Transizione, Consolidamento, Populismo e Autoritarismo: la Parabola Tunisina
Il 25 luglio 2022, a un anno esatto dall’inversione di rotta del processo di transizione democratica in Tunisia, si è tenuto il referendum per approvare la nuova Costituzione che conferisce ampi poteri al Capo di stato. Ciò avviene a seguito della progressiva presa di potere da parte del presidente tunisino Kais Saied, la cui elezione nell'ottobre 2019 ha spianato la strada ad una serie di iniziative che hanno demolito la fragile architettura di separazione dei poteri e di stato di diritto in Tunisia.
Così la Tunisia, paese che, dopo la caduta del regime di Ben Ali e la sua fuga in Arabia Saudita il 14 gennaio 2011, aveva ispirato altre ondate di protesta nella regione, assiste ora ad un profondo declino politico. I successi della transizione e il consolidamento democratico che hanno portato molti ad etichettare la Tunisia come unico successo delle rivolte in Medio Oriente e Nord Africa (MENA), sono ormai venuti meno, sopraffatti dalle manovre autoritarie di un presidente che inneggia al populismo e sfrutta la lotta alla corruzione per offuscare la sua indole autoritaria.
La deriva autoritaria
Il brusco arresto della transizione tunisina ha avuto inizio il 25 luglio 2021. Da li, nel giro di un anno, il presidente ha sospeso la Costituzione del 2014 (ad eccezione del preambolo e dei primi due titoli), sciolto il Parlamento e sostituito il Consiglio supremo della magistratura con un organo provvisorio a lui fedele e dotato di poteri ridotti. Il presidente ha inoltre intensificato l’uso delle corti militari per processare civili, alcuni dei quali avevano condannato le misure da lui attuate e rimosso 57 giudici, accusandoli di corruzione finanziaria e “morale” (Amnesty International, Tunisia: A Year Of Human Rights Regression Since President’s Powergrab, 21 luglio 2022).
Facendo leva sulla diffusa frustrazione popolare dovuta a un parlamento profondamente frammentato; alle crescenti sfide socio-economiche e al persistere di divisioni politico-ideologiche che ostacolano il processo di riforma, il presidente Said ha scelto di riportare la Tunisia a quella che è già stata in passato: un paese autoritario ed estremamente centralizzato. Dopo aver messo in atto la suddetta presa di potere, il presidente ha giustificato le sue mosse strumentalizzando i limiti di un parlamento inefficiente e in parte corrotto (Reuters, Tunisian judge lets Islamist leader go after hearing, 19 luglio 2022); mali che propone di superare soverchiando i partiti e instaurando un sistema presidenziale.
Queste azioni riflettono l'essenza populista del presidente Saied, il quale fa leva su una diffusa disillusione popolare nei confronti della politica in generale per attuare le sue misure. La sfiducia popolare deriva dal crollo del potere d’acquisto e la profonda crisi socio-economica che investe il paese, nonché il susseguirsi di governi incapaci di realizzare cruciali riforme e a un sistema partitico che sembra aver messo da parte le rivendicazioni di “lavoro, libertà e dignità” che portarono alla Rivoluzione dei Gelsomini in Tunisia. Dichiarando che non permetterà a nessuno di “saccheggiare il popolo tunisino”, il presidente strumentalizza anche quelle riserve popolari verso la politica, figlie di una disoccupazione ostinata, di una povertà in continuo aumento e di una corruzione in metastasi (The New York Times, Tunisia’s President Holds Forth on Freedoms After Seizing Power, 29 settembre 2021).
Le mosse finora imposte da Saied e appoggiate da una componente ristretta e sfaccettata di tunisini disillusi, costituiscono una forma di “populismo dall’alto”, destinata presto a esplicitarsi in modo formale in autoritarismo, grazie anche a un sistema legale ancora arenato ai tempi della dittatura (Arab Reform Initiative, The ghost people and populism from above: The Kais Saied case, 23 marzo 2022).
Una giustizia transizionale abortita
Altra dimostrazione dello scostamento del processo di consolidamento democratico è l’arresto della giustizia transizionale nel paese. Sebbene l'approvazione di un programma di giustizia transizionale abbia generalmente contribuito a consolidare l'idea della Tunisia come caso sui generis nello scenario regionale, l'autoritarismo revanscista e il riaffermarsi della vecchia guardia nello scenario politico tunisino hanno compromesso la sua attuazione.
La rilevanza di tale programma nel contesto post-autoritario della Tunisia risiede nella volontà del paese di affrontare attivamente l’eredità del passato, facendo luce sugli abusi perpetrati durante i precedenti regimi di Bourguiba e Ben Ali, restituendo un barlume di dignità alle vittime, contribuendo così anche a promuovere la coesione sociale. Quindi, nel dicembre 2013, l'Assemblea costituente tunisina approvava la Legge organica n. 53 sull'Istituzione e l'Organizzazione della Giustizia Transizionale.
La legge ha istituito la Commissione tunisina per la Verità e la Dignità – operativa dal 2014 al 2018 – e le ha affidato il compito di indagare sugli abusi verificatisi dal 1° luglio 1955 al 24 dicembre 2013, di accertare le responsabilità, di raccomandare uno schema di riparazione e di proporre riforme istituzionali per il consolidamento democratico. Alla fine del suo mandato, la Commissione ha anche deferito 200 casi di gravi violazioni dei diritti umani e di gravi illeciti finanziari alle Camere penali specializzate. Nel 2019, dopo aver esaminato 62.720 fascicoli, la Commissione ha depositato il suo rapporto finale alla presidenza (Truth and Dignity Commission, The Final Comprehensive Report. Executive Report, May 2019).
