Il ruolo delle fondazioni europee nei Balcani. L’esperienza dello European Fund for the Balkans

Nicolò Russo Perez
Coordinatore Programma International Affairs, Compagnia di San Paolo

Un esempio forse non abbastanza conosciuto, ma che può essere utile riportare in questa sede in riferimento al processo di integrazione europea dei “Balcani occidentali”, è costituito dallo European Fund for the Balkans (EFB), un’iniziativa avviata nel 2007 da quattro fondazioni europee (informazioni dettagliate sulle attività dello EFB sono reperibili nel sito web www.balkanfund.org)

L’iniziativa è stata per molti aspetti storica in quanto ha costituito un esempio di collaborazione attiva tra fondazioni europee in un’area geografica, i Balcani, di importanza strategica nella storia europea. Come vedremo a breve, si tratta di un’iniziativa tutt’altro che estemporanea ma che invece si è inserita in una rilevante tradizione di interventi promossi nell’area da soggetti della società civile. L’esperienza dell’EFB, peraltro, richiama anche l’importanza di alcuni temi più ampi, quali da un lato il ruolo che soggetti attivi della società civile possono svolgere nella comprensione di aspetti chiave delle relazioni internazionali, e dall’altro l’importanza del sostegno a programmi rivolti all’empowerment e all’apertura internazionale delle nuove generazioni.

I Balcani hanno avuto un ruolo chiave nella storia europea. A più riprese, diverse fondazioni hanno dedicato attenzione ai problemi di questa regione: già nel 1913, il Carnegie Endowment for International Peace condusse una Inquiry into the Causes and Conduct of the Balkan Wars of 1912 and 1913, le cui conclusioni furono ripubblicate negli anni Novanta, poco prima che una Commissione indipendente sostenuta da un gruppo di fondazioni europee e americane rendesse noti i risultati dei propri lavori, in un rapporto intitolato Unfinished Peace (Cfr. Unfinished Peace. Report of the International Commission on the Balkans, Carnegie Endowment for International Peace, Washington, DC, 1996).

Nel 2004, due fondazioni europee – la King Baudouin Foundation e la Robert Bosch Stiftung – e due fondazioni statunitensi – il German Marshall Fund of the United States e la Charles Stewart Mott Foundation – decisero di promuovere una Commissione Internazionale sui Balcani, presieduta da Giuliano Amato, con il coinvolgimento di rappresentanti dei Paesi della regione e di personalità come Richard von Weizsäcker (già Presidente della Repubblica Federale Tedesca), Carl Bildt (già Primo Ministro della Svezia), Jean-Luc Dehaene (già Primo Ministro del Belgio). Il Rapporto finale della Commissione (intitolato The Balkans in Europe’s Future), diffuso nell’aprile 2005, mise in evidenza la necessità di un futuro allargamento dell’Unione Europea ai Balcani (Il documento è consultabile nel sito web www.balkan-commission.org)

Nelle sue conclusioni, la Commissione sottolineava come un problema critico fosse costituito dalla debolezza degli Stati coinvolti: Croazia, Serbia, Albania, Montenegro, Bosnia, Kosovo e Macedonia. La sfida europea stava perciò nel costruire degli Stati funzionanti e, allo stesso tempo, integrali nell’Unione Europea. L’Ue, secondo la Commissione, avrebbe dovuto quindi adottare quella che fu definita una strategia di “member-state building” articolata su tre assi: lo sviluppo di amministrazioni statali efficienti; la creazione, nella regione dei Balcani, di uno spazio economico comune; un processo di constituency-building.

Nel Rapporto della Commissione Internazionale sui Balcani la nozione di constituency-building si basava sulla consapevolezza che, in ultima analisi, uno Stato funzionante non è solo una entità amministrativa, ma anche un fenomeno sociale. In questo senso, il Rapporto pose grande enfasi sulla rivitalizzazione del processo politico e sul fatto che quello che occorreva era una nuova generazione di politiche, focalizzata sulla democratizzazione e sulla qualità della rappresentanza politica. A questo si collegavano problemi critici nell’area dei Balcani quali i diritti delle minoranze, il rafforzamento della società civile, la libera circolazione delle persone.

Si trattava dunque di temi coerenti con le strategie di vari soggetti della società civile “occidentale”. È il caso del German Marshall Fund, che nel già 2003 aveva lanciato il Balkan Trust for Democracy (BTD), iniziativa mirata a sostenere la transizione democratica dell’area balcanica in una prospettiva euro-atlantica. Partner del BTD sono stati la US Agency for International Development e la Charles Stewart Mott Foundation. Il BTD ha operato attraverso attività di grantmaking rivolta a favorire la cooperazione fra società civile, mondo della ricerca e istituzioni e a sviluppare iniziative regionali comuni.

