Diritti oltre il presente: giustizia intergenerazionale e crisi climatica
Il futuro non è un luogo neutro: è uno spazio di contesa politica, sociale ed etica, plasmato costantemente da scelte, omissioni e visioni che le generazioni presenti assumono nel tempo che abitano. Nella tradizione occidentale però sembra essersi radicata una certa visione che vede il tempo come lineare, neutro e predeterminato, come se la rotta da seguire sia per forza quella e che “i figli” siano destinati a pagare le colpe dei “padri” in un incessante fluire degli eventi. La crisi climatica ci obbliga a ripensare le categorie con cui comprendiamo il futuro, la democrazia e i diritti umani in chiave intergenerazionale. Abbiamo bisogno di una nuova immaginazione politica e una nuova grammatica per co-costruire la realizzazione dei diritti umani perché le generazioni presenti sono in una posizione di privilegio in cui possono negoziare tra visioni divergenti, interessi in conflitto e possibilità ancora aperte.
A tal proposito è utile ricordare che la democrazia rappresentativa prevede che gli aventi diritto al voto eleggono dei rappresentanti a cui trasferiscono del potere decisionale per essere governati. I governanti hanno poi la responsabilità, insieme ad altri attori, di elaborare politiche pubbliche in grado di dare una risposta a un problema collettivamente rilevante, come ad esempio la necessità di ridurre le emissioni (politiche di mitigazione) o di prevenire e ridurre al minimo gli effetti dei cambiamenti climatici (politiche di adattamento). In ogni caso la decisione di rispondere o meno a un problema collettivo può avere effetti anche su chi non ha contribuito a prendere quella decisione. La democrazia e la crisi climatica però vivono in un difficile rapporto caratterizzato da alcuni problemi principali: 1. i cambiamenti climatici non hanno confini, tutti i paesi contribuiscono alla loro accelerazione e tutti possono essere colpiti degli effetti delle decisioni degli altri; 2. le politiche climatiche sono quelle maggiormente esposte al rischio di “Policy Capture”, ossia di essere influenzate da interessi privati; 3. ognuno è esposto in modo diverso ai rischi climatici a seconda delle circostanze personali, sociali, economiche o geografiche; 4. le democrazie sono orientate al breve termine a scapito degli interessi a lungo termine per perseguire interessi elettorali. Ci troviamo così davanti al “paradosso della non-identità” secondo cui ogni decisione ha la possibilità di danneggiare individui futuri specifici la cui stessa esistenza e identità sarà determinata proprio da queste scelte. Questa era proprio la situazione in cui si poteva trovare un ipotetico elettore negli anni ‘70. La sua scelta, insieme a quella di molti altri, ha determinato il modello economico di oggi e ha creato le condizioni in cui si sono trovate le persone nate nel 1996. Questi però non avevano tutte le informazioni perché in quegli anni ExxonMobil, una delle più grandi compagnie petrolifere del mondo, aveva in mano previsioni esatte sull’innalzamento delle temperature e dei rischi della mancata riduzione delle emissioni da combustibili fossili. Gli effetti li stiamo vedendo in questi anni, possiamo citare anche solo gli eventi alluvionali che hanno colpito Emilia-Romagna e Toscana, però in uno scenario “business as usual” gli impatti saranno sempre più violenti. In che mondo vivrà una persona nata nel 2050 e come sarà quando nel 2080 avrà trent’anni? A questo ritmo le risorse che estraiamo in futuro potrebbero esaurirsi, oppure molti territori che oggi sono ancora vivibili ma che vivono dinamiche di spopolamento per la paura dei rischi climatici potrebbero non essere più adatti per costruire le nostre vite.
Alcune di queste preoccupazioni sono state affrontate in diversi momenti dal diritto internazionale. Nel rapporto “Our Common Agenda” presentato nel 2021 dal Segretariato generale delle Nazioni unite sono stati presentanti dodici commitments che dovrebbero portare all’attuazione di approcci orientati al benessere delle generazioni future e per incoraggiare gli Stati a tenere conto dei loro interessi nei processi decisionali. Ciò ha creato le condizioni per cui, nel settembre 2024, si è tenuto il summit del futuro che ha portato all’approvazione del Pact for the Future (A/RES/79/1) che contiene diversi ambiti di azione per garantire i diritti delle generazioni future e in cui si riconosce che le decisioni, le azioni e le omissioni delle generazioni attuali hanno un effetto moltiplicatore intergenerazionale. In realtà queste affermazioni non sono del tutto nuove e il principio di equità intergenerazionale è stato poi approfondito da diversi atti internazionali come la Dichiarazione UNESCO sulle responsabilità delle generazioni presenti verso le generazioni future del 1973 e i numerosi atti che fanno riferimento al principio dello sviluppo sostenibile come la stessa Convenzione quadro delle nazioni unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) o la Convezione di Aarhus del 1998. Lo stesso spazio europeo di tutela dei diritti umani è stato influenzato da questa interpretazione progressiva e la Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso un consolidato filone giurisprudenziale, ha riconosciuto la tutela dell’ambiente quale valore fondamentale utile per raggiungere un più equo bilanciamento dei diritti garantiti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La Corte ha più volte interpretato gli articoli 2 (diritto alla vita) e 8 (vita privata e familiare) per riconoscere l’ambiente come un valore fondamentale ed evidenziare gli obblighi positivi degli Stati anche sulla base di questi atti internazionali. Su queste basi in occasione del caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz c. Svizzera la Corte europea ha confermato la violazione dell’art. 8, stabilendo che lo Stato deve adottare misure concrete per proteggere le persone dagli effetti gravi del cambiamento climatico. Afferma inoltre che, sebbene gli obblighi giuridici derivanti dalla Convenzione si estendono agli individui attualmente in vita, è chiaro che le generazioni future sopporteranno un onere sempre più gravoso delle conseguenze delle attuali mancanze e omissioni nella lotta ai cambiamenti climatici. La stessa Corte evidenzia che in una prospettiva intergenerazionale vi è un rischio insito nei processi decisionali, democratici e politici,che gli interessi e le preoccupazioni del breve termine possano prevalere a scapito di esigenze pressanti di definizione di politiche più sostenibili e di lungo periodo in favore delle future generazioni. Un aspetto interessante però è che la Corte enfatizza il ruolo di garanzie procedurali di trasparenza e partecipazione per determinare se uno Stato stia effettivamente adempiendo ai propri obblighi climatici e alle disposizioni della CEDU. In altre parole la corte verificherà se le Autorità pubbliche stanno raccogliendo e diffondendo informazioni utili a valutare il rischio climatico e se esistono procedure nel processo decisionale che permettono di tenere conto delle opinioni e degli interessi della popolazione attraverso un loro coinvolgimento.
