Riformare e rafforzare gli Europartiti: non basta il nuovo regolamento

Edoardo Bressanelli
Professore Associato di Scienza Politica, Scuola Superiore Sant’Anna (Pisa)

Il ruolo dei partiti politici al livello dell’Unione Europea (UE) – o, per semplicità, Europartiti – è esplicitato nell’art. 10(4) del Trattato sull’UE, dove è scritto che essi “contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione” e nell’art. 12(2) della Carta dei Diritti Fondamentali, in cui si sottolinea la loro funzione ‘espressiva’. Gli Europartiti e le fondazioni politiche a loro associate possono effettivamente contribuire a strutturare, come ancora affermato dall’art. 10(1) del Trattato, la “democrazia rappresentativa” nell’Unione, rafforzando la dimensione transnazionale del dibattito pubblico e nella campagna elettorale che precede le elezioni per il Parlamento Europeo (PE). Attualmente, vi sono dieci Europartiti e altrettante fondazioni registrate presso l’Autorità per i partiti politici e le fondazioni politiche europee.

Gli Europartiti sono stati formalmente riconosciuti dal Trattato di Maastricht e, nelle successive tre decadi, si sono notevolmente consolidati nel quadro legale dell’UE. Il Regolamento 2004/2003 ha introdotto un regime di finanziamento misto per gli Europartiti, finanziati per il 75% dal budget comunitario e per il restante 25%  da altre risorse come donazioni o contributi. Il successivo Regolamento 1524/2007 ha riconosciuto le fondazioni politiche e previsto il loro finanziamento, a completamento dell’attività degli Europartiti. Infine, il Regolamento 1141/2014 ha attributo loro un nuovo status legale e ha stabilito un’Autorità indipendente per la loro (de)registrazione. Quest’ultimo regolamento è stato ulteriormente emendato nel 2018 – in relazione ai criteri per la registrazione ed il finanziamento, aumentando la quota di fondi UE – e nel 2019 – introducendo obblighi per la protezione dei dati personali accompagnati da sanzioni.

Trent’anni dopo Maastricht, e vent’anni dopo l’approvazione del Regolamento 2004/2003, nel Novembre 2021 è stata presentata dalla Commissione europea una nuova proposta di regolamento, attualmente (gennaio 2023) sotto l’esame dei co-legislatori. La riforma del regolamento è inclusa tra le priorità della Commissione von der Leyen – in particolare, nella sesta priorità “un nuovo slancio per la democrazia europea” – ed è stata accompagnata da dibattiti e proposte da parte del nuovo PE, insediatosi a seguito delle elezioni del Maggio 2019. Nella Risoluzione del 6 Novembre 2020, che tracciava un bilancio delle elezioni europee, il Parlamento ha proposto di modificare il regolamento per permettere agli Europartiti di “partecipare appieno allo spazio politico europeo, di organizzare campagne e di utilizzare finanziamenti a tal fine e candidarsi alle elezioni europee, di aumentare la trasparenza del loro finanziamento” (paragrafo 29). Evidentemente, persistono alcuni limiti all’azione degli Europartiti, che impediscono loro di svolgere quella funzione ‘espressiva’ attribuita dal Trattato di Lisbona e dalla Carta dei Diritti Fondamentali.

In effetti, a dispetto delle successive riforme dei regolamenti, gli Europartiti sono ancora poco conosciuti dalle cittadine e dai cittadini europei. Nel report della Commissione europea sulla consultazione pubblica per il Piano d’azione per la democrazia europea (15 Giugno – 18 Settembre 2020), viene mostrato come un’amplissima maggioranza (91%) di coloro che hanno risposto alla consultazione pubblica – nonostante siano, probabilmente, più informati sul tema rispetto al cittadino comunitario medio – ritengono si possa e debba meglio spiegare il ruolo degli Europartiti nel sistema politico comunitario. Inoltre, l’84% sostiene misure che rafforzino la trasparenza del loro finanziamento mentre il 77% vorrebbe maggiore chiarezza rispetto al rapporto tra partiti nazionali ed Europartiti. Come ha scritto Isabelle Hertner: “gli Europartiti rimangono sconosciuti alla gran parte degli elettori europei. Pochi li hanno sentiti nominare, o riconoscerebbero i loro simboli” (2018, p. 33).

