La guerra ridisegna l’Europa
All’indomani della caduta del Muro di Berlino, l’Europa visse una stagione euforica: moneta unica, allargamento a Paesi dell’ex Patto di Varsavia, consolidamento di un modello economico e sociale che prometteva sicurezza e prosperità come nessun’altra area del mondo. L’euforia per la fine della guerra fredda e il crollo dell’Unione Sovietica resuscitarono il sogno di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, secondo la visione di de Gaulle, e di processi democratici e partnership per la pace che comprendessero anche la Russia. Con il senno di poi, di fronte al disastro umanitario e politico della guerra in Ucraina, si può certo ricordare con amarezza quella prospettiva che gli eventi tragici hanno cancellato per almeno una generazione: pensiamo agli enormi vantaggi commerciali e culturali - sia per i russi, sia per gli europei - che sarebbero derivati da un’Ucraina associata all’UE e militarmente non ostile alla Russia.
La guerra in Ucraina, che la narrazione giornalistica fa scoccare il 24 febbraio 2022, è in realtà in atto da anni e, per la storia d’Europa, va considerata come il capitolo più recente di sviluppi seguiti alla caduta del Muro di Berlino e alla fine della guerra fredda. Sviluppi drammatici che trovarono l’Europa debole e impreparata: il conflitto nella ex Jugoslavia, l’offensiva terroristica, l’implosione dell’URSS, la bocciatura del Trattato costituzionale sull’onda crescente dei populismi, la crisi finanziaria del 2008, la crisi greca, la Brexit.
Le guerre nei Balcani riaprirono ferite etniche e religiose che sembravano sanate dopo due guerre mondiali. L’impotenza dell’Europa impose la riflessione sul ruolo e sull’allargamento della Nato nella regione e ai Paesi dell’Est, provocò l’intervento sussidiario degli Usa, che di fatto misero fine al conflitto combinando diplomazia e intervento armato in Kosovo. Il «bombardamento umanitario», deciso dall’Alleanza per mettere fine ai massacri nella provincia albanese, introdusse una nuova e problematica interpretazione del diritto internazionale, successivamente interpretata secondo convenienza, come si è visto in Crimea ieri e in Donbass oggi.
Va ricordato che il trattato istitutivo della NATO prevede un intervento difensivo nel caso in cui uno dei Paesi membri venga attaccato. Non era questo il caso del Kosovo. Ma si decise che i massacri in corso nella provincia serba imponessero un intervento protettivo contro le forze armate di Belgrado. Intervento deciso a livello NATO in quanto una decisione più internazionalmente condivisa a livello ONU era impossibile per il veto di Russia e Cina. Di fatto, l'intervento della NATO agevolò la secessione del Kosovo e il processo di indipendenza della provincia, ma aprì forti controversie sull'applicazione del diritto internazionale in vari scenari di crisi.
L’Europa a ventisette si rivelò una magnifica architettura ideale, cui venivano però a mancare le colonne portanti della fiscalità e della difesa comuni, mentre la governance politica era condizionata da veti incrociati ed eccessiva burocrazia. L’Europa si scoprì debole e impreparata di fronte alle drammatiche emergenze del nuovo secolo. Soltanto la volontà e la determinazione di alcuni leader - Mario Draghi, Emmanuel Macron e Angela Merkel - riuscirono ad arginare i rischi di implosione, alimentati anche da spinte centrifughe (la Brexit) e da posizioni critiche di alcuni Paesi dell’Est su temi fondamentali, quali la giustizia, l’immigrazione, le relazioni privilegiate con gli Stati Uniti.
Di fronte alla pandemia, l’Europa ha ritrovato coesione e una nuova consapevolezza della propria forza, dei propri valori, della propria “diversità” in un mondo globalizzato. La spinta è venuta da Parigi, Berlino, Roma e dalla BCE. Ma l’euforia è durata lo spazio di un mattino. L’invasione russa dell’Ucraina sembra avere riportato indietro l’orologio della Storia.
