Migrazioni e asilo: patto nuovo, vecchi problemi

Lodovico Sonego
Già Presidente della Delegazione parlamentare italiana presso la Central European Initiative

Il CeSPI apre un forum sull’immigrazione chiedendo una riflessione a proposito del Nuovo Patto su Migrazioni ed Asilo, varato a settembre 2020 dalla Commissione europea.

I paesi membri dell’Europa mediterranea hanno atteso con speranza i nuovi indirizzi comunitari, quelli del Nord e Centro Est con timore. Come previsto, le opposte aspettative hanno limitato la portata del Patto, che finisce per non essere poi tanto “nuovo”.

L’aspetto più vistoso è che si invocano i principi della solidarietà e della responsabilità, ma il Regolamento di Dublino sembra proprio intoccabile, insomma le contrapposizioni geografiche impediscono riforme di spessore. Quelle divisioni producono anche l’effetto collaterale di far passare in secondo piano, e a volte persino di nascondere, il fatto che in materia di migrazioni l’Europa è divisa anche da una faglia profonda che separa Destra e Sinistra.

Da persona che si riconosce nel campo della Sinistra europea, ritengo invece essenziale superare l’approccio fuorviante della contrapposizione geografica, per riportare l’approfondimento sul terreno più propriamente politico e cercare i presupposti su cui fondare un’azione convincente ed unitaria della Sinistra continentale.

Non voglio negare che le migrazioni provochino riflessi condizionati differenti, nelle diverse regioni d’Europa: l’Italia ha conosciuto l’ultima grande travolgente migrazione nel lontano settimo secolo, con i Longobardi, mentre un cittadino polacco di mezza età ha vissuto lo spostamento di milioni di concittadini e di persone di altre nazionalità, attraverso i drammi famigliari della generazione  precedente.

Ma la questione politica rimane, appunto. La divisione tra Destra e Sinistra consiste - e in tal modo viene diffusamente percepita dalla maggior parte dell’opinione pubblica europea - in una contrapposizione valoriale, in cui entrambe le parti considerano disvalore la posizione avversa. La Destra è assertivamente contraria alle immigrazioni extracomunitarie, e talvolta persino alle migrazioni intraeuropee, mentre la Sinistra è favorevole agli spostamenti di popolazione, con una liberalità variamente graduata che arriva sino ad asserire l’inesistente diritto all’immigrazione extracomunitaria.

E’ una contrapposizione così fortemente valoriale da impedire persino lo sforzo dell’enunciazione consapevole del problema. La questione migratoria continuerà ad essere motivo di conflitto insanabile, sino a che non sarà maggioritaria la disponibilità ad una riflessione di merito.

Mi preme la porzione dell’approfondimento che riguarda il mio campo, e per contribuirvi ripropongo - condividendole - le considerazioni di Hubert Védrine (Le Figaro, 27 luglio 2018) che fu ministro degli esteri socialista della Repubblica Francese dal 1997 al 2002: “I paesi nei quali la gente vuole trasferirsi per avere una vita migliore non possono attuare una chiusura: su questo l’estrema destra dice delle assurdità. Dal punto di vista economico ci sarà bisogno di immigrati regolari, in vari settori produttivi. Dal punto di vista umano, sarebbe crudele e impraticabile. Per contro, l’idea di “apertura totale” in un mondo senza frontiere è irresponsabile. Farebbe esplodere le società. Tra questi due estremi, è necessario gestire il flusso. E’ una questione di buon senso e di quantità, prima che di valori. E’ sicuramente complicato riuscirci, ma è auspicabile superare le contrapposizioni binarie pseudomorali, per cercare soluzioni concrete.”

L’ex inquilino del Quai D’Orsay affrontò sul Figaro anche la questione della migrazione economica e dell’asilo - argomento che incrocia il Nuovo patto comunitario - osservando che: “La mancanza di distinzioni è una delle cause della sofferenza delle popolazioni. Ma numerose forze politiche si rifiutano di fare distinzioni: l’estrema destra non vuole distinguere (e grida all’invasione), l’estrema sinistra nemmeno perché si gioca la carta delle lobby createsi intorno all’immigrazione. Ed esiste una corrente di pensiero generosa, cristiana ma non solo, che non vuole fare distinzioni tra “quelli che soffrono”. E dunque c’è da temere che, se non si rende sacro il diritto di asilo, quello autentico, a favore delle persone che si trovano in pericolo, tra dieci anni non ci sarà più asilo. E sarebbe inaccettabile.”

Il sollecito di Védrine, di due anni or sono, fa tornare alla mente lo sforzo politico e di civilizzazione della legge 40 del 1998 (vent’anni prima!), detta Turco-Napolitano. Colpisce quanto quell’apparato normativo si sforzasse di coniugare un altissimo livello di dignità umana e civilizzazione con l’intento razionale di organizzare politiche migratorie che potessero puntare all’integrazione, ed essere utili alla comunità nazionale.

Lo dico consapevole che anche il miglior apparato normativo è imperfetto, ma rammentando che da allora, anche quando il mio campo politico è stato alla guida del Paese, non vi è più stato uno sforzo altrettanto compiuto per una politica delle migrazioni coerente con l’ispirazione liberaldemocratica dell’Italia e dell’Europa. Ricordo anche le contestazioni alla legge 40 che sono venute proprio da segmenti di sinistra e che non sfociarono in una contrapposizione frontale solo per la statura, anche morale, di chi aveva proposto quelle norme.  

Védrine affronta la questione dell’Islam: “In secondo luogo, esiste il problema della guerra globale entro l’Islam sunnita, tra l’infima minoranza di islamici terroristi, gli islamici non terroristi, e l’insieme degli altri musulmani, che sono le prime vittime. Noi, ebbene noi siamo solo vittime collaterali su un campo di battaglia periferico. Nel dibattito pubblico, questo problema non viene trattato adeguatamente perché non si ha il coraggio di liberarsi dei tabù. Il risultato è che non si aiutano abbastanza i coraggiosi musulmani che si trovano in prima linea. Per risalire la china e costruire il consenso intorno a un progetto d’insieme, è necessario dare un nome alle cose.”

Ecco, appunto, credo che discutendo di migrazioni e del Nuovo patto su Migrazioni ed Asilo dovremmo sforzarci di  “dare un nome alle cose, liberarci dei tabù, superare le contrapposizioni binarie pseudomorali e cercare soluzioni concrete.”

A sinistra è molto frequente ricorrere all’invettiva antipopulista per contrastare chi si oppone alle migrazioni. E’ uno dei modi per scansare il merito della questione ed evitare il nodo cruciale del rapporto democratico con la cittadinanza.

 “Oggi, in nome della lotta contro il “populismo”, non si può dire che non si terrà mai conto di come il “popolo” vota, altrimenti è inutile fare l’apologia della “democrazia”!”  

Anche il mitizzato “Wir schaffen das” (ce la faremo) che sintetizzò la ferma e ordinata gestione della cancelliera Angela Merkel in occasione della crisi migratoria del 2015, scontò un riflesso elettorale della destra estrema, con la preoccupante affermazione di Alternative für Deutschland. Ci allarmammo tutti, in tutta Europa.

Propongo le considerazioni che precedono perché avverto il rischio che - discutendo delle più recenti proposte di Bruxelles - si possa commettere l’errore di una focalizzazione eccessiva sugli aspetti più immediati e contingenti del problema migratorio, omettendo così i fondamentali senza i quali la Sinistra sarà inefficace sotto tutti i profili, anche quelli dell’approccio solidaristico ed umanitario.