Una regione geopolitica in formazione: il carattere anfibio del Mediterraneo Allargato infrange l’egemonia delle talassocrazie oceaniche
La rivoluzione tecnologica nelle comunicazioni occorsa tra fine Ottocento e inizio Novecento ha compresso le distanze materiali permettendo di interagire più velocemente tra luoghi tradizionalmente considerati lontani. Ciò ha anche consentito di aumentare enormemente le relazioni reciproche, per cui anche gli eventi che si producono a grande distanza (materiale) da noi possono avere un effetto diretto sulla nostra capacità di agire e sul contesto nel quale ci muoviamo. Ad esempio, gli attriti nel Mar Cinese Meridionale tra Pechino e Washington riguardano direttamente l’Italia perché impattano sull’import ed export con la Cina.
In generale, l’interconnessione del globo favorisce incontri, scontri e ibridazioni prima molto più lenti e rarefatti. Se guardiamo all’ipertrofia dello spazio relazionale nel Mediterraneo ci rendiamo conto facilmente dell’enorme complessità relativa che si genera da questa nuova geografia dei luoghi.
La complessità, però, non è soltanto una matassa che inspessisce proporzionalmente e omogeneamente. Le relazioni sono instabili, irregolari, dettate da criteri che possono rendere molto articolate le interazioni tra paesi lontanissimi, come i legami commerciali tra Italia e Cina, così come per lo stesso criterio rarefare le connessioni tra regioni relativamente vicine, come sponda nord e sponda sud del Mediterraneo.
Quando la complessità è dotata di coerenza interna, ossia le relazioni tra determinati luoghi sono spesse e significative su più criteri, allora si delineano delle regioni geopolitiche. I criteri che producono coerenza sono principalmente di due tipologie, in costante ribilanciamento reciproco: 1) una forza strutturale, detta paesaggio geopolitico, che si compone delle configurazioni ambientali, così come di tutte le sedimentazioni che incidono il territorio, dalle relazioni sociali a quelle economiche e simboliche; 2) una forza volontaria, l’azione politica propriamente detta, che muta il paesaggio geopolitico in cui viene esercitata pur dovendo affrontare le resistenze che questo offre e soprattutto subendone le influenze.
Portando il nostro sguardo al Mediterraneo, in che termini possiamo parlare di una regione geopolitica definibile come Mediterraneo Allargato?
L’espressione rinvia a una nozione con cui Fernand Braudel rappresentava il Mediterraneo come qualcosa di più di uno specchio d’acqua, una successione di terre e di mari uniti tra loro da una comunanza di scambi politici, culturali e commerciali. A questo centro luminoso hanno guardato gli ambienti della Marina Militare italiana per delineare i contorni di un concetto strategico che riunisse il Mediterraneo propriamente detto, il Mar Nero, il Mar Rosso e il Golfo Persico, mantenendo nel novero anche le terre emerse comprese tra questi mari. Prendono allora posto i paesi europei della sponda nord e quelli nordafricani della sponda sud, così come il Vicino e Medio oriente, per finire col Sahel e il Corno d’Africa.
Questa complessità socio-politico-economica ha come architrave strategico i colli di bottiglia che consentono il transito senza ostacoli dei beni e delle persone via mare. Dal canale di Suez allo stretto di Gibilterra, per aprire il Mediterraneo verso gli oceani, fino a Bab-el-Mandeb e a Hormuz, i colli di bottiglia sono snodi fondamentali per i traffici che avvengono nella regione. A questi si aggiungono le linee di comunicazione marittima, altrettanto essenziali per lo svolgimento della vita economica, come ad esempio la rotta commerciale più importante al mondo, che dai porti del Mar Cinese Meridionale corre lungo il perimetro dell’Eurasia verso l’Europa ed oltre. Un traffico che in parte nutre le economie locali mediterranee, ma soprattutto trova su queste vie d’acqua il sistema più efficiente di comunicazione a scala globale.
Il Mediterraneo Allargato è un paesaggio geopolitico coerente almeno su questi criteri, ovvero un susseguirsi di spazi acquatici e terre emerse messi a sistema in una griglia di linee di rifornimento e comunicazione.
