America Latina e Unione Europea, un’agenda comune per il mondo che verrà dopo Covid-19

Enrico Petrocelli
Responsabile per le relazioni con l’America Latina e i Caraibi nel Gabinetto dell’ex Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza e Vice Presidente della Commissione Europea Federica Mogherini

In una corsa forsennata nel mondo, da est verso ovest e da nord verso sud, la pandemia da Covid-19 dopo aver travolto Cina, Europa e Stati Uniti ha raggiunto anche l’America Latina e i Caraibi. I primi dati sul contagio a metà aprile registrano già oltre 70.000 casi positivi e più di 3.000 morti ufficialmente registrati, con una tendenza ad una crescita vigorosa in tutta la regione.

Le drammatiche cronache che giungono da Santiago de Guayaquil, principale centro commerciale e città più popolosa dell’Ecuador, con un’impressionante impennata di positivi al coronavirus e migliaia di persone già morte senza alcun controllo sanitario, raccontano di una realtà ben più tragica che sfugge alle statistiche ufficiali.

Covid-19 rischia di rappresentare un vero e proprio spartiacque per l’America Latina, non solo per il drammatico impatto che avrà su paesi con sistemi sanitari molto fragili e in presenza di alcuni tra i più grandi conglomerati urbani al mondo (San Paolo, Città del Messico, Lima, Bogotà, Rio de Janeiro) dove  sarà difficile praticare efficacemente il distanziamento sociale (basti pensare alle favelas brasiliane in cui vivono oltre 10 milioni di persone), ma perché accentuerà le già profonde diseguaglianze socio-economiche, esasperando le tensioni sociali esplose nel 2019.

Lo ha chiarito in modo molto efficace Alicia Bárcena, Segretaria esecutiva della Cepal, sottolineando come l’America Latina sia esposta in questa fase più di altre regioni del mondo a fattori esterni, dalla contrazione dei prezzi delle materie prime destinate all’esportazione al pesante impatto negativo sull’industria del turismo; dall’interruzione delle catene del valore su scala regionale e globale a causa della pandemia alla riduzione del volume dell’investimento diretto estero da parte delle grandi potenze globali, fino al deflusso di capitali finanziari e all’indebolimento delle principali valute della regione latinoamericana.

La stessa Cepal stima una recessione in arrivo con una contrazione dell’economia latinoamericana tra il 2 e il 4% del PIL per il 2020, una riduzione delle esportazioni dalla regione pari a -10,7%, un aumento della popolazione in condizioni di estrema povertà fino ad oltre 90 milioni di persone.

Non a caso, per fronteggiare quella che si preannuncia come la peggiore recessione economica degli ultimi 50 anni per la regione, 14 paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno già chiesto l’intervento straordinario del Fondo Monetario Internazionale. Crescenti sono le difficoltà a rifinanziare sui mercati internazionali i debiti pubblici di diversi paesi latinoamericani, prossimi al rischio di default tecnico.

Perché in questo scenari Europa e America Latina, due regioni così distanti geograficamente e con profonde diversità nella loro struttura socio-economica e politica, dovrebbero guardare al futuro post-coronavirus con l’ambizione di condividere e di costruire risposte comuni?

In realtà, le due regioni condividono già storia, cultura, valori e interessi concreti, con un livello di integrazione economico-commerciale e di cooperazione che negli ultimi anni ha raggiunto livelli senza precedenti, come ricordato dalla Strategia Ue sull’America Latina adottata nell’aprile 2019  (“L’Unione europea, l’America latina e i Caraibi: unire le forze per un futuro comune” ): l’Unione Europea ha già sottoscritto accordi di associazione, di libero scambio o politici e di cooperazione con 27 dei 33 paesi dell’America Latina e dei Caraibi; l’Ue è il primo investitore diretto nella regione, il principale attore di cooperazione internazionale, il terzo partner commerciale per l’America Latina; sei milioni di cittadini europei e latinoamericani vivono e lavorano sull’altra sponda dell’Atlantico e oltre un terzo degli studenti latinoamericani all’estero si trova in Europa.

