Quale futuro per l’Europa? Ritrovare il coraggio di un progetto rivoluzionario

Giulio Saputo
Coordinatore Assemblea Generale | Consiglio Nazionale Giovani

L’Europa deve smettere di essere “qualcosa” e diventare “qualcuno” per gli europei e per il mondo. Serve una rivoluzione copernicana, un’identità chiara per uscire dalla trappola dell’immagine utilitarista in cui siamo bloccati di una “comunità-bancomat”. Occorre un’Unione capace di rispondere alle aspettative degli europei, che sia anche dotata di una sfera pubblica solida, realmente fondativa di una nuova legittimità politica. Interculturalismo, democrazia, pluralismo ed Europa stessa devono essere intesi in questo senso come processi e non come un qualcosa di dato o immobile. Si tratta, innanzitutto, di realizzare un quadro sovranazionale entro cui contestualizzare le singole lotte politiche di questo nuovo millennio, completando il processo di integrazione attraverso istituzioni in grado di garantire una vera cittadinanza sociale, il rispetto della solidarietà generazionale, l’uguaglianza di genere, una risposta strutturale ai fenomeni migratori, alla crisi del welfare e alle sfide ambientali. Parliamo di un’idea di “Europa-promessa a venire” (J. Derrida, L’Europa in capo al mondo, 2018) immaginabile da tutti, non solo dedicata ad una ristretta élite, poiché non si ferma ad indicare la difesa di uno status quo senza prospettive, né si propone di accettare le solite soluzioni emergenziali.

Una nuova proposta di Europa

L’immagine di questo progetto per il futuro va rilanciata con coraggio, attraverso un percorso che coinvolga direttamente i cittadini poiché non è più possibile avanzare nel processo di integrazione senza il loro diretto consenso. Alle persone serve un modello in cui identificarsi alternativo a quello confederale dell’Europa-fortezza o dell’Europa-nazione, ormai caratterizzati dal restringimento dei diritti e dal ritorno della xenofobia. Ripensare il sistema istituzionale per l’Unione europea (e, in prospettiva, per la globalizzazione) permetterà finalmente di rispondere al cosiddetto “paradosso della vuota promessa”, la distanza tra ciò che è scritto nelle carte dei diritti e ciò che è praticato ogni giorno, quella voragine che separa i proclami dai fatti mentre il resto del mondo assiste. La contraddizione tra ciò che raccontiamo essere “Europa” e ciò che è davvero. Bisogna tessere una nuova rete tra istituzioni e società civile capace di trasmettere agli europei la prospettiva di vivere in una comunità di destino, superando la strumentalizzazione e il rifugio nei fasti di un passato edulcorato che probabilmente non è mai esistito (Z. Bauman, Retrotopia, 2020). In vista delle elezioni del prossimo anno, le forze progressiste dovrebbero impegnarsi a favorire un percorso di riforme che non può limitarsi più ad accettare i veti contrapposti e i compromessi al ribasso del Consiglio europeo. Non bastano delle nuove regole, abbiamo bisogno di alzare il livello della democrazia per evitare che soffochi dentro i confini dei singoli Stati.

Quale strada intraprendere?

Attualmente l’Unione europea si presenta come un ordine normativo postnazionale, uno spazio decisionale transnazionale sostenuto da delle istituzioni in evoluzione. Un nuovo approccio deliberativo e dialogico e una sistematizzazione degli aspetti partecipativi aperti dall’esperimento della Conferenza sul Futuro dell’Europa saranno determinanti per rafforzare la prossima architettura rappresentativa comunitaria. Serviranno fin da subito anche delle politiche concrete per dare nuovamente alle persone la percezione di una prospettiva di futuro. Con lo European Green Deal e il piano Next Generation EU si sono realizzati dei passi avanti tali da poter affermare che si sta formando il primo chiaro esempio di civiltà cosmopolitica. Occorre però intervenire almeno su tre livelli perché l’Unione europea consolidi questo suo ruolo di riferimento storico alternativo al modello imperiale o dello Stato-nazionale: sul piano istituzionale, politico-economico e ideologico.

