Riflessi del conflitto russo-ucraino sui flussi migratori nel Mediterraneo Allargato

Rainer Maria Baratti
Vice Presidente Large Movements APS

Nel maggio 2022 l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) ha stimato che più di 5 milioni di persone sono fuggite dall’Ucraina a seguito dell’aggressione russa. Un dato drammatico che restituisce la magnitudo dell’impatto della guerra sui flussi migratori in Europa ma che non rappresenta se non in parte le ripercussioni sui soggetti più vulnerabili e i riflessi del conflitto sulle migrazioni nell’intero Mediterraneo Allargato.

Tali accadimenti, oggi più che mai, ci invitano a riflettere sul fatto che mari e terre siano unite da scambi economici, politici e culturali che vanno ben oltre il Mare Nostrum. In effetti, l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina ha scatenato un movimento “tellurico” che ha riconfigurato la geografia delle migrazioni di tutto il Mediterraneo Allargato, area che già risente pesantemente degli effetti delle crisi sanitaria e ambientale.

 Relativamente ai fatti in Ucraina occorre evidenziare che il mercato alimentare si connota per una sua condizione di strutturale squilibrio che lega in una stretta interdipendenza i paesi del Nord del mondo con quelli del Sud globale, con i primi in posizione dominante ed i secondi a ricoprire una posizione fortemente subalterna. Tale dinamica si è consolidata nel corso degli anni ’90, con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) che ha spinto gran parte dei paesi del Sud globale ad adottare un’agricoltura export-oriented. I paesi del Mediterraneo Allargato hanno pagato a caro prezzo gli obiettivi strategici imposti dall’FMI: ne è conseguita la nascita di colture specializzate finalizzate all’esportazione, sottraendo spazi agricoli alla produzione alimentare destinata alla popolazione locale, e finendo per minarne la sicurezza alimentare.

La seconda conseguenza è la determinazione di una struttura economica globale che ha reso molti tra gli Stati più fragili e vulnerabili ai cambiamenti climatici direttamente dipendenti dai rischi di crisi ricorrenti causate dell’aumento dei prezzi alimentari. A titolo di esempio, i paesi MENA, oltre ad essere geograficamente collocati nelle aree hotspot dei cambiamenti climatici, risultano essere maggiormente vulnerabili poiché altamente dipendenti dall’importazione di derrate alimentari.

Ciò desta preoccupazioni in quanto complessivamente Russia e Ucraina rappresentano più dei due terzi delle esportazioni mondiali di cereali e la guerra ha ridotto drasticamente l’offerta mondiale provocando un aumento dei prezzi. In Ucraina la guerra ha bloccato la produzione e impedito l’esportazione della produzione alimentare, mentre la Federazione russa nel fronteggiare l’onere delle sanzioni economiche ha contratto l’esportazione sia dei prodotti alimentari che dei fertilizzanti.

Certamente ad essere in una posizione di maggiore fragilità saranno i paesi che dipendono direttamente dalle esportazioni russe e ucraine, ma numerosi sono i paesi che ne subiranno le ripercussioni in relazione all’aumento del prezzo dei beni alimentari, dei carburanti e dei fertilizzanti.

Si pensi a tal proposito che paesi come l’Egitto, la Tunisia e la Libia dipendono per più del 50% dalle esportazioni di cereali russi e ucraini, mentre altri quali l’Algeria e il Marocco sono rispettivamente al 14° e al 19° posto fra i maggiori importatori di cereali nel mondo. Quanto detto richiama alla memoria ciò che è accaduto durante la precedente crisi dei prezzi alimentari intercorsa tra il 2007 e il 2009.

Già a partire dal 2007 in Tunisia ed Egitto si registrarono proteste che coinvolsero le fasce di popolazioni più deboli dal punto di vista economico e socio-ambientale, e che si trovavano in una situazione di precarietà a causa della disoccupazione e dell’aumento dei prezzi alimentari. L’incapacità dei governi di contenere l’inflazione, e in particolar modo il prezzo del pane, fu la fonte del grande risentimento politico che contribuì allo scoppio delle proteste confluite poi nelle “Primavere Arabe” nel 2011.

La precedente crisi dei prezzi, dunque, portò ad importanti cambiamenti politici, ad un aumento della conflittualità interna e ridusse le capacità di autodeterminazione della popolazione in molte società del Mediterraneo Allargato.  La situazione di vulnerabilità socio-ambientale che investì larghi strati della popolazione rese precarie le prospettive di sopravvivenza e li spinse ad optare per l’emigrazione.  

Oggi l’aggressione russa rischia di avere profondi riflessi sui flussi migratori del Mediterraneo Allargato a causa di un sistema economico globale iniquo. Inoltre, a destare forti preoccupazioni, anche se prima facie la guerra in Ucraina sembrerebbe aver sprigionato una capacità di accoglienza certamente inaspettata, è la possibilità che l’Unione europea (Ue) possa innalzare nuove barriere palesando una sorta di “solidarietà selettiva”. L’Ue, infatti, per la prima volta nella storia, attraverso la Decisione di esecuzione (Ue) 2022/382 del 4 marzo, ha attivato la Direttiva 2001/55/CE sulla protezione temporanea. Nonostante l’imprescindibilità di tale direttiva, non può passare inosservato come questa sia la prima volta, in più di vent’anni, che si ricorre ad un simile strumento, nonostante siano state molte le crisi che lo avrebbero richiesto.

Non è stato fatto in occasione delle Primavere Arabe, non è stato fatto in occasione della crisi siriana tra il 2014 e il 2015, dove non servì nemmeno la diffusione dell’immagine del piccolo Alan Kurdi sulla spiaggia turca di Bodrum, e non è stato fatto nell’agosto del 2021 in occasione della violenta presa di potere in Afghanistan da parte dei Talebani. Esaminando la storia della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 possiamo rilevare un atteggiamento politico selettivo e restrittivo degli Stati europei. Certamente la Convenzione è figlia dei tempi in cui è stata elaborata e all’art. 1B prevedeva due riserve, una di tipo geografico e una di tipo temporale. Le riserve furono ampiamente criticate sulla base dell’idea che si prestassero ad una sorta di condanna del blocco sovietico attraverso l’accoglienza degli esuli politici. La preoccupazione nasceva poiché gli Stati contraenti potevano limitare gli obblighi derivanti dalla Convenzione alle persone divenute rifugiate in seguito ad “avvenimenti verificatisi in Europa”, soltanto e non anche “altrove”.

Ad oggi la Convenzione ha superato tali limiti e si è certamente dimostrata, dopo oltre settant’anni, uno strumento duttile pronto a tutelare diverse tipologie di rifugiato. In ogni caso occorre segnalare la crescente retorica securitaria che ha caratterizzato l’atteggiamento degli Stati UE negli ultimi anni. Quanto detto basterebbe ad evidenziare come, anche a causa di un sistema globale iniquo e di interessi politici diffusi, la gestione dei flussi migratori sia caratterizzata da una spiccata attenzione verso ciò che accade ad Oriente e da una selettiva chiusura verso chi proviene dal di là del Mare Nostrum.