New Green Deal, istruzioni per l’uso: evitare contraddizioni ripartendo dai principi di “democrazia ambientale”

Rainer Maria Baratti
Vice Presidente Large Movements APS

Secondo il report Democracy and the Challenge of Climate Change dell’IDEA, il Cambiamento climatico rappresenta un rischio per la sussistenza dell’ordine democratico e che, se non adeguatamente affrontato, può contribuire all’insorgere di conflitti o movimenti migratori. Il percorso verso la neutralità e la resilienza climatica però presenta molteplici sfide: l’orientamento a breve termine delle scelte di chi governa, la lobby dei combustibili fossili, l’instabilità politica e le debolezze della capacità istituzionale. Date queste problematiche sembra privo di dubbi, almeno a parere di chi scrive, che la democrazia può salvarsi solamente rinvigorendo quegli strumenti democratici che fanno riferimento al concetto di “Democrazia Ambientale”.

Tale concetto trova una sua importante elaborazione nella Dichiarazione di Rio su Ambiente e sviluppo (1992), informando successivamente numerosi atti nazionali, europei e internazionali. Al principio 10 della Dichiarazione viene delineato un sistema di governance secondo cui gli individui e le comunità della società civile devono essere in grado di accedere alle informazioni relative alle questioni ambientali a livello nazionale ed internazionale, devono avere la possibilità di partecipare ai processi decisionali e devono vedersi assicurati un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi che consentano loro di accertare la responsabilità dei governi. Tali principi sono stati codificati in occasione della Convenzione di Århus, implementati attraverso le relative direttive europee e sono confluiti nel nostro ordinamento grazie al Testo Unico dell’Ambiente. Non da ultimo la Convenzione di Århus ha rappresentato un punto di riferimento per la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani relativa all’art. 2 (diritto alla vita) e all’art 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), secondo cui esiste l’obbligo degli Stati di adottare misure ragionevoli e sufficienti, di informare la popolazione e di coinvolgere il pubblico nei processi decisionali che li coinvolge.

Lo stesso Green New Deal, nato per fronteggiare la crisi climatica, dichiara come fondamentali per il raggiungimento dei propri obiettivi la partecipazione di tutti gli stakeholder e la divulgazione di dati accessibili e interoperativi tra loro. Occorre però vedere se lo stesso Deal non cederà il passo a ragioni geopolitiche, agli interessi nazionali o alle differenti crisi che si possono presentare. In tal senso il Deal rappresenta un importante banco di prova per affrontare la crisi climatica rafforzando la legittimità democratica attraverso il coinvolgimento dei cittadini. Da ultimo occorre evidenziare che per il raggiungimento degli obiettivi concorrono anche il NextGenerationEU e il bilancio settennale dell’Unione. Occorre però evidenziare qualche contraddizione tra i proclami del Deal e le diverse politiche in attuazione.

Nell’alveo del NextGenerationEU, possiamo vedere il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano, il quale prevede di impiegare complessivamente, tra il 2021 e il 2026, €191,5 miliardi (mld) per il finanziamento di progetti, di questi circa il 30% (€59,46 mld) sono destinati alla transizione verde. Oltre la missione specifica, tutti i progetti finanziati devono rispettare il principio del “non arrecare danno significativo” (DNSH) agli obiettivi ambientali dell’unione, tra cui rientrano l’adattamento e la mitigazione ai cambiamenti climatici.  Ad oggi però le informazioni sul PNRR e sulla sua gestione sono ancora molto scarse e inadeguate. Per cittadini, associazioni, movimenti, università, centri di ricerca non è ancora possibile monitorare un progetto e il suo impatto sul territorio e sulle persone, andando inoltre contro le disposizioni della legge di bilancio per il 2021 che impegnava il Governo a rilevare i dati di attuazione finanziaria, fisica e procedurale di ciascun progetto.

Anche la Crisi energetica sta incrinando la “vision” proposta dal Green Deal, mostrando le fragilità dell’Unione europea. Il piano REPowerEU ha una forte ragion d’essere geopolitica che si promette di porre fine alla dipendenza dell’importazione dei combustibili fossili dalla Russia e di diversificare le forniture energetiche. Il Piano metterà a disposizioni nuovi prestiti (circa €225 mld) e nuove sovvenzioni finanziate dal sistema di scambio di emissioni (circa €20 mld). Il Piano inoltre mira a coinvolgere altri “partner energetici”, tra cui rientra l’intensificazione della cooperazione con l’Azerbaigian, promuovendo il gasdotto che dovrebbe portare il gas in Europa attraverso la Puglia e che ha già suscitato molteplici proteste locali, e di esplorare il potenziale di esportazione dei Paesi dell'Africa Subsahariana o di implementare progetti di cooperazione per l’installazione di fonti rinnovabili.

Su questo punto le mosse del Governo Italiano non hanno tardato. Non è un caso che nel Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale elaborato dal Ministero dell’Ambiente si legge che il Governo, in coordinamento con ENI e con SNAM, si è attivato per garantire approvvigionamenti di Gas Naturale Liquefatto, tra gli altri, dalla Nigeria, un paese che soffre già dei danni degli sversamenti di petrolio. Analogamente il Fondo Italiano per il Clima muoverà circa €21 mld fino al 2026, finanziando direttamente e indirettamente i progetti di mitigazione e adattamento nei Paesi in via di sviluppo. Il fondo, gestito da Cassa Depositi e Prestiti, coinvolgerà soggetti pubblici e privati.

In entrambi i casi i pericoli sono rappresentati dall’assenza di una normativa vincolante sulla due diligence delle imprese multinazionali che obblighi quest’ultime a prevenire, cessare e riparare i danni ambientali prodotti da esse o dai loro partner commerciali. Attualmente una proposta di direttiva è in discussione presso le istituzioni europee ma presenta delle criticità, tra cui si rileva che andrebbero rafforzate le previsioni legate alla trasparenza e alla consultazione delle comunità colpite. Purtroppo le votazioni del Consiglio europeo del 1° dicembre sembrerebbero andare in direzione opposta.

Il Green Deal può rappresentare una proposta concreta per il futuro climatico, ma occorrono dei correttivi affinché questo futuro possa essere equo, evitando anche di creare un’Europa pulita a discapito dei diritti o dell’ambiente di altre popolazioni.  In tal senso i principi della partecipazione e della trasparenza potrebbero rappresentare degli elementi utili a migliorare la coerenza tra le varie politiche con la vision proposta dal Deal e una maggiore aderenza agli standard internazionali. Tali principi sono fondamentali per migliorare la qualità delle scelte politiche e per renderle effettive.