Riflettendo sul futuro delle migrazioni

Sergio Bassoli
Area Internazionale CGIL

Se prima della pandemia il dibattito sui migranti era un tema spinoso e veniva trattato solo come epifenomeno, da affrontare nella sua componente finale, dell’accoglienza e delle frontiere, trasformandolo spesso in un dibattito ideologico, ora, la discussione di fondo, non può più essere rinviata, e va posta nel dibattito sul futuro della nostra società, non si possono più eludere le cause e e costruire le risposte con un nuovo paradigma, un nuovo modello di sviluppo sostenibile per l’insieme dell’umanità.

Il virus COVID-19 ha cambiato tutto. Ha messo a nudo la fragilità delle nostre sicurezze e quanto fossero sbagliate le valutazioni sul nemico e sui pericoli da cui difenderci. Ma il tema e la necessità di riflettere sulle migrazioni di massa, senza distinzioni tra migranti economici, ambientali, richiedenti asilo o altra categoria di essere umani,  rimangono valide ed urgenti, anzi fanno parte anch’esse della domanda che attraversa tutto il mondo: “... come saremo e come usciremo da questa crisi pandemica ?”. 

Da più di trent’anni, assistiamo alla crescita dell’accanimento mediatico e politico nei confronti dei migranti, come il principale pericolo per la nostra società.  Questa narrazione, si è affermata tra le forze politiche di destra che, ad ogni crisi ciclica, individua sempre nei migranti la principale causa.  Leggiamo e sentiamo dire che, se non saremo in grado di fermare il flusso migratorio verso casa nostra, perderemo la nostra identità, che i migranti ruberanno i posti di lavoro ai nostri giovani e porteranno nuove malattie sconosciute, che entreranno, dissimulati,  i terroristi, e quant’altro ancora con la finalità di produrre paura, rifiuto ed odio tra la popolazione.

Preso atto che che a casa nostra non li vogliamo  e che non c’è posto per quella gente lì, la narrazione dei sovranisti-nazionalisti-xenofobi, mette  in scena il secondo atto: fare in modo che rimangano a  casa loro. É bene quindi chiudere porti e frontiere, respingerli, lasciarli morire in mezzo al mare o nel deserto o nei gelidi Balcani, meglio il più possibile lontano dai nostri confini. Chi non si arrende a questa barbarie,  chi si impegna nel soccorso  è criminalizzato, accusato di collaborare con i trafficanti di esseri umani.  Chi assiste ed accoglie è un opportunista, speculatore ed imbroglione, se non traditore della patria.

Assistiamo, increduli, al riemergere di un pensiero che pensavamo di avere sconfitto definitivamente, e che invece è ritornato nella nostra società, con tutto il suo portato di orrore e di violenza, a cui le istituzioni democratiche, nazionali come europee, non hanno ancora saputo costruire risposte chiare, strutturate, di lungo periodo, capaci di tenere uniti, i principi ed i valori fondanti delle nostre democrazie conquistando così il consenso dell’opinione pubblica.

Il nuovo Patto Europeo sui Migranti e Rifugiati ne è la conferma. L’Unione Europea ed i suoi stati membri, non riescono ad andare oltre ad una semplice quanto doverosa  richiesta del rispetto della legalità, del dovere di accoglienza e di assistenza umanitaria, ponendo però, condizioni e limiti. Confermando il ricorso alla militarizzare del mare Mediterraneo, alla chiusura di porti e frontiere, alla stipula di accordi con governi e regimi, che sappiamo non essere in grado di garantire il benché minimo standard di rispetto dei diritti umani, pur di tenere lontano dai propri confini il flusso dei migranti e richiedenti asilo. I centri di accoglienza sparsi dentro e fuori il territorio europeo presto diventano centri di detenzione, veri e propri lager, dove si consumano violenze e dove si saldano i legami tra chi fugge e le organizzazioni criminali e l’illegalità. Si rafforza così l’immagine della “fortezza Europa”, con i suoi gendarmi ai confini, con i respingimenti assunti a indicatore di successo. Si consuma così l’ennesima rinuncia ad investire nelle politiche di sviluppo sostenibili e generatrici di un benessere diffuso, dentro ed oltre i confini comunitari, indispensabili per ridurre la pressione dei fattori di espulsione e di attrazione, causa scatenante delle migrazioni di massa forzate.