Una riforma radicale

Come già accennato, abbiamo bisogno di una chiara riforma istituzionale e costituzionale in senso federale, come per altro richiesto anche dai cittadini consultati attraverso la piattaforma della Conferenza sul Futuro dell’Europa e, successivamente, dal Parlamento europeo. Alcune politiche, in particolare, non possono aspettare. Perché l’Unione europea possa diventare un’alternativa chiara in un ordine internazionale sempre più caotico e diviso tra potenze in competizione dovremo indicare qual è il suo ruolo nel mondo. La guerra in Ucraina ha mostrato per l’ennesima volta la necessità di decidere a maggioranza qualificata in politica estera e di creare una difesa unica al servizio dell’ONU e dell’ordine internazionale. In secondo luogo, non possiamo continuare a investire in una politica migratoria disumana, fondata sul sostegno alle dittature. Da lungo tempo avremmo dovuto: prevedere una nuova azione di salvataggio continentale sul modello di “Mare Nostrum”; favorire una politica estera europea mirata alla salvaguardia dei diritti umani e alla stabilizzazione delle aree di vicinato; riformare il regolamento di Dublino e rivedere l’impianto della politica di immigrazione europea, superando le differenze tra chi scappa dalle guerre o da altre tragedie perché uccidono tutte allo stesso modo. Il nostro stesso linguaggio andrebbe aggiornato a quello di un mondo “cosmopolitico”, superando quella dialettica politica rimasta ferma alle vecchie aporie (U. Beck, La metamorfosi del mondo, 2017). Sul piano interno non basterà sviluppare una vera politica industriale, ma occorre anche un’unica politica fiscale ed economica europea che metta le basi di un welfare continentale capace di garantire la continuità dei diritti sociali a prescindere dalla precarietà delle condizioni della persona. Dobbiamo rimettere al centro la narrazione sullo stato sociale come riferimento per la sicurezza, superando le mistificazioni che lo legano ad una fonte di sospetto, stigma o vergogna. Seguendo la via di queste riforme si potrà ricostituire una società di persone che può tornare a pensare in prospettiva, senza vivere nella spirale della paura del domani (R. Castel, L'insicurezza sociale, 2011). Sul piano ideologico, infine, del rilancio della “concreta utopia”, pensare ad un mondo unito dovrà essere la formula su cui costruire il futuro dell’Unione europea. Come europei abbiamo tutto l’interesse a non volere il ritorno del nazionalismo competitivo sul piano mondiale. Dovremo batterci per un mondo stabile, in cui il multilateralismo e tutti quei valori di civiltà che ci caratterizzano (sviluppo sostenibile, pace e diritti universali) abbiano finalmente un soggetto politico istituzionale a difenderli con un certo livello di credibilità. Il fatto che nell’Unione siano già parzialmente realizzati non ci deve intrappolare nella difesa di un effimero privilegio. Come abbiamo già indicato, ogni valore non è una conquista stabile, ma un processo da riaffermare quotidianamente. Sarà, infine, fondamentale che l’Europa assuma un punto di vista critico sul proprio operato, adottando la stessa “funzione specchio” delle migrazioni anche in politica estera, per superare ogni dimensione di superiorità fittizia, in una proposta di governo della globalizzazione che veda un nuovo modello senza oppressori e vinti (A. Sayad, La doppia assenza, 2002).

Conclusioni

L’Unione europea può effettivamente dimostrare che 193 diverse politiche nazionali non sono in grado di affrontare all’unanimità le sfide del mondo contemporaneo, ma perché il suo prototipo istituzionale sia credibile di fronte ai cittadini europei e del mondo non si deve più rinunciare ad un progetto politico e ideale di riforma radicale. Solo così si può interrompere la spirale negativa per uscire dall’impasse delle crisi d’identità dell’Unione (e degli europei). Un’Europa finalmente capace di avere una visione in politica estera non in contraddizione coi propri valori fondativi è insufficiente a cambiare le sorti dell’umanità, ma sarebbe il primo esempio concreto di un’idea rivoluzionaria. Le ideologie politiche da sempre hanno elaborato i mezzi istituzionali per tradurre in comportamenti effettivi i valori trasmessi: l’Europa è chiamata ad essere l’archetipo di un nuovo umanesimo per concepire finalmente (oltre le minoranze accademiche) l’idea di una democrazia sovranazionale. Alzando lo sguardo, la sfida di questo secolo è l’allargamento dell’orbita della democrazia e dei diritti su scala planetaria, una Costituzione della Terra “che stabilisca i dovere di ogni cittadino del mondo e degli Stati per il rispetto delle condizioni necessarie alla perpetuità della vita sul Pianeta, dunque uno sviluppo sostenibile” (G. Montani, Antropocene, 2022). Perché oggi, ad essere in pericolo, non è soltanto l’avvenire di una singola civiltà, ma è in discussione l’esistenza stessa dell’umanità.