Ma nel mondo che verrà dopo Covid-19 ci saranno nuove ragioni a motivare una collaborazione ancora più stretta tra Europa e America Latina, perché avremo un interesse convergente a trovarci dalla stessa parte, possibilmente alleati, in una globalizzazione di nuova generazione che rischia di essere segnata sempre più da tendenze protezionistiche diffuse, da un più accentuato decoupling economico e tecnologico tra le grandi potenze, da meno interdipendenza e specializzazione produttiva di singoli paesi.

Un sistema internazionale più segmentato di quanto non sia stato finora, con meno global common standards, meno istituzioni internazionali comuni e con un rapporto diverso tra Stato e mercato, con una possibile nuova centralità delle politiche pubbliche che, pur portando con sé l’opportunità di favorire un riequilibrio in termini di maggiore equità rispetto a logiche economico-finanziarie di mero profitto, apre anche a rischi concreti di involuzione da sovranismo economico, populismo politico, pulsioni autoritarie ed iper-securitarie. Opportunità e rischi presenti, seppur in forme diverse, tanto in Europa quanto in America Latina.

Certamente l’urgenza delle prossime settimane sarà quella di provare a fronteggiare insieme l’emergenza sanitaria della pandemia in corso. Resteranno a lungo nella nostra memoria le immagini dei 52 medici cubani, virologi ed immunologi, giunti in Italia nelle ore più buie della crisi per portare le loro competenze e il loro aiuto concreto nell’ospedale da campo allestito a Crema. Sarà dovere dell’Italia e dell’Unione Europea riuscire a dimostrare la stessa vicinanza operosa e solidale. E una prima risposta è già arrivata dalla Commissione Europea, che ha mobilitato in via d’urgenza 918 milioni di euro per i paesi dell’America Latina e dei Caraibi, all’interno di un pacchetto straordinario di aiuti internazionali dell’Ue da 15,6 miliardi di euro per fronteggiare l’emergenza sanitaria e mitigare l’impatto socio-economico in tutto il mondo.

Ma se si prova ad alzare lo sguardo poco oltre l’orizzonte immediato, si vedrà come molte delle sfide che da una sponda all’altra dell’Atlantico tanto l’Europa quanto l’America Latina si troveranno ad affrontare nel mondo post Covid-19, richiederanno e potranno avere risposte più efficaci se costruite insieme, nell’interesse reciproco,  con un’agenda di impegni comuni.

1) Rilanciare il commercio internazionale, libero ed equo

La pandemia da coronavirus sta producendo un drammatico shock simmetrico di domanda e di offerta sui mercati internazionali che non ha precedenti nella storia recente dell’umanità. Per questa ragione sarà cruciale preservare e rilanciare quanto prima lo scambio di merci su scala globale, così come mettere il commercio internazionale al riparo da altre guerre dei dazi, definendo nuove regole condivise per favorire una concorrenza leale e per ridurre barriere unilaterali o asimmetriche nell’accesso ai mercati stranieri.

Un’importante e recente iniziativa internazionale vede già co-protagoniste Europa e America Latina. Per contrastare la progressiva perdita di credibilità ed efficacia dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) l’Unione Europea insieme ad altri 15 paesi, di cui la metà dell’America Latina (Brasile, Cile, Colombia, Costarica, Guatemala, Messico, Uruguay), ha raggiunto lo scorso 27 marzo 2020 un accordo per la creazione di un meccanismo provvisorio per la risoluzione delle controversie commerciali (Multi-party Interim Appeal Arbitration Arrangement - MPIA) che includa anche uno strumento di appello indipendente ed imparziale presso il WTO (in attesa che il canonico Appellate Body possa essere reintegrato con la nomina di nuovi giudici, da tempo ostacolata dagli Usa).