Scelte e decisioni che complicano un quadro già di per sé complesso, spostando in avanti il problema, lasciandolo per chi arriverà dopo, così che di rinvio in rinvio, il problema cresce.

Oggi  si stima che nell’Unione Europea vi siano oltre cinque milioni di stranieri irregolari (sans papiers), e forse una cifra simile trattenuta fuori dai confini, dal Marocco, ai Balcani. Mentre, il flusso migratorio a livello mondiale, è oramai vicino ai 300 milioni di persone, comprendendo richiedenti profughi e richiedenti asilo. Ma, se non avverrà un cambio radicale nel modello di sviluppo dominante, i candidati a migrare saranno sempre di più.

La non soluzione di oggi , non rappresenta una soluzione per nessuno, tanto per chi si vuole chiudere nei propri confini,  come per chi è costretto a migrare mettendo rischio la propria vita.

Le politiche securitarie ed i respingimenti, non fanno altro che alzare il prezzo del viaggio, aumentare i rischi, le sofferenze e le violenze, lasciare chi fugge e chi chiede protezione, nelle mani di chi commercia in essere umani, dentro e fuori i nostri confini, aprendo un’autostrada al mercato dell’illegalità, della corruzione, della tratta umana, di nuove forme di schiavismo che incidono, negativamente in ogni ambito e luogo della nostra società.

La questione, ovviamente, è complessa. Ad esempio, affrontare il tema delle migrazioni partendo dalla cronaca quotidiana, pur essendo indispensabile viste le tante emergenze che si susseguono, gli sbarchi, il soccorso in mare, gli esodi di massa dalle guerre o dalle inondazioni, non permette di avere una visione complessiva e profonda del fenomeno e quindi, difficilmente, travolti da queste emergenze riusciremo ad individuare risposte in grado di cambiare il corso degli eventi. Occorre quindi compiere uno sforzo ulteriore, inquadrando il fenomeno migratorio nella sua interezza, considerandolo parte della nostra esperienza di vita e parte integrante del nostro progetto di futuro, maturando la consapevolezza che pace, benessere e sicurezza, molto dipenderanno da come sapremo sconfiggere i fattori di espulsione e di attrazione che costringono milioni di persone a fuggire dalla propria casa. 

La storia ci insegna che la migrazione è parte integrante dell’esperienza umana da oltre 150mila anni. Se i nostri antenati non avessero deciso di muoversi dall’Africa per scoprire nuove terre e fondare nuove società, oggi non saremmo qui a scrivere questa storia. Partendo dall’asse del tempo, risulta evidente che gli stati nazione, in confronto alla migrazione umana, sono dei neonati,  strutture con qualche secolo di vita, mentre viaggiare, spostarsi, esplorare, creare nuovi insediamenti, mescolarsi tra gruppi e comunità diverse, sono esperienze vitali e trascendenti per l'intera umanità, dal suo esordio sul pianeta-terra ad oggi. Pensare di fermare questa esperienza  con muri o con eserciti schierati, ha sempre e solo portato a guerre,  distruzioni e morti, per altro, senza riuscire a fermare le migrazioni, ma aumentando le sofferenze e le ingiustizie.

Con la conquista delle Americhe, oltre cinque secoli fa, l'umanità si è appropriata dell'intero pianeta, abitandolo ed approfittando delle risorse esistenti. La colonizzazione di quelle terre, il genocidio delle popolazioni indigene, lo schiavismo, attraverso la cattura ed il trasferimento di milioni di africani nelle Americhe ed in Europa, ha reso possibile l’avvio della produzione industriale e la concentrazione di beni e capitali nelle nazioni che oggi attirano i grandi flussi migratori, lasciando in povertà quelle comunità da cui si estraggono le materie prime e da cui si prese la mano d’opera schiava.

Dietro le tante conquiste scientifiche, economiche e sociali del mondo occidentale vi è anche questa storia, la storia dei vinti e degli oppressi, da cui originano i problemi di oggi, i limiti del nostro modello di sviluppo, le diseguaglianze, i disastri ambientali ed il cambiamento climatico. Nonostante il progresso e la modernità, le società che compongono la comunità globale,  non sono state in grado di eliminare la povertà, lo sfruttamento, le guerre, e gli altri mali che determinano la crescita dei fattori di espulsione e di attrazione dei flussi migratori, fino a rendere la fuga dalla propria casa come l’unica soluzione possibile.

