L’adesione del Montenegro all’Ue e il ruolo dell’Italia: un percorso imprescindibile verso un destino comune

Fabio Massimo Castaldo
Vice Presidente del Parlamento europeo

All’interno di una regione così profondamente legata all’Italia come quella balcanica tanto dal punto di vista economico e commerciale quanto, ancor più profondamente, storico e culturale, il Montenegro merita senz’altro una menzione speciale: addirittura il nome dell’entità statuale che raccoglie l’eredità storica del principato medievale di Doclea, rinominato poi principato di Zeta agli albori del XII secolo (dall’omonimo fiume che attraversa le sue terre) deriva dalla nostra lingua e, più precisamente, dal dialetto veneziano.

Secondo la tradizione il nome “Montenegro” fa proprio riferimento al colore scuro e intenso delle foreste che ricoprono il monte Lovćen: i marinai veneziani, per commerciare con l'allora capitale Cetinje, approdavano nella baia di Boka, nelle Bocche di Càttaro, che con i suoi bacini riparati costituisce uno dei migliori porti naturali nel Mar Mediterraneo e, attraversando la cittadina di Càttaro per recarsi nell'entroterra, vedevano stagliarsi di fronte a loro questo massiccio che all'occhio, a causa della fitta vegetazione, appariva scuro, quasi nero: un “monte negro”. Questa dizione si è poi affermata nella maggior parte delle lingue indoeuropee.

Come tutti i paesi di una regione il cui nome è diventato ormai un termine geopolitico, “balcanizzazione”, usato per indicare una situazione interna instabile e caratterizzata da disgregazioni e frammentazione statuali, il Montenegro ha una storia complessa e affascinante che vale la pena ripercorrere velocemente partendo da un momento particolarmente significativo: più precisamente dal 1876, quando l’allora Principato del Montenegro si unì a Serbia e Russia nel conflitto contro l'Impero Ottomano. Questa campagna vittoriosa, conosciuta localmente come la Grande Guerra, terminò con una tregua. In seguito, il Trattato di Santo Stefano tra Russia e Impero Ottomano sancì il riconoscimento dell'indipendenza montenegrina, il raddoppio del suo territorio e il recupero dell’agognato accesso al Mar Mediterraneo.

Le rinnovate possibilità di contatto con il mondo esterno segnarono l'inizio di un periodo di modernizzazione per il piccolo Stato, con un codice civile adottato nel 1888 e una forma di governo parlamentare introdotta nel 1905, non senza screzi con il Principe Nicola, che assunse il titolo di Re nel 1910 e la cui figlia Elena aveva sposato il futuro Re d'Italia Vittorio Emanuele III nel 1896. Proprio questo matrimonio rappresenta un ulteriore, importantissimo legame storico con il nostro Paese: Elena fu infatti una regina molto amata dal popolo italiano, cosa che i nostri amici montenegrini non mancano mai di ricordarci con orgoglio anche ai giorni nostri.

Durante la Prima guerra mondiale Nicola supportò la Serbia uscendone sconfitto: forzato all’esilio nel 1916, prima in Italia e poi in Francia, venne infine deposto nel 1918, contestualmente all'annuncio dell'unione degli Stati di Serbia e Montenegro e la creazione del Regno degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi, che nel 1929 venne infine rinominato Regno di Jugoslavia.

Durante la Seconda guerra mondiale, dopo l'invasione da parte delle forze dell'Asse, il Montenegro venne brevemente occupato dal Regno d’Italia nei turbolenti anni che vanno dal 1941 al 1943 e, successivamente, fu elevato da Tito a Repubblica all'interno dello Stato Socialista Federale Jugoslavo, fino alla disintegrazione dello stesso nel 1991, approdando infine nel 1992 nella "terza" Jugoslavia di Slobodan Milošević, una Repubblica federale formata unicamente da Serbia e Montenegro.