Europea e America Latina avevano tuttavia compreso già da tempo come, in attesa di una nuova governance globale in materia di commercio ancora al di là da venire, fosse urgente rafforzare la maglia di intese commerciali bilaterali e bi-regionali, scegliendo la strada di accordi di associazione che implicano anche capitoli negoziali di partenariato politico, economico e di cooperazione.

In questo contesto, il traguardo più importante è stato l’accordo politico raggiunto il 28 giugno 2019 sul capitolo commerciale dell’Accordo di Associazione tra UE e Mercosur  (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay) in negoziazione dal 2000. Si prefigura la nascita dell’area di libero scambio più grande mai creata dall’Unione Europea nella sua storia, che includerà una popolazione complessiva di 780 milioni di persone.

L’eliminazione del 91% dei dazi su prodotti europei esportati in America Latina produrrà un risparmio annuale per le imprese Ue grazie a minori tariffe doganali pari a quattro miliardi di euro, per uno scambio commerciale tra le due regioni che già oggi è di 122 miliardi di euro l’anno in beni e servizi. Inoltre, i paesi Mercosur istituiranno garanzie legali per proteggere 357 prodotti alimentari europei di alta qualità con indicazioni di origine geografica, e saranno esecutive clausole comuni per l’attuazione degli accordi di Parigi sul clima, oltreché su sviluppo sostenibile, conservazione delle foreste e diritti dei lavoratori.

Negli ultimi anni, oltre che con i paesi Mercosur, l’Unione Europea ha negoziato anche con altri due paesi latino americani: Messico e Cile.

Con il Messico – che, con i suoi 129 milioni di abitanti, rappresenta il secondo partner commerciale più grande per l’Ue in America Latina dopo il Brasile – è stato raggiunto il 21 aprile 2018 l’accordo di principio sul capitolo commerciale nel negoziato per la modernizzazione dell’EU-Mexico Global Agreement del 1997. Si prevede l’abbattimento per il 99% delle tariffe doganali tra Ue e Messico, con un risparmio annuale in dazi non dovuti pari a 100 milioni di euro, oltre ad impegni in materia di diritti dei lavoratori, lotta alla corruzione e al riciclaggio di denaro.

Con il Cile, infine, i negoziati per la modernizzazione dell’Accordo di Associazione UE-Cile del 2002 sono iniziati a novembre 2017, giunti ormai al settimo round e avviati verso un esito positivo.

Concludere e rendere operativi i nuovi accordi di associazione dell’Ue con Mercosur, Messico e Cile non sarà facile, tanto più dopo Covid-19: toccherà superare le forti resistenze protezionistiche già emerse in entrambe le regioni. Riuscirci servirà non solo a rilanciare gli scambi di merci su scala globale e a sostenere la ripresa economica in chiave anti-ciclica, ma a fare di questi accordi bilaterali e bi-regionali dei tasselli per nulla secondari di una nuova governance internazionale che promuova un commercio più libero ed equo.

2) Una lotta più incisiva alla povertà e alle diseguaglianze sociali

Uno degli impatti più drammatici della pandemia da Covid-19 sarà quello sociale, che nel caso dell’America Latina – la regione con gli indici più alti di disuguaglianza al mondo – si sommerà al lungo ciclo di contrazione economica degli ultimi cinque anni che ha già accentuato la polarizzazione nella distribuzione della ricchezza ed incrementato la popolazione in condizione di povertà estrema, a fronte di una struttura produttiva a bassa intensità industriale e con filiere di produzione a basso valore aggiunto in una logica economica di mero sfruttamento e di rendita, accanto a reti di protezione sociale molto fragili o assenti.

La Cepal stima che la pandemia in corso produrrà un pesante impatto sul mercato del lavoro, con una crescita del tasso di disoccupazione e un ulteriore ampliamento dell’economia informale (che secondo l’Ilo già nel 2016 riguardava il 53,1% dei lavoratori attivi) e del lavoro minorile, che attualmente interessa oltre 10 milioni di bambini latinoamericani.