L’iniziativa BTD è nata e si è caratterizzata come un progetto promosso da fondazioni statunitensi che, sebbene indipendenti, hanno teso a indirizzare i propri interventi sulla scia della politica estera americana. Tenuto conto delle prospettive legate alla politica di allargamento dell’Unione Europea, che hanno lambito i Balcani occidentali, è risultato evidente come fosse sempre più importante sviluppare una politica europea su questi stessi temi su iniziativa non solo delle istituzioni, ma anche e soprattutto di soggetti indipendenti come le fondazioni.

Su questo sfondo, su iniziativa della King Baudouin Foundation, della Bosch Stiftung – le due fondazioni europee che avevano partecipato alla Commissione Internazionale sui Balcani –­ della Compagnia di San Paolo e della Erste Stiftung è stato promosso lo European Fund for the Balkans (EFB), con l’obiettivo di sostenere iniziative volte ad avvicinare i Balcani Occidentali all’Unione Europea. L’EFB è stato presentato ufficialmente il 18 giugno 2008 nella sede del Parlamento della Bosnia-Erzegovina a Sarajevo in occasione di un evento dal titolo “The Balkans in Europe’s Future”, cui hanno preso parte Giuliano Amato, Goran Svilanovic (già Ministro degli Esteri della Serbia), Zlatko Lagumdzija (già Primo Ministro della Bosnia-Erzegovina) e quattro giovani leader del Balcani. Obiettivo dell’EFB è stato quello di incoraggiare un impegno più forte dei Paesi e delle società dei Balcani Occidentali nei confronti dell’integrazione europea; rafforzare gli sforzi intrapresi in tale direzione da una varietà di stakeholders, con attenzione anche allo sviluppo di politiche e pratiche efficaci nella regione e nella UE; sostenere quel processo di member-state building evidenziato dalla Commissione Internazionale sui Balcani, attraverso la costruzione di constituency nelle società dell’Europa Sud-orientale, in particolare tra le nuove generazioni, alle quali offrire opportunità di fare esperienza e conoscere più da vicino l’Europa.

L’EFB, negli anni, ha sostenuto individui e organizzazioni di Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro e Serbia (compreso il Kosovo), e si è aperto con successo a contributi ulteriori della Commissione Europea e di soggetti pubblici e privati (incluse agenzie governative). L’EFB è stato soprattutto operativo, ma anche grantmaking: particolare attenzione è stata dedicata alla formazione di giovani impegnati sia nel settore pubblico sia nella società civile, ad esempio attraverso la messa a disposizione di fellowship individuali per leader politici emergenti o per policy analist, con l’obiettivo di consentire loro di conoscere meglio le istituzioni e il funzionamento dell’Unione Europea. Sono stati varati fellowship programme per giovani funzionari pubblici (sul modello del programma Erasmus), per permettere loro di fare esperienza in strutture pubbliche o private dei Paesi della UE, creare occasioni di studio e confronto con loro colleghi nella regione, partecipare a reti di alumni.

L’EFB, con sede a Belgrado, è stato dotato di una infrastruttura leggera: un Segretariato, guidato da un Executive Director, e due Programme Officer - tutti sotto i 40 anni. L’organismo di governo dell’EFB era lo Steering Committee, dove sedevano i rappresentanti delle quattro fondazioni promotrici. Vi era poi un organo di indirizzo, più ampio, composto da personalità europee di alto rilievo – tra gli altri, Giuliano Amato, l’Ambasciatore Wolfgang Ischinger, Erhard Busek (già Coordinatore dello Stability Pact for South Eastern Europe) - cui spettava il compito di contribuire a orientare gli indirizzi generali del Fund.

Fin dall’avvio dello European Fund for the Balkans è emersa con chiarezza l’opportunità storica di radicale ricambio generazionale e forte desiderio di apertura internazionale che caratterizzava molti settori delle società e delle istituzioni dei Paesi dei Balcani occidentali. Scopo ultimo dell’EFB è stato, come si è detto, la realizzazione di azioni rivolte a migliorare il grado di preparazione e di conoscenza dei temi europei nella regione dei Balcani Occidentali per favorire l’ingresso dei Paesi dell’area nell’Unione Europea. In questo senso, l’esperienza dello European Fund for the Balkans ha dimostrato come il miglioramento delle capacità dei rappresentanti della pubblica amministrazione dei Paesi interessati può realizzarsi con maggiore efficacia proprio laddove ci sono le premesse – il ricambio generazionale e, più in generale, l’attitudine all’apertura internazionale – per sostenere il capacity building di quella nuova generazione di leader politici emergenti cui spetterà il ruolo fondamentale di guidare i propri paesi verso l’ingresso nell’Unione Europea.