L’atto del migrare consiste nel cambiare di luogo di residenza, di lavoro o di studio o di ricongiungimento. Un’azione che possiamo collocare tra le facoltà ed il diritto di ogni essere umano a muoversi liberamente nel rispetto delle leggi vigenti. Oggi per un italiano è possibile spostarsi liberamente e migrare nel territorio nazionale e dell’Unione Europea, come  per un africano del Senegal o di altro stato dell’ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) è possibile migrare all’interno di questo grande spazio, comprendente ben16 stati africani. Per non parlare di un cittadino del nord d’America che si può muovere tra tutti gli Stati Uniti d’America. Quindi, muoversi liberamente si può, non è una  minaccia, anzi è una risorsa ed un’opportunità per tutti. Occorre comprenderlo e crearne le condizioni, riducendo al minimo i fattori di espulsione e di attrazione che, come abbiamo visto, nel corso dei secoli, anziché regredire, sono in costante crescita,  inducendo così alle migrazioni forzate, a vere e proprie fughe alla ricerca di protezione e di condizioni di vita decenti che, però, non possono essere risolte né con le misure di chiusura delle frontiere, né con la sola accoglienza ed assistenza umanitaria. 

A maggior ragione oggi, che  non siamo più di fronte ad una realtà come quella dei secoli scorsi, quando a seguito della indipendenza delle colonie dei grandi imperi, i nuovi stati indipendenti, bisognosi di ampliare la frontiera verde o di attrarre mano d’opera per le industrie o, va ricordato, per sostituire le popolazioni indigene, si facevano promotori dell’immigrazione di massa. Ricordiamo tutti le storie degli europei che, tra la fine del secolo XVIII ed la prima metà del secolo XX, emigrarono nei Nuovi Continenti, dall’America all’Australia. Fasi storiche dove la richiesta di mano d’opera e di nuovi cittadini hanno aperto le porte a milioni di migranti di ogni ceto e classe sociale. Quanta Europa ritroviamo nelle Americhe, dal Canada alla Patagonia ?

Oggi la caratteristica dei flussi migratori, è principalmente condizionata dall’aumento dei fattori di espulsione: dalla povertà e dalla miseria, dalla perdita delle risorse necessarie per vivere, dalla repressione politica, dalla persecuzione religiosa, dall’omofobia, dallo sfruttamento e dalle nuove forme di schiavismo, dalle guerre, dal terrorismo, dal cambio climatico, desertificazione o inondazione.

Il flusso migratorio assume dimensioni sempre più crescenti, spopolando paesi e villaggi, o intere regioni e stati. L'allarme è giustificato ed è un dovere garantire assistenza e protezione a chi fugge e chiede aiuto, ma questo dovere comprende anche agire sui fattori di espulsione/attrazione, altrimenti, se non si eliminano le cause, l’allarme diventa cronicità, si allarga e cresce fino ad esplodere. 

Milioni di persone sono ammassate alle frontiere dei paesi ricchi, chi riesce ad entrare in modo illegale è preda del racket dello sfruttamento. In assenza di canali e corridoi di ingresso, ci fugge si consegna o diventa facile preda di organizzazioni che commerciano in mano d’opera come il mercato della kafala, diffuso tra Asia e paesi arabi, o ad intermediari chiamati coyotes, passeurs, scafisti, a seconda del continente,  pagando migliaia di euro, indebitando sé stessi e la propria famiglia, rischiando la propria vita nel deserto, in mare o nel fondo di un cassone di un Tir.

I sistemi di accoglienza e le comunità locali, dove transitano  e si concentrano i migranti di oggi, non reggono più l’impatto nonostante gli sforzi encomiabili di associazioni e di enti locali.

Questo è ciò che succede in Europa, Centro America fino al confine tra Messico e gli USA, in Marocco sulla frontiera con la Spagna, nei Balcani, nel deserto tra Algeria, Niger, Mali, Libia, in Asia nella frontiera tra Thailandia e Myanmar, nei Paesi del Golfo, un elenco che potrebbe proseguire ancora, ma ciò è sufficiente a disegnare la dimensione globale del fenomeno, strettamente collegato e dipendente dal divario delle condizioni di vita, dalle diseguaglianze crescenti, dall’impossibilità per una grande massa di esserei umani di poter vivere dignitosamente, in pace, nelle loro comunità, quindi, a dover migrare forzatamente.