Le ultime tappe di questo excursus sono storia recente: il conflitto in Kosovo, con l'intervento militare della NATO contro la Jugoslavia nel 1999 che colpì duramente anche il Montenegro, e il cambio del nome della Federazione, nel 2003, in Serbia e Montenegro, in un tentativo di sopire le spinte indipendentiste che non sarà coronato dal successo. Nel 2006 infatti, con un combattuto referendum, il 55.5% dei Montenegrini (poco più rispetto al 55% necessario, una soglia atipica proposta dall’allora inviato dell’Ue per l’Indipendenza del Montenegro Miroslav Lajčák e confermata dal Consiglio dell’Unione Europea) votò in favore dell'indipendenza: i fuochi artificiali sopra al palazzo presidenziale e le feste in città non furono sufficienti a nascondere le profonde divisioni e fratture del Paese che poté, però, iniziare un rapido percorso di avvicinamento all'Unione Europea. Il primo, fondamentale passo giunse a compimento l’anno successivo, nel 2007, con la firma dell'Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l'Ue che entrò in vigore nel 2010, anno nel quale il Montenegro ricevette anche lo status ufficiale di Paese candidato all'adesione. Le negoziazioni sono state ufficialmente aperte due anni dopo, nel 2012.

Il Montenegro è, tra i sei Stati dei Balcani occidentali, quello che più rapidamente di altri è finora riuscito a percorrere il cammino delle riforme, tanto da guadagnarsi nel 2018, Juncker dixit, il ruolo di Paese “front-runner” insieme alla Serbia (ma comparando il numero di capitoli negoziali rispettivamente aperti, ancor di più della Serbia), di vero e proprio capofila nel processo di integrazione europea, con una prospettiva di adesione al 2025: non una deadline vera e propria, ma comunque una  dichiarazione ufficiale di intenti che è in se stessa una testimonianza dei buoni progressi ottenuti. Fatto ulteriormente dimostrato anche dall’apertura, il 30 giugno di quest'anno, dell'ultimo capitolo negoziale rimanente, quello sulla concorrenza.

Non va inoltre dimenticata un'altra pietra miliare del cammino del Montenegro: l'adesione ufficiale alla Nato come 29esimo Stato membro il 5 giugno 2017. Una netta scelta di campo che si è consumata con grande scorno della Russia: Mosca aveva da sempre considerato Podgorica come parte della sua sfera di influenza e si sospetta, peraltro, che abbia persino tentato di intromettersi nelle elezioni dell'ottobre 2016 con un fallito colpo di Stato, proprio per scongiurare l'adesione del Paese all'Alleanza atlantica.

È dunque quello tra Ue e Montenegro un matrimonio annunciato? Certamente, perché non vi è altra prospettiva politica, economica e, onestamente, anche storica per il Paese, e per l’intera regione, che non sia quella europea. Questo non deve farci abbassare la guardia né tantomeno ingannarci: il percorso resta impegnativo e Roma ha il dovere di essere sempre più attivamente presente, per rafforzare con i fatti l’asse con un partner naturale come Podgorica, al fine di superare le numerose difficoltà e sfide che rimangono aperte, tanto sul lato europeo quanto su quello montenegrino.

Alla prima categoria appartiene l'attitudine europea verso il processo di allargamento che, negli ultimi anni, possiamo definire quantomeno ondivaga: testimonianza ne siano i numerosi rinvii dell'apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord, tentennamenti che hanno creato un sentimento di frustrazione non solo nei governi ma anche nella società civile dei nostri partner balcanici, incrinando la fiducia riguardo all’assunto che il processo dipenda esclusivamente dai progressi conseguiti internamente dai Paesi candidati. Il sospetto che la fermezza delle ripetute bocciature dell’apertura dei negoziati e le insistenti richieste di riforma del processo di adesione, poi accolte, da parte francese sia stata più influenzata dai dibattiti di politica interna che dal reale andamento delle riforme nei Paesi candidati non è stato per ora del tutto fugato e continua ad aleggiare nella regione.

Si è trattato, come ho spesso ripetuto, di un errore strategico rilevante: se è vero che l'Ue deve dimostrarsi coerente nel pretendere il rispetto dei criteri che regolano il processo di adesione prima di procedere a un nuovo allargamento, deve allo stesso tempo essere incrollabile nel suo supporto verso quest'obiettivo ultimo. Negli ultimi anni, tra inaspettati stop e dichiarazioni sibilline, non sempre lo è stata.

Dal punto di vista interno sarebbe inutile, però, negare come in Montenegro rimangano rilevanti sfide da affrontare e vincere prima che il Paese possa dirsi veramente pronto a compiere l'ultimo passo.

