La paura della fame assedia la Tunisia

Giuseppe Manna
Membro del comitato scientifico di ItalyUntold

Sono settimane che la Tunisia vive con il fiato sospeso. La paura della gente è che qualche mattina, senza alcun preavviso, il pane manchi nei negozi, risvegliando così gli spettri della fame da un passato, considerato sepolto per sempre. Il Paese subisce le conseguenze di una combinazione di fattori, capace di metterne a rischio la sicurezza alimentare. L’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina ha solo peggiorato un quadro già deteriorato. La guerra ha determinato un’impennata dei prezzi di quasi tutte le materie prime, in corso peraltro già dall’estate del 2021. Le quotazioni dei cereali non hanno fatto eccezione, anche perché Mosca e Kiev contribuiscono a quasi un terzo del commercio mondiale di tale bene. Il conflitto in Europa orientale si aggiunge così ai cambiamenti climatici, che nel Maghreb appaiono particolarmente evidenti, a carenze strutturali e a un sistema burocratico e di sussidi dagli effetti pesantemente distorsivi.

Buona parte della Tunisia beneficia di una posizione e di una geografia adatte all’agricoltura. Fatta eccezione per il territorio a sud del lago salato dello Chott el Jerid, proteso verso le profondità infuocate del Sahara, il Paese dispone di un clima mediterraneo lungo le coste. L’entroterra centro-settentrionale sarebbe arido senza le risorse idriche provenienti dall’Atlante. La catena montuosa, estesa per 2.500 Km attraverso tutta l’Africa nord-occidentale, favorisce accumuli pluviometrici altrimenti impossibili nel Maghreb, rendendo l’area adatta alla coltivazione dell’olivo e dei cereali. Questo tipo di agricoltura necessita infatti di meno acqua rispetto alla produzione di ortaggi e frutta, permettendo di sfruttare suoli, che restano comunque poco produttivi.

I cambiamenti climatici stanno sconvolgendo equilibri già di per sé delicati. Al di là dell’aumento della temperatura media che, nei prossimi decenni, potrebbe rendere inabitabili ampie regioni del Nord Africa, il problema principale è costituito dalle precipitazioni. Esse stanno diventando sempre meno consistenti e mal distribuite. Lunghi periodi di siccità si alterano a fasi piovose brevi ma intense, che provocano inondazioni disastrose e distruggono villaggi e raccolti. Gli invasi per raccogliere l’acqua piovana da utilizzare durante la stagione calda non sono sufficienti a coprire il fabbisogno. Inoltre, la rete idrica, spesso risalente agli anni lontani del protettorato francese, arriva a disperdere quasi la metà dell’acqua immessa. L’inverno scorso è stato particolarmente avaro di piogge (fonte: Middle East Institute, War in Ukraine and drought at home: A perfect storm in the Maghreb, 21 marzo 2022) e questa primavera non ha apportato precipitazioni, necessarie nella fase cruciale per la crescita dei raccolti di giugno e luglio.

La Tunisia è un buon produttore di grano duro, utilizzato nella fabbricazione di pasta e semolino per cuscus che, insieme al pane, costituiscono i pilastri della dieta della maggior parte della popolazione. Il Paese copre tra il 70 e il 90 % della domanda grazie ai raccolti nazionali (fonte: International Crisis Group, The Impact of Russia’s Invasion of Ukraine in the Middle East and North Africa, 14 aprile 2022), ma quest’anno difficilmente arriverà a tali livelli. Alla scarsità delle precipitazioni, si aggiunge il progressivo impoverimento dei suoli. L’utilizzo di fertilizzanti chimici è calato rispetto all’anno scorso, poiché il loro prezzo è in continuo aumento a causa del blocco delle esportazioni dalla Russia, che ne è un grande produttore. Eppure, la Tunisia dispone di buone riserve di fosfato, indispensabili per la fabbricazione dei fertilizzanti, concentrate nel governatorato di Gasfa. La mancanza di impianti industriali obbliga tuttavia il Paese a vendere all’estero la materia prima.

Tali fattori obbligheranno Tunisi ad aumentare le importazioni di grano duro nei prossimi mesi. A queste si aggiungono gli acquisti di grano tenero per la produzione della farina per il pane. I raccolti domestici assicurano solo una quota compresa tra il 10 e il 30 % del fabbisogno. La parte restante è coperta grazie agli arrivi da vari Paesi. L’Ucraina assicurava quasi la metà delle importazioni, cui si aggiunge una quantità molto inferiore, pari a circa il 5 %, proveniente dalla Russia. Il blocco dei porti, con 25 milioni di tonnellate fermi nei silos, impedisce l’afflusso di cereali e le scorte stanno diminuendo.