L’Europa, in un dialogo aperto con l’America Latina, può e deve fare la sua parte nel costruire risposte strutturali di contrasto alla povertà, proseguendo in modo più organico quella revisione già avviata delle sue politiche e dei suoi strumenti finanziari di cooperazione internazionale e di sviluppo.

Una riflessione inaugurata nel 2018 dall’Unione Europea, insieme all’Ocse e alla Cepal, intorno al nuovo concetto di Development in transition, per provare a dare una risposta alla contraddizione di una regione, quella latinoamericana, che negli ultimi decenni è cresciuta e ha visto uscire molti suoi paesi dalla categoria di quelli in via di sviluppo (pur mantenendo al loro interno – e in diversi casi vedendo  accentuarsi – forti sperequazioni sociali), perdendo così spesso – proprio perché, per fortuna, in transizione economica – il beneficio di essere destinataria della tradizionale cooperazione internazionale che l’Ue riserva alle realtà più sottosviluppate e povere.

Attraverso uno strumento regionale per la promozione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite si intende dunque disegnare una cooperazione internazionale di nuova generazione, focalizzata in particolare sul contrasto ai cambiamenti climatici, sulle fonti di energia rinnovabile, sull’innovazione tecnologica, su formazione e ricerca scientifica, sulla lotta alla povertà. Sulla base dell’esperienza di importanti programmi europei come Euroscial+, Euroclima+ e El Paccto, e in un dialogo costante con i paesi latinoamericani, l’Unione Europea può sviluppare nuovi programmi e strumenti di cooperazione più mirati con un approccio più flessibile e modellato sulle esigenze, spesso molto differenti tra loro, delle singole società della regione. Sarà cruciale promuovere anche un ruolo più incisivo e dinamico della Banca Europea per gli Investimenti con progetti per lo sviluppo sostenibile.

La lotta alla povertà e alle diseguaglianze in America Latina passerà anche per il sostegno che l’Europa saprà dare ad un diverso modello produttivo che superi le fragilità e i limiti dell’attuale sistema d’impresa di larga parte dei paesi della regione, un sistema molto frammentato, costituito al 99% da micro, piccole e medie imprese con livelli di bassa produttività, non organizzato secondo logiche di filiere industriali capaci di affrontare adeguatamente la competizione sui mercati internazionali.

Da questo punto di vista, la proposta dell’Iila di fare dell’esperienza del Forum italo-latinoamericano sulle Piccole e Medie Imprese il motore di una più vasta iniziativa euro-latinoamericana che la Commissione Europea possa promuovere col coinvolgimento delle principali banche di sviluppo a partire dal Caf (Banco de Desarrollo de América Latina), dal Bid (Banco Interamericano de Desarrollo) e dalla Bei, merita di essere certamente sostenuta come un contributo concreto e rilevante per promuovere processi di rafforzamento del tessuto produttivo latinoamericano, di industrializzazione e di innovazione tecnologica, per accompagnare così l’intera regione sul cammino di un nuovo modello di sviluppo, più sostenibile e socialmente equo.

3) Più cooperazione politica a sostegno dei processi di pacificazione e di modernizzazione

L’America Latina è stata attraversata negli ultimi anni da forti tensioni sociali e politiche, secondo dinamiche di accentuata polarizzazione su scala regionale, a fronte di un sistema di partiti politici sempre più fragile, segnato dal populismo di leadership solitarie ma prive di visioni strategiche, con un ruolo ancora rilevante delle forze armate e di ristretti oligopoli economici, un peso rilevate delle grandi organizzazioni della criminalità e del narcotraffico, insieme ad una significativa presenza – politica ed economica – che talvolta prende le forme di vera e propria ingerenza di potenze straniere, dagli Stati Uniti, alla Cina, alla Russia.

In questo contesto non vi è dubbio che l’Europa, per il rilevante peso dei suoi interessi economici e commerciali, per le grandissime comunità di cittadini di origine europea che vivono nella regione, ma soprattutto per il suo ruolo politico in alcune cruciali controversie o crisi, è riconosciuta se non come l’indispensable nation, sicuramente come un attore chiave da larghissima parte dei paesi latinoamericani.

