L'Italia, l'Europa e il dibattito sulla nuova politica migratoria

Andrea Stocchiero
Coordinatore Area Migrazioni del CeSPI e Policy officer Focsiv

Nel 2015, con la cosiddetta rotta balcanica (oltre 1 milione di persone sono entrate nell’Unione europea dalla Turchia per la crisi umanitaria a causa della guerra in Siria) e la rotta nel Mediterraneo centrale (con oltre 200 mila persone che hanno attraversato il mare dalla Libia all’Italia a seguito del peggioramento delle condizioni di vita per la guerra in atto in quel paese), l’Unione europea è entrata in crisi. Si è divisa tra Stati membri, tra paesi del Sud (Italia e Grecia in particolare), paesi del gruppo di Visegrad, paesi del centro e Nord Europa. Il sistema comunitario per l’asilo e quello di Shengen si sono inceppati. La sfiducia tra gli Stati è cresciuta, la responsabilità e solidarietà tanto invocate si sono ridotte a improvvisate misure di ricollocamento delle persone sbarcate.

Ma soprattutto è emersa con ancor più forza una faglia tra governi, parlamenti e opinioni pubbliche che sostengono un ritorno a forti sovranità territoriali ancorate a visioni nazionalistiche ed etniche, e governi, parlamenti e opinione pubbliche che cercano di preservare i valori liberali e sociali europeisti. Questa faglia non è solo tra paesi membri ma anche all’interno di ogni paese membro. Si tratta di una profonda questione culturale, nella quale le migrazioni giocano un ruolo discriminante.

In questo Forum entreremo nel merito del nuovo dibattito politico sulla politica migratoria europea, consapevoli dunque delle sue implicazioni politiche e culturali. Emergono una serie di questioni di non facile risoluzione che di seguito vengono evidenziate e sulle quali animare un dibattito capace di articolare una riflessione ponderata, per impostare una politica europea all’altezza dei suoi valori ed efficace nel contemperare i diversi interessi nazionali in gioco.

Nel settembre del 2020, la nuova Commissione europea ha presentato il Nuovo Patto su Migrazioni ed Asilo , che ha lo scopo di ricucire le divisioni tra Stati membri e di ricostruire la fiducia nel sistema europeo, a partire da un nuovo equilibrio tra responsabilità e solidarietà. Più responsabilità dei paesi del Sud nel gestire gli sbarchi e la prima accoglienza, senza consentire movimenti secondari, e più solidarietà dei paesi che non sono lungo la frontiera esterna nell’accogliere ricollocamenti, sponsorizzare ritorni e sostenere economicamente i costi dei paesi del Sud.

La prima questione che si pone è quindi l’equilibrio da introdurre tra responsabilità e solidarietà. Per questo si propongono numerose innovazioni giuridiche ed operative. Nuovi regolamenti sulle procedure alla frontiera e per l’asilo, il rafforzamento delle agenzie europee Frontex ed Easo a sostegno delle amministrazioni nazionali, del sistema di raccolta dati Eurodac e altro. Si intende rafforzare anche i partenariati con i paesi terzi per una gestione delle migrazioni che in qualche modo riduca la pressione sulle frontiere esterne dell’Ue, sostenendo finanziariamente le capacità di quei paesi nell’accogliere profughi e rifugiati, e nel gestire le loro frontiere.

La Commissione propone un nuovo equilibrio tra responsabilità e solidarietà tra Stati membri che si fonda su un sistema flessibile di solidarietà. Questo sistema prevede che un paese che non sta sulla frontiera esterna possa scegliere tra l’accogliere ricollocamenti, e/o sostenere le spese di rimpatrio (sponsorship dei rimpatri) e di appoggio ai paesi di frontiera. Non vi sono obblighi. In questo modo si agevolerebbe una migliore distribuzione delle responsabilità, e i paesi del Sud Europa potrebbero alleviare i costi dei propri sistemi di accoglienza.

