Tendenze dai mondi musulmani contemporanei. Il caso dell’Arabia Saudita.

Mario Campli
Già consigliere del Comitato Economico e Sociale Europeo (2006-2015). Le sue più recenti pubblicazioni sul jihadismo globale sono: “Islamizzazione e radicalizzazione-saggio su Olivier Roy e Gilles Kepel, Cavinato Editore Internazionale, 2021; “L’Islām e la République. Una questione musulmana in Francia?, Informatpress, 2022

Nei Paesi, Stati e territori musulmani si registrano tendenze e crisi di diverso tipo, sia nel sentimento generale delle popolazioni sia negli ordinamenti costituzionali degli Stati. In questo contributo - monotematico - intendo delineare l’evoluzione in atto nell’Arabia Saudita, partendo da una data e da un evento che fece rumore, avvenuto a Riad. Cito direttamente dal Corriere della sera.

“Intorno alla mezzanotte del 4 novembre 2018, sono stati portati all’hotel Ritz oltre 200 principi, ministri e imprenditori, tutti accusati di corruzione. La retata, voluta dal principe ereditario, il 32enne Mohammad bin Salmān, serviva a recuperare miliardi di dollari sottratti negli anni alle casse (ora in crisi) del Regno, ma anche - dicono i critici - a regolare i conti con possibili rivali. Il Ritz-Carlton di Riad è una prigione impenetrabile, sulla Mecca Road. Qui, dove il re ospitava una volta i capi di Stato, sorge l’hotel circondato da 21 ettari di giardini dietro un cancello sbarrato e sorvegliato da guardie. La liberazione, l’altro ieri, del più noto e più ricco degli «ospiti speciali» del Ritz, il principe Al Waleed bin Talal, indica tuttavia che la prigione più lussuosa del mondo sta per tornare alla sua vecchia funzione. Sul perché Al Waleed sia stato arrestato ci sono diverse teorie: una è che suo cugino MbS (l’erede al trono) nel prendere il controllo dell’economia voglia porre fine al potere della Kingdom Holding che ha agito a lungo come un’estensione dello Stato; un’altra è che Al Waleed avesse preso dalle casse reali un prestito mai restituito quando i suoi investimenti furono colpiti dalla crisi finanziaria del 2008; e c’è anche chi dice che avrebbe criticato in privato le riforme del cugino. Non è un caso che la retata anticorruzione sia iniziata poco prima dell’impopolare aumento delle tasse e dei tagli ai sussidi sulla benzina. Il nuovo ministro delle Finanze Mohammed al-Jadaan (il suo predecessore è finito al Ritz) ha assicurato che i soldi confiscati ai corrotti verranno usati per finanziare nuovi sussidi. Tra i sauditi che abbiamo intervistato a Riad e Gedda - gente non ricca, lavoratori - c’è chi crede che le mosse di MbS possano migliorare il Paese, ma molti altri non parteggiano per nessuno, in quelle che vedono come lotte tra fazioni da cui il popolo non trarrà vantaggio…”.

Fattori strutturanti per il mondo di domani.

Fin qui, la cronaca. Gilles Kepel - concludendo il suo lungo saggio “Uscire dal caos” (Uscire dal caos - le crisi nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, Raffello Cortina Editore, 2019; si veda anche: Campli M., Islamizzazione e radicalizzazione - saggio su Olivier Roy e Gilles Kepel, Cavinato editore internazionale, Brescia 2021) afferma che “da una situazione all’apparenza così caotica emergono, tuttavia, alcuni fattori strutturanti per il mondo di domani”. Avendo, noi, sullo sfondo sempre la frattura - la originaria fitna, grande discordia - dei due storici campi: Sunniti sotto la guida dell’Arabia Saudita; Sciiti sotto la guida dell’Iran, seguiamo Kepel che passa in rassegna gli elementi di base nei quali si delinea la fine della rendita petrolifera, determinando un cambio di peso - tra il Barile e il Corano - nei processi di islamizzazione dell’ordine politico e delle società. A suo modo si tratta di un evento storico. Anche il cambio di leadership nella petro-monarchia Saudita deve essere ricondotto al esso. Mohammad bin Salmān (autore della cosiddetta «rivoluzione del Ritz-Carlton») è il protagonista (incontrastato?) di una situazione in movimento a tutto campo, sia per le conseguenze in capo al “Corano” sia per quelle in capo al “Barile”.