Al contrario, chi domina l’oceano vive il Mediterraneo come una area subalterna, una semplice linea di comunicazione tra Oceano Indiano e Atlantico. Per chi naviga negli oceani rendere più efficienti i propri movimenti evitando di impegnare il Capo di Buona Speranza per andare dall’Oceano Indiano all’Atlantico significa risparmiare numerosi giorni di viaggio. Una questione di economia nelle linee di comunicazione che però ignora completamente le peculiarità delle terre abitate sulle sponde mediterranee.
Sebbene l’ordine oceanico e il Mediterraneo Allargato siano accomunati dagli snodi e dalle linee di comunicazione che ne caratterizzano i rispettivi paesaggi geopolitici, la differenza fondamentale è che nel Mediterraneo Allargato le linee di comunicazione sono funzionali alla sussistenza delle terre e dei popoli che lo compongono, mentre la talassocrazia globale riconosce soltanto una linea che attraversa un mare interno. Questo nel Mediterraneo Allargato permette, almeno potenzialmente, di prendersi cura degli approvvigionamenti vitali, alimentari ed economici, ma anche della sicurezza e della stabilità.
Si tratta di un confronto decisivo, l’epoca che abitiamo risente ancora dell’egemonia oceanica anglosassone nel Mediterraneo, concretizzatasi nel XVIII secolo dopo che il nostro mare interno aveva già perso da tempo centralità come sbocco terminale dei traffici provenienti dall’Asia. L’interpretazione oceanica del Mediterraneo nasce nel mondo moderno guidato dalla Gran Bretagna da una visione di contrapposizione radicale tra terra e mare, per cui l’ordine marittimo è esperito come mare liberum, governato dal controllo delle linee di comunicazione e dei punti di snodo.
Nel mondo attuale però, siamo pronti a un salto di modello, occasionato dall’irreparabile crisi dell’ordine marittimo moderno, che da circa un secolo si sta progressivamente ibridando con l’ordine continentale. La marcescenza della contrapposizione moderna tra terra e mare si è manifestata col progresso tecnologico, che ha favorito la confusione tra guerra terrestre e guerra marittima con l’invasione dell’ambito spaziale l’una dell’altra. A ciò si aggiunga l’inevitabile scomparsa dell’alto mare, che si è manifestata nell’ampliamento delle acque territoriali in cui lo stato detiene una sovranità assoluta e poi nella proclamazione della zona economica esclusiva. Istituto previsto nella convenzione sul diritto del mare siglata a Montego Bay nel 1982 (meglio nota come UNCLOS), la zona economica esclusiva sancisce la proiezione della giurisdizione dello stato rivierasco fino a 200 miglia marittime dalla linea di base e permette di rivendicare lo sfruttamento esclusivo della colonna d’acqua e del fondo marino con le relative risorse.
Complessivamente, se per via della globalizzazione la sovranità territoriale dello stato si è indebolita, è invece aumentata la capacità di esercitare giurisdizione sul mare. È collassata la coincidenza di stato, territorio e potere, tipica della modernità politica, ma anche l’idea speculare e contraria di un mare libero e inappropriabile. Un meccanismo di espansione e ritrazione del potere dello stato che non dipende più soltanto dalla sanzione legale degli ordinamenti giuridici ma anche dalle concrete possibilità offerte dal paesaggio geopolitico in cui ogni attore è inserito.
Il processo di territorializzazione del mare porta allora gli stati a proclamare specifiche funzioni sovrane su quello che un tempo era mare aperto, fino a rendere subalterna una visione talassocratico-oceanica del Mediterraneo. Senza mare libero la potenza oceanica perde in libertà d’azione, tanto nei termini di libertà di commercio che di guerra. Le libertà economiche divengono appannaggio degli stati rivieraschi, mentre le attività militari vengono allontanate dalla costa con l’estensione delle acque territoriali. Ora diventa normale discutere e contrattare tra gli stati rivieraschi su ciò che prima non era assoggettabile, a cominciare dalla necessità di stringere accordi per delimitare le proprie rispettive giurisdizioni in mare, proprio come da millenni avviene su terraferma.