Alla luce di ciò, appare urgente costruire dispositivi istituzionali e democratici in grado di includere le generazioni future ma qual è la situazione dell’Italia? Analizzando i dati ISTAT sulla popolazione residente in Italia a gennaio 2025, ci accorgiamo che la Gen X (1965-1980, 14.7 milioni) e i Boomers (1946-1964, 13.4 milioni) costituiscono il 48% della popolazione e detengono il maggiore capacità di rappresentanza politica, senza contare che hanno maggiori probabilità di ricoprire ruoli decisionali rispetto alle altre generazioni. Seguono i Millenials (1981-1996, 10.8 milioni) e la Gen Z (1997-2012, 9.5 milioni) che insieme costituiscono il 34% della popolazione, mentre il futuro demografico del Paese è rappresentato dalla Gen Alpha (2013-2025, 5.9 milioni) e costituisce il 10% della popolazione. Come abbiamo accennato la democrazia rappresentativa è strettamente legata al diritto di voto e dobbiamo quindi evidenziare che il 15% della popolazione non ha alcuna capacità decisionale in quanto ancora minorenne e ciò riguarda la totalità della Gen Alpha e circa un terzo della Gen Z. Questa stima sale a circa il 20% se si contano tutti quei giovani che non possono votare perché vivono stabilmente in una regione diversa da quella anagrafica (il report di The Good Lobby “Fuori Sede al voto” stima essere pari a 3 milioni di cittadini italiani) e tutti coloro a cui non viene riconosciuta la cittadinanza pur essendo nati e cresciuti nel Paese (nel Libro Bianco degli Stati Generali dell’azione per il clima si stimano essere circa 2 milioni). Di conseguenza Millennials e Gen Z sono meno considerati nei programmi elettorali, perché meno numerosi e meno influenti sul piano elettorale dato che potenzialmente solo il 25% di loro può o riesce ad esercitare il diritto di voto, al contrario Gen X e Boomers occupando il 48% della popolazione rappresentano un gruppo sociale molto più politicamente interessante.
Serve quindi una doppia strategia: da un lato realizzare i diritti politici attraverso il voto per fuori sede e la riforma della cittadinanza, dall'altro occorre promuovere processi deliberativi e istituzioni che rappresentino anche chi non ha voce e permettano a chi sotto rappresentato di incidere sulle decisioni di policy. Parallelamente per garantire un orientamento al futuro si può sperimentare l’approccio del Future Design promosso che ha l’obiettivo di incorporare le preferenze delle generazioni future nei processi decisionali con la tecnica del backcasting determinando le azioni utili per raggiungere un futuro desiderabile. Su questo approccio nasce anche l’idea di un'istituzione che possa svolgere una funzione di coordinamento per formulare, valutare e implementare politiche in ottica intergenerazionale come nel caso dell'Ombudsman per le Generazioni Future in Ungheria, il commissario per le future generazioni del Galles e il forum scozzese per il futuro. In futuro si potrebbe raccogliere queste esperienze per aiutare a disegnare alcuni funzioni dell’Istituzione Nazionale Indipendente per i Diritti Umani che aspettiamo da tanto tempo e che potrebbe essere promotrice attiva della valutazione di impatto generazionale delle leggi come forma di attuazione degli artt. 9 e 97 Cost.
In un tempo segnato da crisi ambientali, diseguaglianze strutturali e instabilità democratica, diventa sempre più evidente che le generazioni future rappresentano il soggetto politico più esposto a condizioni di vulnerabilità. Alzare lo sguardo al futuro però non solo ci permetterà di valutare il nostro impatto sui nostri discendenti ma di attuare tutte quelle azioni che permetteranno di realizzare quelli delle generazioni presenti. Non esiste alcuna distinzione netta tra generazioni dovremmo renderci conto che un’ingiustizia in qualsiasi luogo non solo è una minaccia ovunque ma è anche una ferita che infliggiamo al nostro futuro e a chi lo abiterà. Abbiamo la responsabilità di immaginare un nuovo patto sociale che non sia più concepito come il dominio del presente sul futuro.