Categoria: 
Politica

A commento dell'articolo di Massimo Nava del 1 febbraio 2024

5 Febbraio 2024
Luca Jahier

Ho letto con grande interesse l'articolo di Massimo Nava, che ci fornisce analisi e considerazioni assai condivisibili, partendo dalle conclusioni di un autorevole recente studio sulle prossime elezioni europee, le preoccupazioni degli elettori, i temi che saranno più polarizzanti (guerra, immigrazione e lotta contro la legislazione climatica) a scapito di altre questioni più strategiche e cruciali per il futuro dell'Europa.

C'è tuttavia un passaggio erroneo, frutto probabilmente di una svista, che così però non consente di trarre ulteriori considerazioni utili per la scadenza che è di fronte a noi.

Non è vero che soltanto il 42% degli elettori europei si è recato alle urne nel 2019…!

Il 42,6% di partecipazione degli elettori europei fu il dato delle elezioni del 2014, dentro un trend di discesa che durava da più tornate.

Le elezioni del Maggio 2019 videro invece una partecipazione del 50,6%, il più alto tasso dal 1994, con 19 paesi che segnarono un incremento e gli studi dimostrano che questo balzo fu in particolare dovuto al voto giovanile e under 40: più 14% under 25 e più 12% tra 25 e 39....

Bisogna ritornare al quadro di pesante e temuta deriva distruttiva che preoccupava tutte le capitali europee nel 2018: un fronte sovranista mai così vocale prima di allora, con rimbalzi non secondari in molti movimenti delle tante sinistre europee, che riceveva linfa e sostegno dall’America di Trump, dalle vele spiegate della Brexit – il primo divorzio della storia dei successivi e fecondi allargamenti dell’UE – e dal sostegno di Mosca, diretto (finanziario ad alcuni partiti) o indiretto (manipolazione della comunicazione e valanghe di fake news) e che riteneva con facilità di poter conquistare il "palazzo d'Inverno" delle istituzioni europee.

Ma così non è stato e bisogna comprendere le ragioni di quel successo straordinario di partecipazione e infine di consolidamento dell'alleanza delle forze europeiste, conservatrici, progressiste, liberali e verdi, che ha poi dato solidità al programma politico della nuova Commissione von der Leyen.

Non pretendo una analisi sistematica, ma ne cito alcune. La determinante unità europea nel difficile negoziato di divorzio della Gran Bretagna, intorno alla leadership del negoziatore europeo Michel Barnier, che portò alla quasi scomparsa dell'opzione "exit" dall'agenda di quasi tutti i partiti prima simpatizzanti di quella deriva. Il dibattito lanciato dal Presidente Juncker sui cinque scenari per il futuro dell'Europa, le consultazioni cittadine volute dal Presidente Macron nella seconda metà del 2018, che pure ebbero risultati molto diversi di mobilitazione nei 27 paesi. Il lavoro programmatico molto intenso delle principali forze politiche per preparare le rispettive agende di priorità per le elezioni, in gran parte focalizzate su una nuova agenda per la sostenibilità per fra fronte alle sfide del XXI secolo. Le proposte della Commissione europea prima e del Parlamento europeo poi, a inizi 2019, per fissare le possibili priorità di una tale agenda di visione complessiva per la nuova legislatura. Lo straordinario movimento dei Fridays for future, intorno alla figura della giovane adolescente svedese, Greta Thunberg, che non era antisistema, ma riempiva le piazze reali e virtuali con una forte sollecitazione alle istituzioni perché tenessero fede agli impegni sottoscritti a Parigi. La mobilitazione di tutte le forze delle imprese, dei sindacati e della società civile europea, in una grande assemblea europea al CESE nel febbraio 2019, che si impegnava alla mobilitazione per una Europa che guardasse ad un futuro basato su tre grandi parole d'ordine "People, Progress, Planet" e garantiva la forza dell'Europa che lavora. E infine il Summit dei capi di Stato e di governo, a Sibiu, voluto dalla Presidenza rumena dell'UE e dal Presidente Juncker, dove fu lanciato, un mese prima delle elezioni, un forte messaggio di mobilitazione e di impegno unitario per il futuro.

La storia non si ripete, ma è esattamente ciò che manca oggi. A partire da una orgogliosa rivendicazione delle straordinarie e inedite risposte date dall'Unione europea alle drammatiche crisi sistemiche di questi anni, dalla pandemia alla crisi economica, dalla crisi energetica alla guerra e all'inflazione, per fondare su questi risultati le proposte di una nuova visione atta rispondere alle sfide strategiche che sono di fronte a noi. Dagli imperativi geopolitici alla sicurezza economica, dalla politica industriale agli enormi investimenti necessari per non perdere la sfida tecnologica, dalla difesa alle politiche di coesione necessarie per sostenere i costi sociali e territoriali di tali transizioni, dal futuro del bilancio europeo, delle tassazioni e indebitamento comune, alla riforma dei Trattati e l'adattamento dell'agenda climatica.

Ha ragione Nava, rischiamo di parlare d'altro, di perdere la partecipazione e consegnare il consenso a coloro che hanno perso nel 2019 e oggi risorgono, amplificando i molti malcontenti e le legittime paure in un mondo polarizzato e frammentato. I problemi non sono nei sentiment della popolazione europea, sono nella forse stanchezza delle classi dirigenti europee e nelle leadership dei partiti a raccogliere oggi la sfida come si fece in vista del 2019, lasciando così arare il terreno a chi non ha soluzioni e visioni, ma solo facili slogan e rincorsa dell'ultima protesta.