Politiche per la gestione delle migrazioni

Maurizio Melani
Ambasciatore, Professore di Relazioni Internazionali Link Campus University, Co-Presidente del Circolo di Studi Diplomatici

La pressione migratoria

Iniziamo dall'evidenza. La spinta migratoria è irrefrenabile. Può e deve essere disciplinata e mitigata ma non può essere impedita. La determinano i differenziali demografici ed economici tra sud e nord del mondo e tra diverse aree del sud, i cambiamenti climatici e della biodiversità con tutti i loro effetti, i conflitti che ne sono in buona parte la conseguenza assieme a quelli derivanti da una globalizzazione non governata con i contrasti per il controllo delle fonti di energia e di minerali indispensabili alla transizione energetica e all'evoluzione digitale a ritmi accelerati, le conseguenze sulle popolazioni di contrasti per l'affermazione di equilibri di potere globali e regionali in un mondo multipolare. Si tratta di conflitti spesso amplificati dall'incidenza di fondamentalismi e identitarismi di ogni sorta, frutto di riemersi retaggi della storia, di frustrazioni e disperazioni, della ricerca di soluzioni semplificatrici per uscirne e della loro strumentalizzazione nei perseguimenti contrapposti di quegli equilibri. I movimenti di popolazioni che ne derivano e che al tempo stesso ne sono in parte la causa sono prevalentemente a livello regionale ma una componente cerca di dirigersi verso l'Europa e il Nord America.

A fronte di questa realtà le aree sviluppate dell'Occidente, in senso politico-economico-sociale e non geografico, dal Nord America all'Europa, dall'Australia al Giappone, hanno bisogno, in dimensioni diverse, di immigrati per la sostenibilità dei loro sistemi economici e di protezione sociale in presenza di progressivi invecchiamenti delle popolazioni, di cali demografici e di riduzioni della disponibilità di forza lavoro malgrado, con apparente paradosso, più o meno alti livelli di disoccupazione.

Il blocco dell’immigrazione legale, cause e conseguenze

Eppure nonostante ciò sono praticamente decenni che le immigrazioni legali sono sostanzialmente bloccate in Europa, in particolare in Italia a causa soprattutto della legge Bossi-Fini. Tra le ragioni di questo blocco vi è la presenza di reazioni identitarie, fino alla xenofobia, alla presenza di stranieri soprattutto quando e dove l'integrazione è più difficile, amplificata da propagande dirette a costruire fortune politiche su tali temi, dalla carenza di una adeguata informazione sul fenomeno, dalla strumentalizzazione in questo senso dei fenomeni di terrorismo che vengono utilizzati per impropri accostamenti. Tali reazioni sono aumentate più recentemente anche a causa dei disagi sociali provocati dalla crisi economica iniziata nel 2008 e aggravatasi in alcuni paesi europei dal 2010 e poi ovunque dalla pandemia, dalle modalità con cui la crisi è stata affrontata in Europa, dai problemi posti da alcuni effetti della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica su settori più vulnerabili delle popolazione autoctone. A questo riguardo un grande impegno è necessario sul piano culturale diretto a costruire le condizioni per l'accettazione di una società che inevitabilmente sarà sempre più multietnica, multireligiosa e interculturale. Essenziale a questo riguardo sarebbe in Italia l'adozione della legge sullo ius soli/ius culturae per l'acquisizione della cittadinanza quale fattore di integrazione. Da spingere in Parlamento senza coinvolgimento dell'attuale Governo diviso su questo punto, come accaduto altre volte nella storia repubblicana su altre leggi di progresso civile. L'integrazione comporta inoltre dei costi per i quali vanno trovate adeguate risorse.  

Dal sostanziale blocco delle migrazioni legali deriva che l'unico modo per entrare o rimanere in Europa è sostanzialmente quello della richiesta di asilo con la motivazione di persecuzioni, di condizioni di insicurezza estrema e della mancanza di diritti che secondo le convenzioni internazionali e, per quanto riguarda l'Italia, la nostra Costituzione danno diritto allo status di rifugiato. Molte volte queste motivazioni sono ingiustificate se ci si basa sulle basse percentuali di richieste di asilo che vengono accolte. E siccome la richiesta di asilo può essere fatta soltanto una volta arrivati nel paese sicuro che si vuole raggiungere o dal quale si ritiene che lo si possa raggiungere, i viaggi sono effettuati nelle condizioni che ben conosciamo oppure attraverso l'uso improprio di visti turistici, di studio o di altro tipo per chi appartiene alle classi più abbienti e ha superato il complesso filtro per la concessione dei permessi di ingresso temporanei.