Tre casi, tra loro molto differenti, sono emblematici di questo impegno politico da parte dell’Europa così come del lavoro che resta ancora da fare: Colombia, Cuba, Venezuela.

In Colombia, l’Unione Europea ha sostenuto con forza la conclusione dello storico accordo di pace del 2016 tra il governo colombiano del presidente Santos e i guerriglieri Farc dopo oltre 50 anni di un conflitto drammatico (con oltre 220.000 vittime e milioni di sfollati), istituendo il Fondo Fiduciario UE per la Colombia con una dotazione complessiva di 645 milioni di euro per fornire assistenza tecnica e finanziaria per la riforma agraria, la riconversione economica e lo sviluppo sostenibile delle regioni interessate dal conflitto, la smilitarizzazione e la reintegrazione sociale ed economica degli ex guerriglieri Farc, una giustizia penale transizionale.

L’implementazione degli accordi di pace in Colombia è ancora fragile ed esposta costantemente ad azioni ostili e sarà dunque cruciale che l’Europa continui a garantire forte sostegno politico con nuove risorse per il Fondo Fiduciario e supporto all’azione di reintegrazione operata dal governo colombiano attraverso i Planes de Desarrollo con Enfoque Territorial (Pdet). Ma soprattutto sarà fondamentale confermare il sostegno europeo al lavoro del Sistema Integrale di Verità, Giustizia, Riparazione e Non Ripetizione (SIVJRNR), cioè il sistema di tribunali speciali di giustizia transizionale. Perché non c’è pace senza giustizia e senza vera riconciliazione. O, come giustamente ricorda l’ex presidente e Premio Nobel per la Pace Santos, perché una volta conclusa la guerra, arriva il tempo in cui bisogna saper vincere anche la pace.

Con Cuba, invece, l’Unione Europea ha aperto una pagina del tutto nuova nelle relazioni bilaterali quando l’11 marzo 2016 è stato concluso il negoziato sull’Accordo di Dialogo Politico e di Cooperazione (PDCA) con cui si è archiviata la cosiddetta Posizione Comune europea del 1996, riattivando in pieno le relazioni diplomatiche e la cooperazione politica. Una decisione importante che ha preceduto solo di pochi giorni la storica visita del Presidente Usa Barack Obama a L’Avana e che si è basata proprio sulla consapevolezza che i tanti punti di disaccordo esistenti motivavano ancor di più un impegno europeo per incoraggiare un’apertura e una modernizzazione della società cubana. 

Da allora si è avviata una cooperazione concreta, con oltre 50 milioni di euro di progetti europei per l’agricoltura sostenibile, le energie rinnovabili e il contrasto ai cambiamenti climatici, la cultura e la valorizzazione del patrimonio storico cubano. Ma il confronto si è aperto pure sui diritti umani, dove restano ragioni di netta divergenza, senza illudersi che i progressi giungeranno con un percorso facile.

Continuare a dialogare proprio perché non si è d’accordo su tutto, dunque. Senza alzare muri ma impegnandosi in una cooperazione esigente. E, al contempo, ribadendo ai nostri alleati statunitensi l’opposizione europea al loro embargo contro il popolo cubano, così come riaffermando l’inaccettabilità dell’applicazione extra-territoriale delle misure restrittive decise unilateralmente dagli Usa, da considerare non solo contraria al diritto internazionale, ma lesiva della stessa sovranità economica europea.

Infine, l’Unione Europea si è trovata a fronteggiare la drammatica situazione in Venezuela. In questo paese un conflitto politico senza precedenti ha minato alle fondamenta la credibilità delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto, con gravi forzature da parte del regime di Nicolás Maduro e uno scontro sempre più duro con le opposizioni che ha esacerbato una già grave crisi economico-sociale e determinato l’esodo di massa di quasi 5 milioni di venezuelani, rifugiatisi nel resto dell’America Latina.