Il Barile e il Corano

Sul versante Barile: calo del prezzo del greggio pari al 70% nel biennio 2014-2016; lotta alla corruzione, partendo dai piani alti; aumento delle tasse e taglio ai sussidi sul consumo della benzina. Sul versante del Corano: una presa di distanza dagli ulema wahabiti, in quanto fonte di legittimità; nuove norme sul costume con il sostegno a una relativa emancipazione delle donne, anche allo scopo di farle partecipare al mercato del lavoro (il permesso di guidare ne è un esempio). I due versanti sono assolutamente comunicanti: le difficoltà economiche rendono molto più complesso, rispetto all’inizio del decennio, il finanziamento incontrollato del movimento salafita-jihadista da parte delle istituzioni ufficiali, ma anche di canali parastatali o di patrimoni privati.

Per meglio delineare il quadro ed evitare facili ottimismi, Gilles Kepel sposta l’attenzione sul versante Corano e aggiunge: “Ciò non significa che l’ideologia islamista sia compromessa - il principe ereditario saudita è messo alla gogna sui social network jihadisti - ma il nerbo del jihād non è più così teso come nella prima metà del decennio 2010.” (Uscire dal caos…, p.375).

Questo passaggio - ad un tempo religioso e politico - non stravolge un quadro in cui “la perpetuazione dei regimi autoritari soffoca l’iniziativa individuale e limita le libertà pubbliche; non incoraggia lo sviluppo della creatività ed avendo alle spalle il fallimento dei processi di democratizzazione scaturiti dalle primavere arabe del 2011 e dirottati verso l’islamismo, pone la questione di una riforma culturale nel rapporto con il dogma, come condizione preliminare per la trasformazione del rapporto tra società e Stato” (ivi, pag. 361).

Per Kepel la riforma del dogma è ritenuta “condizione preliminare”. La questione non è nuova. Sulla scorta di una accurata analisi su: “Il pensiero islamico contemporaneo”, Massimo Campanini, ha sottolineato come:

“Il pensiero arabo-islamico dominante ha faticato e fatica a confrontarsi con la storicità per almeno due aspetti che condizionano e coartano lo sviluppo della cultura tradizionale: il significato metastorico conferito al testo sacro, il Corano, e soprattutto alla ‘sunna’, e quell’atteggiamento, profondamente radicato soprattutto nel pensiero politico e teologico che ho già definito in altri scritti come «anti-utopia» ma che è forse meglio definire «utopia retrospettiva» (Il Mulino 2016, p.93). Per la islamologia, quindi - anche la più aperta e analiticamente attrezzata, come quella di Massimo Campanini - sono ben presenti le correlazioni e i condizionamenti dell’Islam; condivisi, peraltro, da autorevoli musulmani (Mohammed Arkoun, ad esempio). Uscita dal caos? “Uscire è un imperativo, non è un infinito” - ha dichiarato Gilles Kepel in una recente conferenza all’Ambasciata francese a Roma.

Il superamento del “caos” deve, quindi, innestarsi nel mezzo delle contraddizioni che si stanno aprendo a seguito della fine della rendita petrolifera. Nel campo Saudita, a seguito delle riforme resesi necessarie (condotte, benintesi, con modalità prettamente autocratiche, al di fuori delle forme e logiche di uno Stato di diritto e della democrazia liberale) anche il principe Mohammad bin Salmān “è messo alla gogna sui social network jihadisti”. Viene, quindi, indebolito nel suo stesso perimetro geografico e statuale. Resta indubitabile che la meta di un processo di cambiamento deve perseguire la contestualità del din e del dunya. Di fronte alla polisemia di termini e contesti, radicati nelle diverse culture, tuttavia, non è opportuno premettere “condizioni preliminari”. Né sono praticabili schemi filosofici di dialettica hegeliana: risulterebbero incoerenti ed impari con le esigenze tipiche di una qualsivoglia iniziativa e strategia politiche.