Il rischio è che, entro la fine di giugno, i magazzini siano vuoti, (fonte: La Repubblica, Tunisia, venti di rivolta: “Le scorte di grano bastano fino a giugno, 17 aprile 2022) mentre i prezzi continuano ad aumentare. Questi avevano già superato i 400 dollari a tonnellata per il grano tenero nei primi giorni dell’invasione russa (erano pari a circa la metà all’inizio dell’anno scorso). Ma ci sono anche altre ragioni, che spingono le quotazioni verso l’alto. Il 13 maggio, il governo indiano ha annunciato il blocco delle esportazioni di ogni tipo di cereali. Tale decisione è stata assunta in ragione della calura estrema delle scorse settimane, che ha danneggiato le coltivazioni. Il gigante asiatico è il secondo produttore di grano al mondo, con raccolti intorno ai 100 milioni di tonnellate, e il settimo esportatore. Molti Stati africani coprono una quota rilevante del loro fabbisogno proprio grazie alle importazioni da Nuova Delhi e non sono servite a raffreddare i prezzi le rassicurazioni indiane di non bloccare le vendite ai Paesi più in difficoltà.

Per la Tunisia, i prezzi elevati dei cereali e di altri alimenti di base, come l’olio di girasole, anch’esso importato in larga parte dall’Ucraina, sono un problema difficile da risolvere. Già prima dell’inizio della guerra, il Paese maghrebino aveva avuto difficoltà a pagare alcuni carichi di grano. Diverse navi erano state bloccate nei porti di Sfax e Gabes, mentre altre avevano ricevuto l’ordine di non partire dal Mar Nero. L’empasse fu risolta con il saldo parziale dei debiti accumulati con fornitori ucraini, pari a circa 300 milioni di dollari.

Tale situazione dipende anche dal sistema farraginoso di sussidi e monopoli, creato negli anni per mantenere bassi i prezzi degli alimenti di base. Ancora oggi, l’Office des céréales, istituito nel 1962, ha la missione di gestire l’approvvigionamento della materia prima, così come l’organizzazione e la regolazione del mercato (fonte: https://www.oc.com.tn/fr/). Parziali liberalizzazioni sono state introdotte per il mais e l’orzo, ma le rigidità restano forti. Queste incidono anche sull’iter burocratico per aprire una panetteria: la quantità di documenti da presentare e autorizzazioni da ottenere è talmente consistente da scoraggiare qualsiasi imprenditore desideroso di entrare nel settore. Inoltre, la politica dei sussidi per calmierare i prezzi dei principali generi alimentari, comune a molti Paesi arabi, grava sempre di più sul bilancio dello Stato. Questa voce di spesa è destinata a diventare presto insostenibile per le casse pubbliche. Anche perché l’economia tunisina, che si basava sul turismo per il 20 % delle entrate, non si è ancora ripresa dagli effetti dell’ondata di attacchi terroristici del 2015 e della pandemia di Covid-19.

Il prezzo della baguette è fermo a 200 millesimi di dinaro tunisino, pari a circa 6 centesimi di euro, dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso. Nel 1984, il presidente Habib Bourghiba cercò di rimuovere una parte dei sussidi, in ottemperanza alle richieste del Fondo Monetario Internazionale per concedere un prestito alla Tunisia. Il risultato fu una fiammata di violenza in molte città, con morti e feriti. Il suo successore, Zine el Abdine Ben Ali, riuscì soltanto a diminuire leggermente il peso della pagnotta standard, lasciando inalterato il prezzo. Oggi un sistema del genere non è più sostenibile e la congiuntura dei fattori sopra elencati non depone certo a favore di un futuro tranquillo per il piccolo Paese nordafricano.

Il braccio di ferro politico in corso tra il parlamento e il presidente della Repubblica, Kais Saied, non favorisce l’individuazione di vie d’uscita condivise. Rimuovere del tutto i sussidi significherebbe aumentare l’insoddisfazione di una società, già disillusa dopo le grandi speranze di cambiamento suscitate dalla Rivoluzione dei Gelsomini del 2010-2011. Allo stesso tempo, il rischio è che la crescente difficoltà a pagare le importazioni comporti penuria di cereali e altri alimenti di base. Le code davanti alle panetterie durante il mese di Ramadan, da poco terminato, erano dettate proprio dalla paura di non trovare più baguette disponibili, nonostante le rassicurazioni del governo. Lo spettro della fame si ripresenta dunque all’orizzonte e nuovi tempi duri incombono su un Paese, che solo un decennio fa, si liberava con gioia dalle catene della dittatura, pronto a scrivere una pagina nuova di crescita e sviluppo.