In una fase di stallo drammatico, ad inizio 2019 l’Unione Europea ha assunto l’iniziativa di costituire lInternational Contact Group on Venezuela, un gruppo di contatto costituito da molti paesi latinoamericani ed europei con l’obiettivo di facilitare un processo politico pacifico per far sì che i venezuelani possano decidere del loro futuro con nuove elezioni, libere e democratiche. Sul fronte dell’emergenza umanitaria, l’Ue ha convocato a ottobre 2019 insieme ad Unhcr e Oim la prima Conferenza internazionale di solidarietà sulla crisi migratoria e dei rifugiati venezuelani, che ha consentito di raccogliere oltre 120 milioni di euro di contributi dalla comunità internazionale, in aggiunta ai 170 milioni di euro già mobilitati dall’Ue negli ultimi anni.

Sarà importante che l’Europa continui a lavorare per una soluzione politica e non militare al conflitto in Venezuela, sia attraverso il lavoro dell’International Contact Group, sia sostenendo lo sforzo di mediazione – più discreto ma molto serio –da parte della Norvegia, che punta a coinvolgere tutti gli interlocutori venezuelani, ma anche i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU (a partire da Usa e Russia).

4) Più cooperazione bi-regionale e multilaterale per uno sviluppo sostenibile

In un mondo sempre più conflittuale, con istituzioni internazionali minate nella loro credibilità e funzionalità, l’Europa è tra i pochi attori ancora in grado di svolgere un ruolo utile per riformare e rilanciare il multilateralismo come la risposta più efficace alle sfide e alle minacce del nostro tempo. E l’America Latina può essere un alleato importante in questa prospettiva.

Sarà importante dunque promuovere una cooperazione bi-regionale e multilaterale ancora più stretta tra le due regioni. L’Ue deve proseguire sulla strada già intrapresa rafforzando il network di suoi partenariati con le organizzazioni sub-regionali più vitali, dal Mercosur alla Pacific Alliance (con cui l’Ue ha recentemente concluso un accordo), dal Sica (Sistema dell’Integrazione Centroamericana) al Forum caraibico (Cariforum) e alla Comunità dei Caraibi (Caricom). Così come merita maggiore valorizzazione nella cooperazione bi-regionale la Fondazione Eu-Lac, che accoglie tra i suoi membri tutti i paesi Ue e Celac e che si è formalmente trasformata nel maggio 2019 in organizzazione internazionale.

Europa e America Latina si sono d’altronde già ritrovate spesso alleate in battaglie comuni in sede multilaterale, come nel caso dell’Agenda 2030 o degli Accordi di Parigi sul cambiamento climatico.

E proprio lo sviluppo sostenibile e i cambiamenti climatici saranno tra i banchi di prova più complessi ed esigenti per un nuovo partenariato strategico euro-latinoamericano. Non basterà lavorare ad un ambizioso European Green Deal nel Vecchio Continente. A partire dalla prossima COP 26 sui cambiamenti climatici servirà costruire un fronte ampio per far avanzare un’ambiziosa agenda globale per lo sviluppo sostenibile. E molti paesi dell’America Latina saranno alleati fondamentali in questa battaglia.

Ma ciò che in fin dei conti farà la differenza nella ricerca di percorsi e di risposte condivise tra due regioni così geograficamente distanti, eppure sempre così fraternamente vicine per valori e cultura, continuerà ad essere quello straordinario patrimonio di legami tra le società europee e latinoamericane fatto di tanti movimenti di giovani, di donne, di lavoratori, di intellettuali e artisti che da entrambe le sponde dell’Atlantico continuano ad alimentare un impegno collettivo per far avanzare diritti, per promuovere uno sviluppo più equo e sostenibile, per costruire ponti tra popoli, per preparare un futuro migliore.

 

 

 

17 Gennaio 2020
di
CeSPI (articolo introduttivo)