Malgrado i traguardi raggiunti, questo processo di giustizia transizionale non è sfuggito a dinamiche deleterie legate al riaffermarsi della vecchia guardia durante il periodo post-rivoluzione. Nel 2015, poco dopo l'insediamento alla presidenza di Beji Caid Essebsi del partito Nidaa Tounes, il nuovo Capo di stato ha proposto una legge di riconciliazione economica che garantiva l'impunità per i soggetti pubblici e privati accusati di corruzione durante i precedenti regimi. Solo dopo l’opposizione del movimento Manich Msamah, una versione rimodellata della legge, che esenta solo i dipendenti pubblici dai procedimenti giudiziari, ha raccolto anche il sostegno pragmatico di Ennahda ed è stata infine approvata dal parlamento nel 2017, tra le critiche degli esperti di giustizia transizionale e dei difensori dei diritti umani.
Ulteriore mossa ai danni della giustizia transizionale è stato il decreto-legge n. 13, promulgato nel marzo 2022 dal presidente Saied con il quale si annullano i procedimenti e le sentenze per i privati colpevoli di reati finanziari, in cambio di investimenti in progetti di sviluppo economico nel paese.
Come attesta il caso tunisino, riconciliazione e giustizia per le vittime di abusi sono attualmente minacciate da una presidenza intenzionata a minare lo stato di diritto, nonché dall’impossibilità di attuare le raccomandazioni proposte dalla Commissione Verità e Dignità e dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione della verità, della giustizia, della riparazione e delle garanzie di non ripetizione.
Un voto farsa
Il referendum costituzionale tenutosi lunedì 25 luglio è finito come tutti si aspettavano. La Commissione governativa Isie, incaricata di supervisionare l’appuntamento elettorale, ha annunciato che circa il 95% degli elettori hanno dato sostegno alla nuova Costituzione del presidente Saied. Ma su 9.3 milioni di aventi diritto, solo il 30.5% ha effettivamente votato. Un’affluenza che delimita il misero consenso popolare per le misure introdotte dal presidente ma anche una certa mancanza di aspettative di poter fermare quello che ormai molti descrivono come un golpe costituzionale. Non sono infatti mancate critiche e accuse di brogli durante il referendum.
La mattina del voto, il presidente in persona ha violato il silenzio elettorale elencando ai microfoni della televisione nazionale i benefici della nuova costituzione e accusando “alcuni partiti” di sabotaggio del referendum. Vari enti non governativi locali, tra cui la Tunisian Association for Integrity and Democracy in Elections (ATIDE), hanno lamentato ostruzionismo da parte delle autorità, accusate di non aver consentito il lavoro di monitoraggio del voto. Anche prima del voto, il presidente Saied aveva dichiarato persona non grata l’organismo della Commissione di Venezia che aveva criticato il referendum in una nota ufficiale (Opinion No.1085/2022), impedendo l’entrata nel paese di osservatori stranieri.
In questo contesto, l’Unione Europea e i propri stati membri non devono voltarsi dall’altra parte. Servono iniziative concrete e proattive per impedire che il voto porti ad un ulteriore arretramento democratico in Tunisia, così come già successo in altre località della regione. L’Europa ha tutte le carte per fare da perno, sfruttando la propria influenza politico-economica per mettere da parte le politiche della cautela e premere in maniera decisa per il ripristino dello stato di diritto e la transizione democratica in Tunisia.
Per quanto focalizzati sull’invasione russa dell’Ucraina, gli stati europei devono mantenere un occhio vigile e critico sui propri vicini a sud, paesi che rimangono di fondamentale importanza per gli interessi europei. Ulteriori tendenze di consolidamento autoritario nella regione MENA potranno facilmente ritorcersi contro l'Europa, anche alla luce del sempre più probabile scoppio di nuove rivolte popolari, data la continua esasperazione dei diritti socio-economici e politici in tutta la regione e l’aggravarsi della crisi energetica e alimentare.
Riequilibrare l'approccio politico dell'Europa alla Tunisia, dando priorità al ripristino dello stato di diritto, alla coesione sociale e al recupero del processo abortito di giustizia transizionale, piuttosto che perseguire meri interessi di gestione migratoria e di interscambio commerciale, favorirebbe la credibilità dell'Ue, promuoverebbe gli interessi dell'Unione e contribuirebbe a ripristinare parte dello slancio positivo della Tunisia verso le riforme. Oltre a ciò, tale approccio permetterebbe di inviare un messaggio ad altri Stati vicini che, allo stesso modo, subiscono significativi cedimenti politici e socio-economici. Infine, una ripresa della delicata transizione tunisina, accompagnata da un maggiore impegno da parte europea, potrebbe analogamente ispirare un rinnovato coinvolgimento della società civile e degli attori interessati in altri contesti di transizione post-conflitto o post-autoritaria.
Per tutte queste ragioni, e in vista dell’aggravarsi degli indicatori politici e socio-economici in gran parte del MENA, l’Unione Europea dovrebbe ripartire dalla Tunisia, reindirizzando le sue politiche per fare sì che la popolazione tunisina non venga dimenticata ma possa invece tornare a contare su un sostegno esterno per riprendere il processo di consolidamento intrapreso dal 2011, arginando le derive autoritarie del presidente e quelle componenti della vecchia guardia che lo sostengono, sia all’interno del paese che a livello regionale.