La rendita petrolifera e la de-wahhabizzazione

“Il 2020 è stato un anno catastrofico per i produttori e di conseguenza per il Medio Oriente. Gli Stati petroliferi conoscevano già la maledizione del petrolio che distrugge le società creando una classe di oziosi benestanti – spiega Kepel (Ginori A.: “Gilles Kepel, Il Medio Oriente è cambiato - intervista, la Repubblica 28/2/2021) - ciò ha accelerato gli ‘Accordi di Abramo’ tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Le monarchie petrolifere vogliono investire nella tecnologia israeliana per il dopo-petrolio”. Per i sauditi la situazione è anche più complessa: il principe erede Mohammad bin Salmān ha una popolazione numerosa da sfamare. Il principe punta, pertanto, su una gioventù che vuole «de-wahhabizzare» per renderla più imprenditoriale. Se sta creando la nuova città futurista, Neom, nella regione del nord-ovest di cui nessuno aveva sentito parlare, non è solo perché c’è l’idrogeno verde, l’acqua, il vento e il sole, ma anche perché è accanto alla frontiera israeliana (Neom, la città del futuro sarà una lunga linea: nascerà nel 2025 e non avrà auto. Le prime tre lettere del nome rimandano al prefisso greco nέο, che significa “nuovo”. La quarta lettera M è l’abbreviazione di Mostaqbal, parola araba che sta per “futuro”). Riassumendo: i sunniti petroliferi accettano di riconoscere Israele per passare al dopo-petrolio. E, in questo ambito, affrontano anche i condizionamenti del “versante Corano”. In una recente intervista, il principe Muhammad bin Salmān si è dilungato - inaspettatamente - su problematiche teologiche circa la distinzione tra Corano e Sunna e la conseguente determinazione del Diritto penale: “A questo proposito, MBS ha specificato che nel Regno si deve «applicare una pena solo in presenza di un testo coranico chiaro o di un hadīth mutawātir», ovvero un “detto” del Profeta dell’Islam trasmesso nei secoli da una serie ininterrotta e numericamente significativa di trasmettitori […]. Nello specifico, diverse pene tuttora applicate in Arabia Saudita sono prive di fondamento coranico e non sono menzionate in alcun hadīth mutawātir, riguardanti, ad esempio, tematiche come: adulterio, consumo di alcol, apostasia, divieto di luoghi di culti non islamici. Nella intervista c’è un passaggio di rilievo: alla domanda infatti se segua la scuola di pensiero di Muhammad Ibn ‘Abd al-Wahhāb, padre fondatore del wahhabismo, MBS specifica che «seguire una scuola o un ulema in particolare equivale a divinizzare gli esseri umani», e rivendica la libertà di ciascuno di praticare autonomamente l’ijtihād, l’interpretazione delle fonti islamiche” (cfr Pellegrino Chiara) «Ijtihād» è lo “sforzo” di interpretazione autonoma e razionale della Legge” (cfr Campanini M. e la Martire C., Dizionarietto di arabo per filosofi, Morcelliana, Brescia, 2019).