Gli interessi dei paesi di provenienza

A chi viene negata la concessione dello status di rifugiato o di altra forma di protezione umanitaria viene imposto il rimpatrio ma sono pochi i rimpatri che si realizzano. È necessaria la collaborazione dei paesi di origine che hanno scarsa propensione a concederla gratuitamente. L'emigrazione, come ben sappiamo dalla nostra storia, è un importante fattore di sviluppo, di acquisizione di preziose rimesse, di piccoli capitali da reinvestire, di conoscenze. Le rimesse costituiscono per la grande maggioranza dei paesi africani la maggiore fonte di flussi finanziari, più degli aiuti pubblici allo sviluppo e dopo gli investimenti diretti laddove e quando questi sono possibili. Senza consistenti canali di migrazioni legali molto difficilmente o in misure minime il paese di origine consentirà rimpatri di migranti illegali. E in più vorrà sostegni al suo sviluppo che producano occupazione, profitti per imprese locali, redditi per chi vi lavora e per l'indotto, nonché un migliore accesso dei suoi prodotti ai mercati della controparte non soltanto per il tramite di concessioni tariffarie ormai difficilmente migliorabili se non in alcuni settori sensibili.

Nei rapporti tra Europa e Africa un accordo globale su questi temi è spesso evocato ma poi non affrontato in modo concreto ed efficace.

Rimpatri contro migrazioni legali e sostegno allo sviluppo non sono comunque possibili con certi paesi ove gli standard di rispetto dei diritti umani sono ai livelli minimi. A chi l'asilo viene rifiutato perché si è ritenuto che non ne avesse i requisiti, molto probabilmente tornando nel proprio paese subirà vessazioni di vario tipo, fino alle più estreme, per aver screditato il governo del paese stesso. Lo stesso vale per il dirottamento in certi paesi terzi dei migranti dei quali secondo le convenzioni internazionali vanno esaminate le domande di asilo. È singolare che il Governo danese, in violazione di quelle stesse convenzioni e dell'esigenza di mantenere un fronte comune europeo, abbia deciso di avviare trattative con alcuni paesi tra i quali l'Eritrea, ove il meno che si possa dire è che non vi sono garanzie di rispetto dei diritti umani, in cambio di non si sa quali contropartite.

Gli arrivi dal Mediterraneo Centrale

Arrivando al concreto per quanto riguarda l'Italia e la rotta migratoria irregolare del Mediterraneo Centrale, la più letale sotto il profilo dei naufragi e degli annegamenti in mare, dopo la stagione che con la missione Mare Nostrum privilegiava i salvataggi l'azione politica degli ultimi anni da parte dei governi che si sono succeduti, sia pure con modalità e linguaggi diversi, è stata diretta soprattutto ad impedire gli arrivi sulle nostre coste e per quanto possibile le partenze dalla Libia. Da qui i sostegni in mezzi, in assistenza tecnica e finanziari alla Guardia costiera libica, e accordi remunerati in vario modo, come è inevitabile che sia, con entità locali per bloccare il flusso e contrastare il traffico di esseri umani da parte di organizzazioni criminali a volte colluse con quelle stesse entità, lasciando ad organizzazioni non governative, quando queste non sono state apertamente osteggiate come durante il cosiddetto Governo giallo-verde ad opera soprattutto del suo Ministro dell'Interno, una residua ma non facilitata attività  di soccorso in mare che ha però soltanto limitato i naufragi. Alcuni risultati si sono ottenuti in termini di riduzioni degli arrivi, che i Governi Gentiloni, Conte II e l'attuale hanno gestito in modo più umano rispetto al Conte I, ma comunque al costo della tolleranza di fatto di gravi violazioni di diritti se non di brutali azioni ai danni dei migranti. Le condizioni nei campi di detenzione libici sono quelle che conosciamo. E chi viene preso dalla Guardia costiera libica vi viene riportato con un ulteriore peggioramento delle sue condizioni.