Innanzitutto, si continua ad assistere ad una scena politica frammentata, polarizzata e all’assenza di un dialogo politico genuino. Questa frammentazione e contrapposizione è stata riconfermata dalle elezioni del 30 agosto di quest’anno, nelle quali nessun partito ha ottenuto un numero di seggi sufficiente a poter governare da solo il Paese. La tornata elettorale ha comunque aperto una nuova fase politica e sancito la fine dell'egemonia del Partito Democratico dei Socialisti di Milo Đukanović, che aveva tenuto saldamente nelle sue mani il timone del Montenegro negli ultimi trent’anni.

L'insediamento e i primi passi del nuovo governo di coalizione, condotto da Zdravko Krivokapić, rappresenteranno un test cruciale per il futuro del paese. Il nuovo governo, che si troverà ad operare in un contesto complesso nel quale Đukanović è Presidente della Repubblica e numerose agenzie e istituzioni pubbliche, come per esempio la Polizia, l'Agenzia per la sicurezza nazionale e i servizi segreti, sono espressione del precedente esecutivo, dovrà dimostrare di poter iniziare un processo di riforme che abbia un reale impatto sulla vita dei cittadini.

Non sarà una missione facile, come non lo è mai stata la politica parlamentare montenegrina: va ricordato infatti che proprio il Fronte Democratico aveva condotto ben due anni di boicottaggio parlamentare a seguito delle elezioni del 2016, paralizzando l’attività del Parlamento e rallentando il processo di adesione, e che in generale i dibattiti e le discussione politiche in Montenegro si sono spesso contraddistinte per una estrema polarizzazione dei partiti politici e dell’opinione pubblica, come da ultimo ben evidenziato dalla controversa legge sulla libertà religiosa del dicembre 2019 che ha infiammato i mesi precedenti alle elezioni, innescando uno scontro violentissimo con il Patriarcato serbo e all’interno della società montenegrina.

Sarà dunque indispensabile abbandonare i retaggi e le divisioni del passato ed aprire una nuova fase che non potrà che passare da un coraggioso processo riformatore inerentemente legato al cammino europeo e all’allineamento all’acquis europeo, impegno prontamente confermato dai leader della nuova coalizione di governo.

D’altra parte, che il percorso del Montenegro e della Ue sia ormai comune e inscindibile è dimostrato dal fatto che fin dal 2009 il Montenegro gode di un regime di esenzione del visto verso lo spazio Schengen e negli anni tra il 2007 e il 2020 ha ricevuto più di 500 milioni dal fondo europeo di preadesione, con la contestuale possibilità di partecipare a un numero rilevante di programmi Ue, tra i quali Horizon 2020, Erasmus +, Europa Creativa, Interreg.

Anche nel contesto del nuovo Quadro Finanziario Pluriennale la proposta della Commissione europea ha tracciato la direzione del percorso da seguire, come dimostrato dalla recentissima pubblicazione del Piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali, del Pacchetto Allargamento 2020 e della relativa relazione per il 2020 sul Montenegro, dove si delineano chiaramente quali siano le priorità di riforma per il Paese, in gergo bruxellese i “fundamentals”: sistema giudiziario e diritti fondamentali, giustizia, libertà e sicurezza, funzionamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.

Sarà proprio da questi obiettivi che il nuovo esecutivo dovrà partire, fronteggiando i più gravi problemi ancora da sconfiggere: corruzione, clientelismo e l’intreccio di rapporti tra potere e criminalità organizzata su tutti. Puntare su un deciso rafforzamento della trasparenza e della legalità del sistema politico e amministrativo è condizione imprescindibile per un rinnovamento concreto dello slancio verso l’integrazione e per produrre le condizioni necessarie ad affrontare le difficilissime sfide sociali ed economiche attualmente presenti, ulteriormente esacerbate dalla pandemia di COVID-19 che ha colpito duramente, e sta ancora colpendo, anche i Balcani occidentali.  

Tra i suoi primi atti il nuovo governo dovrà senz’altro affrontare una scelta delicata inerente proprio alla controversa legge sulle libertà religiose, delineando una possibile strategia di revisione. Legge che, come già sottolineato, ha ulteriormente e violentemente polarizzato il dibattito nell’ultimo anno, affossando peraltro le chances di vittoria del Partito Democratico dei Socialisti di Đukanović.

