Europeismo: l’equilibrio tra diversitá ed obbiettivi
L’europeismo – intenso nel senso più generale del termine – deve dimostrare di essere sufficientemente flessibile se vuole sopravvivere alle avversità odierne. Questo imperativo non richiedere una rinuncia ai principi cardine dell’Unione Europea, a valori basati su pace, prosperità e soluzioni condivise a problemi comuni. Richiede, tuttavia, una riflessione sul come sia possibile creare una visione positiva per l’Unione, che sia coerente e progressista ma che allo stesso tempo sia in grado di adattarsi ai naturali cambiamenti di prospettive ed opinioni all’interno della società europea.
Al fine di costruire questa visione positiva, dobbiamo cominciare da una riflessione sincera sullo stato dell’integrazione europea. Dobbiamo accettare che é possibile essere pro-europei pur riconoscendo difetti nei meccanismi delle istituzioni comunitarie o nella pianificazione delle politiche europee. Dobbiamo accogliere queste critiche e, laddove appropriato, avanzare delle soluzioni per affrontarle. Dobbiamo inoltre riconoscere più apertamente che l’europeizzazione – così come la globalizzazione – ha portato benefici concreti e duraturi ai cittadini europei ma non ha sempre portato gli stessi vantaggi a tutti. Alla lunga, tale onestà e umiltà rafforzeranno l’Unione. Infatti, potrebbero essere l’unico modo per assicurarne la tenuta.
Un dibattito aperto ed inclusivo, non solo in tutta Europa ma anche trasversale ai diversi segmenti sociali, getterebbe le fondamenta necessarie per la costruzione di una consapevolezza comune di quali debbano essere le priorità e la direzione di marcia dell’Unione Europea al giorno d’oggi. Come sottolineato da Marco Piantini nella sua introduzione, é certamente possibile per l’europeismo trovare un’accettabile via di mezzo fra federalismo e funzionalismo. Per definizione, il raggiungimento di una posizione comune dovrebbe scaturire da uno spirito di compromesso.
Un dibattito realmente strutturato richiederebbe tempo, oltreché la capacità di ascoltare attivamente e rispondere coi fatti. Di certo, presupporrebbe la partecipazione attiva dei cittadini, spesso evanescente a causa di fattori quali apatia, la percepita mancanza di informazioni attendibili e la presenza di numerose altre preoccupazioni legate alla vita quotidiana. In aggiunta, questo dibattito avrebbe luogo in un contesto turbolento, nel quale i valori europei sembrano sotto attacco in tutti gli angoli dell’Unione. Dialoghi con i cittadini – come quelli promossi dalla Commissione Europea, Emmanuel Macron o altri – sono iniziative lodevoli ma devono rappresentare solo un primo passo verso un dibattito di più ampio respiro sul futuro dell’Europa.
Di recente, la gran parte delle riflessioni sul rinnovamento dell’Unione Europea si é focalizzata sul tema dell’integrazione politica (soprattutto per l’eurozona). Numerose ragioni sono state avanzate per giustificare la creazione di un’unione politica all’interno della zona euro. Queste proposte includono la creazione di un Ministro delle Finanze, di un bilancio o addirittura di un parlamento dedicati specificatamente all’eurozona. Tali sforzi sono tesi a facilitare il completamento dell’unione economica e monetaria nonché, più in generale, a far avanzare l’integrazione europea.
Dobbiamo prestare molta attenzione, tuttavia, nel sviluppare modelli di integrazione politica che possono avere l’effetto di tagliare fuori alcune parti dell’Unione. Sebbene focalizzarsi sulla zona euro possa sembrare logico visto che 19 dei 28 (presto 27) Stati fa uso della moneta unica, i rimanenti 9 (presto 8) rappresentano una corposa minoranza. Le opzioni al vaglio per il futuro dell’Europa dovrebbero essere il più possibile inclusive ed evitare di separare Stati sulla base della loro partecipazione all’euro o esacerbare altri tipi di differenze.
Infatti, la situazione degli Stati che non hanno adottato l’euro é già di per sé un problema pressante. Anche in assenza di una riforma radicale dell’Unione Europea, la loro posizione diventerà progressivamente più difficile con il progredire dell’unione economica e monetaria. Ignorare questo aspetto sulla base della presunzione per cui (quasi) tutti gli Stati membri finiranno con l’adottare la moneta unica non é una risposta adeguata. Mantenere un’unità di propositi tra tutti gli Stati membri dovrà essere un obbiettivo essenziale per l’UE se vuole avere successo.
L’uscita dall’Ue del Regno Unito, la nazione europea più grande ed influente al di fuori della zona euro, avrà un impatto considerevole su queste questioni. Vale la pena ricordare che la poi defunta “ri-negoziazione” della partecipazione del Regno Unito nell’Ue portata a termine da David Cameron prima del referendum sulla Brexit includeva un numero di misure riguardanti i diritti degli Stati non-euro. Potrebbe essere prudente riprendere in considerazione alcune di queste idee in futuro. Il gruppo degli stati non-euro si rimpicciolirà – in dimensioni ed influenza – ma i vecchi problemi si ripresenteranno.
Il caso della Scozia fornisce un esempio interessante circa la differenza tra il supporto pubblico per l’Unione Europea da una parte e per la moneta unica dall’altra. Sottolinea, inoltre, l’importanza di adottare una concezione sufficientemente aperta di europeismo. Non é difficile dimostrare che la Scozia sia un Paese pro-europeo. In occasione del referendum sull’uscita dall’Unione Europea del 2016, il 62% dei votanti scozzesi si espresse a favore della permanenza nell’Ue.
Il dibattito che precedette il referendum sull’indipendenza del 2014 non si focalizzò sul se la Scozia dovesse essere parte dell’Ue, ma su quale dovesse essere la strada per diventarne membro. Prima della Brexit, tutti i partiti politici rappresentati nel parlamento scozzese dimostrarono chiaro supporto per l’integrazione europea. I sondaggi hanno mostrato stabilmente che una corposa maggioranza dell’elettorato scozzese rimane a favore dell’Unione Europea.
Allo stesso tempo, tuttavia, i sentimenti nei confronti dell’euro – nel contesto di un’eventuale raggiungimento dell’indipendenza dal resto del Regno Unito – sono negativi. I sondaggi danno il supporto per l’adozione della moneta unica in Scozia al 10% circa. Le discussioni sull’indipendenza rimangono aperte e le opinioni sulla moneta unica possono certamente cambiare col passare del tempo. Tuttavia, nella sua veste di potenziale Stato membro favorevole all’integrazione ma scettico nei confronti dell’euro, come potrebbe un Paese come la Scozia farsi spazio nell’Unione? Il caso scozzese fornisce a tal proposito una chiara dimostrazione di come prospettive diverse possano puntare verso una stessa direzione europea.
Nella sua incarnazione moderna, l’europeismo deve radicarsi in una visione positiva circa il futuro dell’Unione Europea, che sappia attrarre il supporto di quanti più cittadini europei possibile. Dobbiamo essere capaci di bilanciare la facoltà di alcuni Stati membri di portarsi avanti (senza aspettare gli altri) con lo sviluppo di certe politiche europee con il mantenimento di una coesione generale all’interno dell’Unione. Dobbiamo essere cauti nel creare formalmente un’Europa a geometria variabile se questo non risulta essere un obiettivo condiviso e se genera il timore di lasciare indietro alcuni Stati e popoli. Un’Europa destinata al successo é quella che, in ugual misura, accetta la sua eterogeneità e lavora in direzione di obiettivi condivisi.