La guerra ha reciso i legami culturali ed economici con la Russia. La Nato si è allargata ai Paesi baltici e scandinavi. Nonostante la giusta condanna dei massacri e della politica aggressiva del Cremlino, cade nel vuoto il monito di Henry Kissinger se sia nell’interesse dell’Europa ridurre la Russia a Paese paria, tanto più che le democrazie occidentali restano minoritarie nel pianeta, sia come sistema politico, sia come peso specifico di abitanti.
Oggi la retorica dell’Europa forte e compatta, che apre le porte a nuovi membri e sostiene con armi e aiuti finanziari la resistenza di Kiev deve misurarsi con conseguenze devastanti del conflitto: crisi economica ed energetica, divisioni politiche crescenti all’interno dei singoli Paesi, costo economico della ricostruzione di cui l’Europa dovrà in parte farsi carico, ricaduta sociale di nuovi flussi migratori, dipendenza energetica da Paesi mediorientali poco affidabili sul piano dei diritti. Non ultimo, la messa fra parentesi delle politiche di transizione ecologica che comporta, fra l’altro, la riapertura di centrali a carbone. Fino a che punto saranno sopportabili caro bollette, lampioni spenti, termosifoni, più bassi e calo delle esportazioni in nome della guerra economica alla Russia?
La visita di Macron, Draghi e Scholz a Kiev doveva offrire un grande messaggio di coesione e di forza dei tre maggiori Paesi europei che tuttavia gli sviluppi politici interni non hanno certo confermato.
In Francia, si è vista la clamorosa sconfitta di Emmanuel Macron alle legislative, a vantaggio di movimenti di estrema destra e di estrema sinistra i cui leader (Marine Le Pen e Jean Luc Mélenchon) sono critici verso la Nato e strizzano l’occhio a Putin. In Germania, il cancelliere Scholz è precipitato nei sondaggi e le misure finanziarie adottate in modo unilaterale per far fronte alla crisi energetica hanno incrinato il rapporto con Parigi. In Italia, le dimissioni di Draghi erano nell'aria da tempo. Il clamoroso successo di Giorgia Meloni e della coalizione di destra-centro hanno subito messo in fibrillazione le capitali europee e lasciato immaginare nuovi scenari e nuovi equilibri. Lo scontro con la Francia sulla questione migranti, per quanto medicato da successivi chiarimenti, ha lasciato sul tavolo uno strascico di diffidenza e interrogativi, in particolare sul ruolo di “guastatore” del ministro Matteo Salvini.
Giorgia Meloni ha ribadito il senso di marcia indicato all’inizio del mandato per sgomberare il campo dal pregiudizio storico sulla sua compagine di destra: ovvero l’adesione senza riserve a valori europei e atlantici, peraltro suggellati questi ultimi dal caloroso incontro con il presidente USA, Biden. Tuttavia le fibrillazioni in Europa e la tentazione di battere i pugni sul tavolo a Bruxelles lasciano intravedere un percorso meno lineare, in cui sono emersi una forte enfasi sul rapporto con la Nato e la Casa Bianca e un raffreddamento nei confronti di Parigi e Berlino.
La guerra in Ucraina ha cambiato molti scenari in Europa. L’allargamento della Nato ai paesi baltici e a nuovi membri ad Est sposta in quella direzione anche il baricentro del vecchio continente. Una nuova “cortina di ferro” si profila ad est, disegnando una nuova frattura e una nuova confrontazione permanente. Forse un nuovo equilibrio della paura.
Intanto la guerra ricorda sempre più un grottesco gioco dell’oca che ne dimostra la sua insensatezza: fra Kiev che non può perdere e Mosca che non può vincere, si delinea uno scenario “siriano”, lo status quo armato, come in “niente di nuovo sul fronte occidentale”, il romanzo-verità della Grande Guerra nel cuore dell’Europa che oggi sembra riscritto.