Chi sono questi migranti? Le tipologie e le origini sono varie. La Libia prima degli eventi del 2011 era un paese di immigrazione dall'Africa Sub Sahariana e in misura minore dall'Asia oltre che dall'Egitto. Gli impieghi erano essenzialmente nelle costruzioni, nei servizi, nel lavoro domestico. Altri erano impegnati in alcune delle strutture militari di cui si serviva Gheddafi per controllare il paese. Una parte di questi ultimi si sono riciclati in milizie operanti nel Sahel. Gli altri delle varie categorie sono rimasti intrappolati nelle mani di gruppi criminali estorsivi o di improbabili strutture ufficiali, e per fuggire dall'inferno in cui si trovano hanno dovuto affidarsi ad organizzazioni criminali per tentare il viaggio verso l'Europa assieme ai molti altri giunti successivamente attraverso il deserto per tentare la stessa sorte, sempre sotto la gestione di gruppi criminali polivalenti impegnati oltre che nel traffico di esseri umani in quelli di droga e di armi. Pochi hanno potuto beneficiare di corridoi di rimpatrio volontario assistito, parzialmente finanziati dall'Italia, organizzati dall'OIM con il concorso dell'UNHCR che con grandi difficoltà e limitazioni riescono ad operare in Libia. E ancora meno di limitati corridoi umanitari promossi e realizzati da organizzazioni religiose.

Oggi, come sappiamo, coloro che arrivano in Italia via mare se sopravvivono al viaggio sono principalmente i disperati che fuggono dalla Libia e sono pronti ad affrontare ogni rischio e costo per sopravvivere e scappare dalla peggiore delle condizioni possibili. Vengono dall'Africa Sub Sahariana e anche dall'Asia meridionale. Vanno salvati in mare, accolti e assolutamente non riportati in Libia. Le loro richieste di asilo vanno esaminate alla luce di quelle che sarebbero le loro condizioni se rimpatriati nei paesi di origine attraverso programmi di reinsediamento assistito anche sotto il profilo di provvidenze economiche per avviare attività o percorsi di studio e formazione professionale. Come abbiamo visto sarà tuttavia difficile che riammissioni siano consentite se non accompagnate da canali di migrazione legale ed altri benefici. Altri potrebbero essere avviati al lavoro anche se non riconoscibili come rifugiati qualora le loro capacità attuali e potenziali ad ogni livello rispondessero ad esigenze del nostro sistema produttivo e di fornitura di servizi.

 A questi migranti si aggiungono quelli provenienti dalla Tunisia, ai quali, se non appartenenti come quelli dalla Libia a paesi terzi, non è prevedibile se non in rari casi la concessione dell'asilo. Essi andrebbero rimpatriati, come ha fatto la Spagna con i marocchini fatti recentemente arrivare a Ceuta nel quadro di una disputa su una questione su un tema del tutto diverso tra Madrid e Rabat. Ma anche in questo caso la Tunisia vorrà in cambio canali legali di migrazione ed altri vantaggi.

Il ruolo dell’Europa

Tutto questo andrebbe gestito a livello europeo. Europei devono essere gli accordi con i paesi di origine per il reinsediamento, europeo deve essere il rafforzamento dell'azione per la stabilizzazione sostenibile della Libia e di altre aree di crisi nel vicinato in collaborazione con gli altri attori regionali e globali, europea deve essere la gestione dell'intero processo con ripartizioni obbligatorie di quote per paesi che dell'esame delle richieste di asilo diventerebbero i responsabili. Il Nuovo patto su migrazione e asilo proposto nel 2020 dalla Commissione va nella giusta direzione.

Ma siamo lontani da questa soluzione. Non tutti sono pronti a seguire tale linea ed anche chi dice di volerlo fare e con il quale occorrerà probabilmente fare accordi separati in un contesto di integrazione differenziata, non nasconde esitazioni e remore a realizzarlo concretamente in tempi brevi soprattutto se come Germania e Francia, che peraltro hanno accolto in questi anni richiedenti asilo in misura assai maggiore rispetto all'Italia, deve affrontare prossime tornate elettorali. Eppure non vi sono alternative. Una prolungata paralisi metterebbe in pericolo la tenuta dell'Unione alla quale quei due maggiori paesi europei, assieme ad altri, tengono, come tengono alla tenuta in tale ambito dell'Italia senza la quale l'economia europea subirebbe gravissimi danni.  È del resto quanto hanno dimostrato con la NGEU. 

 È questo un aspetto che l'Italia deve assumere come prioritario nella sua politica europea sviluppando alleanze e condizioni negoziali per raggiungere i risultati voluti. 

Come fece, con tutte le differenze del caso, quando su un'altra questione migratoria, quella dei diritti sociali dei migranti italiani nel Mercato Comune e della loro trasportabilità, ottenne risultati che malgrado le resistenze iniziali e in corso d'opera si rivelarono pienamente compatibili con gli interessi dei sistemi produttivi e non solo di tutti i paesi membri dell'allora Comunità Economica Europea.