La proposta legislativa della Commissione apporta alcune modifiche puntuali all’attuale regolamento. Tra le più significative, consente agli Europartiti di ricevere contributi da partiti politici di paesi terzi, ma appartenenti al Consiglio d’Europa. Una norma che, pur non essendo scevra da rischi (la Russia, ad esempio, è stata membro del Consiglio d’Europa sino alla metà di marzo dello scorso anno) è stata richiesta a gran voce tanto dal PE quanto da diversi stakeholders. Inoltre, gli Europartiti potranno espandere il loro ruolo nelle campagne elettorali nazionali, quando referendum nazionali verteranno sull’implementazione dei Trattati (ovvero, stando alla formulazione più ampia proposta da un emendamento del PE, in tutti i referendum aventi ad oggetto i ‘temi europei’). Il sistema di finanziamento si muove ulteriormente verso un regime interamente pubblico, con il 95% delle risorse provenienti dal bilancio comunitario, e addirittura il 100% negli anni delle elezioni per il PE. Il rispetto dei valori fondamentali – come da art. 2 del Trattato sull’UE – non è più richiesto ‘soltanto’ agli Europartiti, ma anche ai partiti nazionali loro membri. Infine, la proposta di regolamento semplifica alcune procedure amministrative e introduce la categoria aggiuntiva delle ‘risorse proprie’ nei bilanci dei partiti. Complessivamente, si riscontra una buona corrispondenza tra la proposta della Commissione e le indicazioni provenienti dal PE e dagli stessi Europartiti.

A fronte di questi cambiamenti, talvolta anche significativi – ad esempio, l’estensione della norma sul rispetto dei diritti fondamentali dell’UE ai partiti nazionali, con sanzioni per il suo mancato rispetto che arrivano alla de-registrazione – si riscontra, però, una mancanza di proposte più radicali sulla governance degli Europartiti e la loro democrazia interna. Senz’altro, vi sono buone ragioni per evitare un’eccessiva prescrittività rispetto all’organizzazione interna degli Europartiti: le raccomandazioni della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa vanno, infatti, in questa direzione. Tuttavia, il nuovo regolamento potrebbe introdurre incentivi per spingere gli Europartiti ad essere maggiormente inclusivi e democratici. La membership individuale negli Europartiti, da parte di cittadini dell’Unione, è allo stato attuale del tutto eccezionale (solo il Partito dell’Alleanza dei Liberali e del Democratici per l’Europa ha implementato qualcosa di simile). Se il regolamento attribuisse una premialità di natura economica a quegli Europartiti che introducono o rafforzano la possibilità di iscrizione individuale, potrebbe concretamente spingerli ad aprirsi e a coltivare forme più ampie di partecipazione.

Peraltro, il consolidamento di un regime di finanziamento quasi interamente pubblico (ossia comunitario) lega ancor più gli Europartiti a Bruxelles e alle sue istituzioni (in particolare al PE, visto che i fondi sono distribuiti perlopiù in base al numero di seggi parlamentari), allontanandoli dagli stati membri e, più in generale, dalla società civile. Le successive riforme del regolamento hanno mostrato una tendenza chiara: la quota di finanziamento pubblico si è progressivamente rafforzata, passando dal 75%  del primo regolamento al 95% dell’ultima proposta. Se, da una parte, la stabilità finanziaria è benvenuta – non sono, infatti, solo gli Europartiti più piccoli e meno strutturati ad aver lamentato una difficoltà a reperire le risorse per il loro co-finanziamento – dall’altra la necessità di reperire una quota di risorse da finanziatori (attraverso donazioni) o dalla membership (di partiti nazionali o individui, nella forma di contributi) in qualche modo ‘costringeva’ gli Europartiti ad interagire con la società civile, uscendo dalla ‘bolla’ brussellese. In questo senso, la nuova proposta di regolamento non spinge gli Europartiti a diventare organizzazioni meno “introverse”, per riprendere un’efficace definizione di Richard Rose.

Qui veniamo, però, al punto cruciale. Il nuovo regolamento potrebbe senz’altro essere più coraggioso. Tuttavia, non ci sono ostacoli di natura legale, né oggi né nel recente passato, che impediscano agli Europartiti di coinvolgere maggiormente le cittadine ed i cittadini europei. Gli Europartiti selezionano i/le loro Spitzenkandidaten e conducono una campagna elettorale nei 27 Stati membri dell’Unione come meglio ritengono. In questa scelta, sono liberi di coinvolgere i propri simpatizzanti o cittadini, anziché delegare le decisioni ai propri partiti membri, se non addirittura a qualche ristretto organo esecutivo. Se la riforma della legge elettorale europea, già licenziata dal PE, venisse approvata dal Consiglio, verrebbe chiesto agli Europartiti di formare liste transnazionali, da cui verrebbero poi eletti 28 Europarlamentari. Se la riforma andasse in porto (e questo non è affatto certo), sarebbe cruciale che gli elettori e le elettrici percepiscano il valore aggiunto delle liste transnazionali quando chiamati a scegliere il nuovo PE, nella tarda primavera del 2024. Altrimenti, il rischio è che le liste transnazionali possano diventare un clamoroso boomerang. Per favorire una più ampia partecipazione, però, agli Europartiti sarebbe richiesto di essere, riprendendo la lettera del regolamento ora in vigore, “alleanze politiche tra partiti e/o cittadini” (enfasi aggiunta) mentre, sino ad ora, restano ancora ‘partiti di partiti nazionali’. Per questo cambiamento, non basta però un nuovo regolamento, ma servono scelte politiche coraggiose da parte di quei partiti nazionali che, per ragioni fin troppo comprensibili, mantengono il controllo degli Europartiti, resistendo ad una loro trasformazione democratica.