il potere a Tunisi è nuovamente nelle mani di un’unica persona, il presidente della Repubblica Kaïs Saïed. Se gli ultimi mesi del 2021 sono stati contrassegnati dal progressivo indebolimento delle istituzioni democratiche del paese, con la rimozione del Governo e la sospensione dei lavori del Parlamento, è possibile che il 2022 sia l’anno della loro ridefinizione sotto forme nuove, in nome di una democrazia diretta in cui, nelle parole dello stesso Saïed, la sovranità verrà riaffidata al popolo. Sulla road map annunciata a dicembre dal capo di stato tunisino, gravano però le aspettative di una popolazione profondamente frustrata e delusa da più di dieci anni di instabilità politica, che ha visto l’economia sprofondare (complice anche la pandemia) e la corruzione raggiungere livelli gravissimi.

In alcune monarchie della regione è in atto un tentativo di rispondere alle preoccupazioni dei propri cittadini aggiornando le forme di intervento economico in modo da soddisfare le richieste di maggiore sicurezza, partecipazione dal basso e prosperità. Nello stesso tempo, però, le repressioni del dissenso e le restrizioni alle libertà fondamentali evidenziano un chiaro scollamento tra istituzioni e cittadinanza. I recenti emendamenti costituzionali in Giordania, ufficialmente approvati in aderenza a un modello di società civile dall’ampia inclusività, sembrano in realtà, secondo molti commentatori, uno strumento per rimodulare i poteri statali in favore della monarchia.

Nel 2022, paesi come Libia e Libano hanno in calendario elezioni nazionali che prospettano un cambio di leadership e che potrebbero, almeno in teoria, avere esiti cruciali per l’intera architettura regionale. Come dimostrato però dall'ultimo decennio di transizioni, rivoluzioni e guerre civili, il cambiamento politico e sociale può arrivare in modo del tutto inaspettato e repentino, e i processi elettorali menzionati sono ancora lontani dall’essere definitivi.  Un numero crescente di analisti è concorde nel ritenere che - soprattutto nel caso libico - la possibilità che questi processi elettorali avvengano davvero regolarmente vada diminuendo. Allo stesso modo, del resto, l’Autorità Palestinese ha rimandato sine die le elezioni presidenziali e parlamentari previste nel 2021, aggravando la già pesante tensione nella società palestinese, che non va alle urne dal 2006. Ciò che complessivamente emerge nell’analisi di queste dinamiche è un irrequieto movimento dialettico tra i diversi principi di dusturism (vocazione costituzionale) e zaeimism (leaderismo), che sembra caratterizzare la regione mediorientale e nordafricana, alternando forme ibride tra i due principi e il cui incontro/scontro genera dinamiche sociopolitiche e istituzionali complesse e spesso instabili.

Anche nei paesi in cui le elezioni si sono tenute nel 2021 i leader si stanno affrettando, con risultati altalenanti, a fornire risposte a domande strutturali quanto irrisolte sui diritti delle comunità politiche interne, sulle trasformazioni economiche e sul tema energetico, che ha nell’area MENA un nuovo orizzonte globale. È questo, ad esempio, il caso dell’Iraq che, dopo le contestatissime elezioni di ottobre (convalidate dalla Corte Suprema Federale solo il 27 dicembre e caratterizzate dal più basso tasso di partecipazione della storia irachena), deve ora confrontarsi con la difficile creazione di una maggioranza stabile, anche a causa della tensione ideologica particolarmente aspra fra i partiti, alcuni dei quali legati all’Iran. Il futuro esecutivo dovrà confrontarsi con i problemi legati alla pandemia e alla conseguente crisi economica, ma anche, come detto, con le molte sfide di lungo periodo. A questo proposito, Baghdad ha recentemente avviato un ambizioso piano di riforme del sistema energetico ed idrico, volto a ottenere il 63% di elettricità da fonti di energia pulita entro cinque anni.

Il tema energetico è cruciale anche in Iran, dove il Presidente Raisi dovrà fronteggiare la fase di profondo malcontento sociale e di pesante crisi economica che il paese si trova ad attraversare. Dopo una lunga interruzione sono ripresi i colloqui di Vienna, per il ritorno - tanto della Repubblica islamica quanto degli Stati Uniti - all’intesa sul nucleare siglata nel 2015 e successivamente abbandonata dall’ex Presidente americano Donald Trump nel 2018. Non si tratta, naturalmente, di un percorso privo di difficoltà. Anche se la diplomazia riuscirà ad affrontare i molti problemi in sospeso, è probabile che una serie di questioni di sicurezza regionale più ampie rimangano irrisolte e si aggiungano all'incertezza che grava sull’intero Medio Oriente, lasciando ampi spazi interpretativi sull’eventualità che il possibile rinnovo dell’accordo sul nucleare iraniano assolva ad una funzione stabilizzatrice nella regione e, potenzialmente, in ottica globale.

