Classi dirigenti in Africa: come concorrere alla loro formazione e affermazione?

Fondazione AVSI

Il lavoro sul terreno e lo staff locale: osservatorio privilegiato

Il lavoro sul terreno, “con i piedi nel fango”, che caratterizza la quotidianità di una Ong come AVSI costringe a un incontro costante e capillare con la realtà africana in tutta la sua complessità, e permette una conoscenza del contesto secondo due direttrici, una orizzontale e l’altra verticale: con tutti i soggetti coinvolti alla pari nella realizzazione di un progetto (quali istituzioni, realtà locali, altre Ong internazionali e locali, imprese, comunità) ma anche con i beneficiari più vulnerabili, che vivono nei villaggi più remoti e poveri, fino ai responsabili e funzionari di alto livello, nelle sedi delle capitali, delle imprese, delle università, dei governi.

In questa attività dinamica AVSI inoltre gode di uno speciale “osservatorio”, qual è quello offerto dalla relazione con gli staff locali, dalla fase della selezione e ingaggio in poi, che lascia emergere la difficoltà, in alcuni contesti soprattutto, di reclutare personale qualificato e di “trattenerlo” poi lungo l’esperienza lavorativa. Non è raro che, ricevuta la formazione “on the job”, gli staff locali decidano di andarsene, lasciare il paese per cercare fortuna altrove.

Una fuga di talenti dovuta alla mancanza non solo di buone motivazioni “economiche” (cioè salari alti), ma anche di ragioni più profonde, come la fiducia e la convinzione che un cambiamento sia possibile in patria anche grazie al proprio contributo personale.

Ma se emigrano i più qualificati, chi può animare processi nuovi di sviluppo? Chi può comporre le fila di una classe dirigente nuova capace di trainare il paese fuori dalla povertà e dalle diseguaglianze?

Questo il tema chiave: l’Africa -come del resto anche l’Europa- ha bisogno di classi dirigenti nuove, intese in modo ampio, non solo per l’ambito politico, ma anche sociale, economico, culturale. Ovvero uomini e donne di stato capaci di interloquire con i “forti”, farsi portavoce dei bisogni del proprio paese e del popolo, garanti del bene comune e con un approccio non statalista, ma sussidiario, in grado di progettare un piano di sviluppo di lungo periodo.

Di chi o di cosa la responsabilità ultima di tale fuga? Il sistema educativo che fatica, che non premia il talento o non lo forma in modo adeguato? I contesti di povertà che svuotano gli ideali di cambiamento? L’esigenza di sostenere la propria famiglia? La guerra o i conflitti periodici, la crisi economica senza sbocchi, la corruzione che taglia le gambe ai meritevoli e soffoca qualsiasi iniziativa di libera impresa, la mancanza di lavoro decente?

Non è solo una la ragione, ma è un concorso di cause che insieme sembrano irrisolvibili, ma che invece, lette in modo esperienziale, possono insieme indicare una strada da percorrere.

Come già dimostrato da molti progetti in corso, che prevedono la collaborazione con i corpi intermedi o con i funzionari delle amministrazioni locali, le persone valide non mancano. Ciò che urge è una good governance, quindi un percorso di institution building.

AVSI ritiene che questa sia oggi una delle sfide prioritarie in Africa. E indaga su come sia possibile operare

La complessità del contesto

Il contesto attuale africano è complesso e disomogeneo: 54 paesi sono 54 situazioni e storie diverse, e forse anche di più, in quanto ciascuna è carica di differenze e ineguaglianze al suo interno. Non si possono usare stesse misure e stessi modelli in modo indifferenziato neppure nello stesso paese, tanto meno in tutta l’Africa, e lo si constata sia in ambiti come la distribuzione delle sementi in agricoltura, sia quando si tratta di organizzare proposte formative e di lavoro.

Valorizzare il positivo

Ci sono stati e sono in corso tentativi diversi di lavoro per la formazione di nuovi imprenditori o leader, e questi tentativi andrebbero indagati e monitorati in modo comparato per capire cosa funziona davvero e cosa no. E accanto all’analisi e scouting di esperienze in atto, va tenuta presente la cornice definita da due documenti significativi compiuti da Ue e Africa. Il primo è la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio del 2018 che ha proposto con forza una nuova alleanza Africa-Europa per gli investimenti e l’occupazione sostenibili; l’altro è l’Accordo su un’area di libero scambio continentale africana (CFTA) firmato lo scorso anno da 44 dei 55 membri dell'Unione africana.

La sfida educativa: imparare il bene comune

Per AVSI, dopo 45 anni di presenza in Africa, la chiave prima e decisiva per la formazione di classi dirigenti nuove è l’educazione, da intendersi come accompagnamento della persona alla scoperta del proprio valore e al riconoscimento dell’altro come un bene, un positivo, sempre.

La riduzione dell’educazione a pura serie di competenze o di abilità performanti di cui attrezzare la persona di per sé costituisce già un grande vantaggio. Ma se questo non si accompagna alla solidità della persona educata a concepire la propria azione come connessa e responsabile del bene comune, non si uscirà dai confini di un individualismo che spinge a cercare solo il proprio interesse e giustifica forme di violenza e di corruzione. Questa in particolare demolisce la fiducia a livello capillare, è accettata come ricatto quotidiano e pervasivo cui sottomettersi poter vivere tranquilli.

Africani per l’Africa. Attrezzati contro la deprivazione relativa

Ma questo tipo di educazione “di qualità” deve andare di pari passo con la creazione di posti di lavoro: l’educazione senza sbocco lavorativo decente e formalizzato, oltre a spingere alle migrazioni, può produrre anche dei fenomeni gravi, come derive violente o la sostituzione di governanti autocrati con altri simili, corrotti, disinteressati al destino del proprio popolo.

L’educazione da sola non basta e il lavoro non va inteso solo come strumento per procacciarsi di che vivere, ma come la risposta a un bisogno fondamentale della persona. In questo senso la mancanza di lavoro è disumanizzante.

“Afrotopia”: la centralità dell’umano e la questione culturale

Una provocazione interessante viene da uno studioso senegalese, Felwine Sarr, economista, scrittore e musicista, che arriva a conclusioni simili a quelle che animano la missione di AVSI: l’Africa ha bisogno che sia riposto al centro l’uomo a partire dalla riscoperta del patrimonio culturale africano: “Pensare un progetto di civiltà che metta l’uomo al centro delle sue preoccupazioni proponendo un maggiore equilibrio tra ordini diversi: quello economico, quello culturale e quello spirituale, articolando un rapporto diverso tra il soggetto e l’oggetto”.

La sfida è lasciare che l’Africa sia pensata a partire dall’Africa, attraverso la valorizzazione della sua identità culturale e la restituzione da parte delle ex-potenze coloniali europee dei simboli del suo patrimonio. Certo le identità non sono monoliti, si arricchiscono dei contributi esterni, ma allo stesso tempo la realtà africana non può essere pensata solo (e quindi ridotta) attraverso categorie occidentali.

C’è quindi un lavoro comune da avviare, al quale sono invitati tutti: Ong, imprese private, realtà pubbliche e private che si occupano di cooperazione, rappresentanti delle istituzioni…

Si tratta di lavorare per far evolvere la consapevolezza che c’è bisogno di una nuova classe dirigente in Africa in un processo concreto di messa in atto.

 

 

 

1 Marzo 2019
di
Roberto Ridolfi - Coordinatore del Forum Africa