Per quanto riguarda i rapporti bilaterali con l'Italia, è fondamentale riconfermare il nostro saldo supporto al processo di adesione montenegrino che, insieme a quello degli altri paesi regionali, deve continuare ad essere un punto fermo della nostra politica estera. I forti legami storici, culturali, sociali, economici e commerciali tra i nostri paesi (l'Italia è il quarto paese di import per il Montenegro) con gli anni si sono evoluti in una solida cooperazione in un numero rilevante di campi. Già nel 2007 Italia e Montenegro s’impegnavano, tramite un Memorandum of Understanding, a sviluppare una solida cooperazione bilaterale, in particolar modo nei settori delle infrastrutture, degli investimenti, dell’energia, del turismo, della tutela dell'ambiente, della lotta alla criminalità organizzata, della cooperazione scientifica e tecnologica, dell'istruzione, della sanità e della cooperazione regionale.

Questa dichiarazione generale d’intenti è stata la base per numerosi accordi specifici, come quello in materia di cooperazione contro la criminalità organizzata in vigore dal 2011, o ancora l’accordo di collaborazione strategica in vigore dal 2015, gli accordi sull’estradizione e l’assistenza giudiziaria in materia penale, quello sull’interconnessione elettrica del 2010 o, infine, il più recente accordo di cooperazione culturale e d’istruzione del 2019, solo per citare gli esempi più rilevanti. Senza dimenticare la comune partecipazione all’Iniziativa Adriatico-Ionica EUSAIR.

Particolarmente importante, a testimonianza della grande attenzione posta da Roma sul Montenegro, è ricordare che tra il 2017 e il 2020 l’Italia è stata - con la partecipazione del Ministero dell’Interno, del Dipartimento della pubblica sicurezza, della Direzione centrale della polizia criminale, del Servizio di cooperazione internazionale di Polizia e dell’associazione del Consiglio Superiore della Magistratura - il Paese driver nell’implementazione del progetto EURol II, finanziato dall’Unione Europea e focalizzato sul sostegno alle istituzioni montenegrine nel migliorare l’efficienza delle strutture giudiziarie e di contrasto alla corruzione e al crimine organizzato, cuore stesso del processo di adeguamento di Podgorica ai requisiti per l’adesione.

In definitiva la base è solida, ma di fronte alla crescente presenza e influenza di attori terzi nella regione, tanto tradizionali (Russia) quanto emergenti (Cina, Turchia) non possiamo permetterci di non rimanere al passo. Del resto il Montenegro è, per citare le parole del Presidente Mattarella, un "Partner di riferimento" con cui abbiamo "un legame che è passato indenne attraverso periodi tumultuosi della storia europea, che non hanno tuttavia alterato i vincoli di amicizia e stima fra i nostri due popoli."

Faccio mie queste parole e posso testimoniarne per esperienza personale la veridicità, avendo avuto l’onore, nel 2018, di recarmi nel Paese come Capodelegazione del Parlamento europeo della missione di osservazione elettorale congiunta Ue - OSCE/ODIHR per le elezioni Presidenziali: ho assistito a grandi e ripetuti attestati di stima da parte delle autorità e della popolazione locale per il nostro Paese.

Dobbiamo assolutamente coltivare questa storica e naturale sintonia con un impegno costante dei nostri sforzi diplomatici e politici, tanto all’interno del “Processo di Berlino” quanto mediante ogni altra utile iniziativa in sede europea e bilaterale, riconoscendo che l’adesione del Montenegro, anzi la sua piena “restituzione” alla famiglia europea, insieme all’intera regione balcanica è un nostro interesse nazionale primario. Di conseguenza, non dobbiamo esitare a porci come campioni e sponsor di Podgorica nel suo processo negoziale, assicurandoci che il suo cammino, senz’altro ancora impegnativo ma verso il quale non posso e non possiamo che nutrire grandi aspettative, non venga ingiustamente rallentato da considerazioni legate alle difficoltà interne dell’Unione o, in ogni caso, diverse dai suoi reali meriti sul campo.