La crisi ucraina ha poi rilanciato la discussione sul gasdotto EastMed, e sul ruolo di paesi come Israele nella partita energetica regionale e globale. Lo stato ebraico vive un momento di ridefinizione delle proprie identità politiche e sociali interne. La fragilissima coalizione di maggioranza attualmente al Governo - che vede l’inclusione, per la prima volta nella storia dello Stato, di un partito arabo - sembra rappresentare l’indicatore ambivalente tanto di potenzialità finora inespresse che potrebbero trovare realizzazione, quanto delle perduranti fratture sociali e culturali che attraversano il paese.

Al di là delle specificità delle questioni interne a ciascun protagonista, un piano ulteriore di riflessione e di analisi è poi posto dal fatto che il panorama regionale è fortemente sollecitato – e in buona misura plasmato - dalla competizione continua fra alcuni paesi-chiave. Questi competitors internazionali vi operano infatti con un grado di indipendenza e assertività ben maggiore rispetto al passato, continuando a mettere alla prova i limiti del proprio potere e della propria influenza attraverso misure di sicurezza e iniziative diplomatiche reciprocamente antagoniste. Tale competizione inoltre – ed è facile scorgere in questo un altro elemento di importante specificità dell’area - è certamente complicata dalla presenza di una diversa classe di attori aggressivi e potenti, entità non-statali come il Daesh, o quasi-statali come Hezbollah in Libano e gli Houthi nello Yemen.

Il 2021, d’altra parte, ha visto la nascita di assi diplomatici inediti, che possono aprire orizzonti finora non sperimentati per la dimensione politico-economica regionale, ma che sembrano ancora inadeguati a risolvere situazioni complesse come, ad esempio, gli attuali conflitti in Siria e Yemen. È probabile che la tendenza alla ricostruzione delle relazioni danneggiate negli ultimi anni e alla normalizzazione dei legami tra paesi che le avevano interrotte o che non avevano mai avuto relazioni formali continuerà nel prossimo futuro, nonostante le difficoltà. Il riavvicinamento tra Turchia, Egitto, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti andrà avanti lentamente, poiché i paesi cercheranno modi per cooperare su una serie di questioni come l'economia, l'energia e la sicurezza condivisa. In quest’ottica, gli accordi di normalizzazione del 2020 tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan hanno costruito alcuni importanti legami economico-commerciali e di sicurezza, e suggeriscono un futuro di maggiore integrazione, ma è difficile immaginare ulteriori aperture su tale linea senza qualche progresso sul fronte del conflitto israelo-palestinese.

 I paesi della regione dovranno affrontare ulteriori pressioni dovute ai cambiamenti climatici, ed alle pesanti ricadute socioeconomiche di questi fenomeni. L'aumento dei prezzi in un contesto di crescita economica irregolare, il caldo estremo, la siccità prolungata, la carenza di cibo e soprattutto i rischi di una cruenta “guerra dell’acqua” potrebbero aumentare gli oneri dei sistemi statali già sottoposti a formidabili tensioni (si veda, a questo proposito, la disputa sul Nilo fra Egitto, Etiopia e Sudan relativamente alla diga GERD). Questi fattori influenzeranno ulteriormente l'interazione tra i governi e le loro popolazioni nel quadro di una più ampia stabilità regionale. In particolare, Russia ed Ucraina sono fra i principali produttori mondiali di materie prime agricole: l’effetto congiunto di riduzioni della produzione, restrizioni alle esportazioni e aumento dei prezzi energetici ha fatto lievitare il prezzo di prodotti primari, causando uno shock di offerta che potrebbe produrre una crisi alimentare con gravi impatti sociali nei paesi dell’area in analisi, oltre che influenzare la relazione complessa tra i governi, le loro popolazioni e la dinamica delle migrazioni.

 In quanto regione che collega Asia, Africa ed Europa, il Medio Oriente rimane una intersezione fondamentale per i fenomeni migratori e la competizione politica, energetica ed economica tra le potenze globali. Mentre il conflitto in Ucraina è nella sua fase più calda, imprevedibili sono i suoi effetti nel lungo periodo ed è rischioso azzardare previsioni relativamente all'impatto sull’area MENA della concorrenza tra Stati Uniti, Cina, Russia ed Europa, nonché di altre nazioni emergenti e dal ruolo non ancora definito come l'India. Questa competizione tra potenze esterne che cercano di influenzare le tendenze in Medio Oriente aggiungerà un altro livello di complessità lungo le principali faglie, quelle che contrappongono Iran e i paesi del Golfo, Israele e Palestina, paesi del Nord Africa e del Corno d'Africa.

A questo contesto frastagliato e cruciale, impegnato tanto in un movimento di faticoso rinnovamento, quanto ostacolato da vecchie realtà, il CeSPI intende dedicare – con il contributo di studiosi attenti – un momento di riflessione collettiva, critica e rispettosa.