La sfida che non possiamo più rinviare, come ho già ricordato, è quella di tenere insieme il rispetto, l’affermazione ed il consolidamento delle conquiste politiche, economiche, civili e sociali con il benessere, le libertà individuali, la sicurezza, l’uso sostenibile del pianeta-terra, inteso come bene inalienabile, senza il quale sarebbe la fine per tutti. Diritti e crescita, benessere e salute, libertà di movimento e doveri, quindi, diritto di poter scegliere se stare o se migrare.

Difficile, sì,  ma è urgente farlo. Se solo pensiamo all’Europa, a quanto sia difficile trovare una sintesi, tra i 27 stati membri, in grado di delineare una politica di lungo e largo respiro inquadrando il fenomeno migratorio nella visione di futuro dell’Europa dentro il sistema mondo, con tutte le interdipendenze e le conseguenze che ogni scelta politica nazionale  o regionale debba tenerne conto. Nonostante, sia ormai chiaro, che non è possibile pensare di proteggere il benessere, la sicurezza, la pace dentro i confini europei, o addirittura dentro quelli di un singolo stato membro, se tutt’attorno, proliferano povertà, ingiustizie, guerre, sfruttamento. Siamo stati avvisati dalla crisi finanziaria, dal cambio climatico, dal virus pandemico, noi tutti siamo chiamati a fare i conti con il sistema mondo. Questo è l’orizzonte, questa è la dimensione e la “taglia del vestito” che dobbiamo disegnare, cucire ed indossare.

Quindi, la strada da percorrere per affrontare la questione migratoria in tutto il suo portato, prima, durante e dopo, non può essere che quella dell’approccio di sistema, globale ed universale, partendo da un profondo impegno pedagogico, culturale e politico per affermare o rafforzare la  consapevolezza e la responsabilità che tutti noi apparteniamo ad una grande ed unica comunità, chiamata umanità, dove ogni essere umano è titolare di molteplici identità, locale, nazionale, regionale, continentale, globale, ognuna delle quali è un valore e deve convivere e crescere insieme alle altre. Questo percorso è indispensabile perché ci porta ad affrontare la questione dell’altro, dello straniero, non più come un estraneo o un intruso o una minaccia per la mia casa, per il mio posto di lavoro, per la mia cultura, ma entrambi siamo parte di una stessa comunità, siamo parte di un ingranaggio complesso e di una storia comune, abbiamo uguali diritti e doveri, e  non possiamo stare bene, tranquilli, sicuri ed in pace se uno o l’altro non ha accesso ai diritti fondamentali, se lo stare ben dell’uno significa lo stare male dell’altro.

Le istituzioni, i governi, la società civile, tutti quanti dobbiamo prendere questa strada, e rapidamente, perché non esistono alternative. Gli strumenti, le conoscenze, le norme per intraprendere la strada giusta sono già a nostra disposizione. Da oltre un secolo, prima con la Società delle Nazioni, poi con la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, si è creato un sistema normativo internazionale fondato sul ripudio delle guerre, sulla pace e sui diritti umani universali, che rappresenta le fondamenta del governo del pianeta, frutto della volontà di stati e nazioni.  Abbiamo, quindi, un articolato insieme di regole, accordi, trattati, convenzioni per poter applicare i principi ed i valori dell’uguaglianza, delle libertà, della giustizia e dell’universalità dei diritti umani. Dobbiamo vincere le resistenze, le paure, gli egoismi e gli interessi di parte, rispondendo ai sovranisti ed ai nazionalismi rilanciando il multilateralismo e la cessione di sovranità anzionale in favore delle integrazioni regionali fino a quella globale, dando vita ad una profonda riforma del modello di sviluppo per renderlo sostenibile ed al servizio dei bisogni dell’intera umanità, riformulando le politiche economiche e commerciali in funzione della riduzione delle diseguaglianze e la crescita della cooperazione e della solidarietà.

La questione migratoria affrontata, così, nella sua interezza, con una visione sistemica ed universale, parte integrante dell’esperienza della famiglia umana, ci permetterà di convivere con una migrazione ordinata, regolare, sicura, ma soprattutto come libera scelta e non più come fuga. 

La strada maestra è tracciata, a noi tutti il dovere di percorrerla.