Il governo dello spazio pubblico

Una seconda manifestazione - ancora più rilevante in quanto si tratta di cambiamenti nella vita dello Stato - si è verificata di recente. Scrive Chiara Pellegrino: “Da diversi anni in Arabia Saudita è in atto un processo di ribilanciamento dei rapporti tra la monarchia e il clero wahhabita. Questo processo è iniziato verso la fine del regno di re ‘Abdallah (2005-2015), predecessore di re Salman, ma ha conosciuto degli sviluppi molto rapidi e inattesi dal 2017 in avanti, dopo la nomina di Muhammad bin Salmān a principe ereditario.” Chiara Pellegrino tratteggia il percorso compiuto dal principe ereditario e ne fa emergere una vera e propria strategia. All’inizio - come abbiamo già evidenziato - è sembrato che il nuovo corso fosse frutto della necessità (risparmio di spesa pubblica dovuta al prosciugamento progressivo della rendita petrolifera); successivamente cominciò ad emergere una volontà politica di una ripresa di autonomia dello Stato sulla religione (depotenziamento della cosiddetta ‘polizia religiosa’); una sorta di riconquista dello spazio pubblico da parte della monarchia. Osserva Pellegrino: “Fino a oggi, tuttavia, non era chiaro se l’obbiettivo del principe ereditario fosse semplicemente limitare il ruolo dei chierici sottraendo loro il controllo della sfera sociale o superare il wahhabismo, la dottrina religiosa cui lo Stato saudita è legato a doppio filo. La risposta è arrivata alcuni giorni fa.” (“L’Arabia Saudita divorzia dal wahhabismo”, in Oasis del 17 febbraio 2022  L’Arabia Saudita divorzia dal wahhabismo (oasiscenter.eu)

Giorno della Fondazione - Yawm al-ta’sīs

“A fine gennaio, un decreto reale ha istituito una nuova festività nazionale «Giorno della Fondazione - Yawm al-ta’sīs», per ricordare la nascita del primo Regno saudita. La grande novità è che la data a cui viene fatto risalire questo evento è il 1727 e non più il 1744, l’anno in cui Muhammad Ibn Saud e Muhammad Ibn ‘Abd al-Wahhab, fondatore del wahhabismo, suggellarono il patto sul quale fino a oggi si è fondato lo Stato e, quindi, emerge per la prima volta nella storia islamica la prospettiva di una chiara divisione tra le prerogative politiche degli emiri (oggi re) e quelle religiose dei chierici. Il 1727 corrisponde, infatti, all’anno in cui Muhammad Ibn Saud assunse il potere e unì le due parti in cui all’epoca era suddivisa Dir‘iyya, la capitale del primo Regno corrispondente oggi alla parte antica di Riyadh. Una novità non da poco”.

 Altre decisioni sono state prese a sostegno e a piena valorizzazione del “Decreto Reale”: il Giorno della fondazione verrà celebrato ogni anno il 22 febbraio, in aggiunta alla festa nazionale del 23 settembre. La campagna di lancio della nuova festività è stata promossa dal governo saudita sui propri canali istituzionali e sui quotidiani nazionali, oltre che sugli account social dei sostenitori della monarchia. Un insieme di atti che possono configurare l’avvio di una svolta nella concezione e prassi conseguenti dello Stato; pur restando ancora ben solida l’impronta autocratica.

Di particolare interesse è quanto Chiara Pellegrino aggiunge:

“I caratteri della nuova identità saudita, voluta da MBS per smarcare il Paese dal suo fondamento ideologico, sono stati raffigurati in un «Logo», creato ad hoc per la celebrazione della nuova festività e spiegato sui principali quotidiani del Paese. Al centro vi è rappresentato in maniera stilizzata un uomo (il cittadino saudita) che regge una bandiera bianca, priva della professione di fede islamica presente sull’attuale bandiera. Attorno alla figura compaiono quattro simboli: le palme da dattero indicanti «la crescita, la vita e la nobiltà d’animo»; il majlis, cioè il consiglio, che esprime «l’unità e l’armonia culturale-sociale»; il cavallo arabo, che rappresenta «l’eroismo dei principi»; e infine la porta d’ingresso del sūq-mercato, in riferimento alla «diversificazione economica e all’apertura al mondo». Sotto il logo campeggia l’anno della fondazione del Regno: 1727 (non più quella della data del patto con il fondatore del wahhabismo, 1744) usando il calendario gregoriano anziché quello islamico.”

Insomma: un affresco non da poco! È bene, anzi doveroso, essere cauti; e per due ragioni: la prima è (lo abbiamo già rilevato) che il contesto sostanziale in cui la strategia politica viene piantata nello spazio pubblico è sempre quella di una autocrazia; la seconda è che dobbiamo ancora verificarne la durevolezza. Non si tratta di un banale: “chi vince e chi perde”; ma di un radicamento della riforma nella nazione: quanto valore fondativo o ri-fondativo essa riesce a generare.