Una delle conseguenze più evidenti di questo mutamento nell’ordine geopolitico è l’aumento della conflittualità in mare e per il mare. Basti pensare alle vicende legate alla scoperta dei giacimenti offshore di gas nel Mediterraneo orientale, che ha determinato frizioni e riassetti di alleanze tra i paesi dell’area, in lotta per vedersi riconosciuta una porzione di mare dove attendere a esplorazioni e sondaggi. È un mare, allora, che può essere guardato anche sulla base delle sue dinamiche interne, indipendenti dal fatto che rappresenti un canale di passaggio tra Oceano Indiano e Oceano Atlantico.
Se questo è il processo di lungo periodo, tuttavia l’ordine oceanico è ancora fortemente resiliente, come dimostra la prassi politica, che completa il nostro quadro dopo l’analisi del paesaggio geopolitico. Il quadro dei rapporti politici nell’area, infatti, non sembra ancora adeguato al cambiamento fondamentale in atto e quindi a dare vita a una regione autonoma. Prove ne sono la lunga serie di fallimenti nei tentativi di stabilizzazione, segno che le ragioni della coesione sono ancora molto deboli.
La visione oceanica è ancora oggi dominante tra gli attori principali dell’area, tanto che la NATO, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e in parte l’Unione Europea affrontano le crisi nel Mediterraneo come tra loro scollegate, disconnesse dai suoi più generali equilibri regionali. La NATO esprime la visione di un Mediterraneo frammentato già a partire dal riferimento onomastico all’Atlantico del nord. L’Unione Europea, similarmente, abbraccia una tesi marginalista in cui la sponda sud diventa una periferia, comprovata da investimenti politici perlopiù diretti verso l’est Europa.
Le politiche europee nei confronti della sponda sud sono attuate all’insegna di una contraddittoria assertività, per cui l’Unione Europea vuole rimanere il canone per ogni progresso nelle relazioni sociali ed economiche tra le due sponde ma non investe risorse a sufficienza per consentire ai paesi partner un’eventuale transizione verso un modello socio-economico occidentale. L’Unione Europea, in definitiva, rivendica la legittimità del proprio ruolo egemone senza però assumersene fino in fondo le responsabilità; come se fosse un sovrano dimezzato, che alla fine lascia spazio d’azione ai singoli stati europei, che la fanno da padrone con i loro specifici interessi nazionali, perlopiù incapaci di immaginare un quadro di insieme per l’area.
Anche le nuove forze che si affacciano nel Mediterraneo, dalla Russia alla Cina, non hanno una visione unitaria del mare. Tuttavia, contribuiscono a rendere più complesso il quadro dei poteri che vi si agitano, impedendo l’egemonia di un solo modello o attore.
Oltretutto, è significativo che entrambe le potenze asiatiche siano tradizionalmente continentali, perché portano un approccio differente dalle talassocrazie. Una novità che segue il generale proliferare delle potenze anfibie, capaci di agire tanto a terra che in mare, come normale che sia nell’epoca dell’ibridazione dei relativi ordini geopolitici.
Il Mediterraneo, in quanto mare interno, è particolarmente adatto ad ospitare potenze anfibie: le distanze ridotte tra le sue sponde sfavoriscono lo sviluppo dell’alto mare, a maggior ragione con la chiusura del mare libero. Qui domina il mare territorializzato, prossimo alla sovranità tellurica dello stato. Un’innovazione che sta accompagnando la riduzione del ruolo statunitense nel Mediterraneo, ormai limitato al controllo del funzionamento dei suoi colli di bottiglia e relative vie di comunicazione. Esigenza comunque non in contrasto con le prospettive delle potenze anfibie ivi presenti. Con l’affievolirsi dell’interesse americano anche nei confronti del Grande Medio Oriente, equivalente dell’area islamica del Mediterraneo Allargato, aumentano le possibilità per iniziative politiche coesive interne ai suoi bacini.
L’occasione di un Mediterraneo Allargato come regione autonoma è evidente: coinvolgere in soluzioni concertate i diversi attori dell’area per affrontare questioni chiave come le ricorrenti crisi dei migranti, la perdurante questione israelo-palestinese, così come i focolai del terrorismo, il crollo delle istituzioni libiche e la generale debolezza degli stati arabi. Al momento esiste una condizione strutturale favorevole, un paesaggio geopolitico adatto a pensare un regime anfibio coerente per il Mediterraneo, ma non ci sono ancora attori in grado di agire all’altezza delle occasioni che il nascente ordine geopolitico presenta.