La seconda questione strettamente legata alla prima è la riforma del Regolamento di Dublino. A fronte delle proposte sono sorte critiche sia da parte dei paesi membri che della società civile. In particolare, per quanto riguarda in specifico l’Italia, la Ministra Lamorgese in un webinar organizzato dal CeSPI ha messo in rilievo come la proposta della Commissione non implichi un cambiamento del Regolamento di Dublino. La responsabilità di prima accoglienza rimane in capo ai paesi del Sud, che devono rafforzare i propri sistemi di hotspot e l’implementazione veloce e sicura delle procedure per stabilire chi può entrare per l’asilo e chi deve essere rimpatriato. Si stabilisce una procedura accelerata per le nazionalità le cui domande di asilo hanno un recepimento sotto la soglia del 20%. Si prevede addirittura una specie di finzione e limbo giuridico, per cui questi migranti pur essendo entrati fisicamente sul suolo europeo, non lo sono da un punto di vista legale, in attesa di stabilire se devono procedere come asilanti o se devono essere rimpatriati.

La Ministra ha sottolineato come attualmente la maggior parte delle nazionalità che sbarcano sulle nostre coste facciano parte di questa categoria. Il che significa che l’Italia dovrebbe mantenere sul proprio territorio migliaia di persone in attesa di rimpatrio, ampliando il sistema degli hotspot e soprattutto i centri di permanenza per i rimpatri, strutture di carattere detentivo. Questo sistema continuerebbe a imporre i maggiori costi sui paesi di frontiera, che rischiano di diventare la cintura di confinamento dei migranti.

La rete Euromed Rights ha fatto una simulazione di questo sistema, mostrando come la capienza dei centri di detenzione dovrebbe essere aumentata di oltre 7 volte in anni “normali”, e di oltre 50 volte in anni di crisi come quello del 2016. Ciò renderebbe molto difficile assicurare il rispetto dei diritti umani e metterebbe a dura prova i territori dove i centri opererebbero.

Una terza questione riguarda l’instaurazione di meccanismi per salvaguardare i diritti fondamentali dei migranti e richiedenti asilo. Secondo la Commissione il Nuovo Patto rispetta i diritti fondamentali soprattutto dei gruppi più vulnerabili. Molto dipende dall’efficienza delle procedure alla frontiera per dividere chi ha diritto all’asilo e chi no. Comunque, queste procedure non si applicano ai minori sotto i 12 anni. I singoli Stati membri dovrebbero inoltre porre in essere un sistema di monitoraggio e sorveglianza indipendente sulle procedure, con la guida dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali. Ma diverse organizzazioni dubitano che tali meccanismi siano realmente indipendenti, e meglio sarebbe stato dare l’incarico a organismi della società civile.

La quarta questione si pone rispetto a scenari di crisi e all’impegno per le operazioni di ricerca e salvataggio. Rimane la questione di come verranno rispettati i diritti umani in periodi di crisi con ampi flussi di migranti. Il Nuovo Patto prevede infatti delle deroghe, con l’utilizzo di centri di detenzione, in un modo strettamente regolato e per un periodo limitato di tempo. In questi periodi vi sarebbe la possibilità di poter contare su ricollocazioni obbligatorie. Mentre riguardo le operazioni di ricerca e salvataggio in mare, la Commissione ne sottolinea l’obbligo legale e umanitario, che richiede un forte coordinamento tra autorità e navi private, tra cui quelle delle organizzazioni della società civile che non devono essere criminalizzate. È previsto inoltre un meccanismo per prevedere gli sbarchi con la solidarietà dei paesi membri, superando l’attuale improvvisazione. Non vi è però certezza sull’impegno concreto dell’Unione europea per il salvataggio di vite umane. Mentre continua il contestato sostegno alla guardia costiera libica.

Una quinta questione è di politica estera con riferimento alla cosiddetta esternalizzazione dei controlli. La Commissione ribadisce con il Nuovo Patto la linea seguita in questi ultimi anni di rafforzare i partenariati con paesi terzi al fine di favorire l’accoglienza dei migranti nei paesi vicini a quelli di origine, la gestione delle frontiere, la lotta al traffico e le riammissioni. In tal caso viene contestata la strumentalizzazione della politica di cooperazione allo sviluppo che verrebbe piegata agli interessi europei di contenere i flussi migratori, investendo risorse anche in progetti che non rispettano i diritti umani come quello già ricordato di sostegno alla guardia costiera libica. L’esternalizzazione corre inoltre il rischio di andare a sostenere governi autoritari o incapaci di offrire una accoglienza dignitosa ai migranti, esponendo l’Ue a ricatti e minacce, come già avvenuto con la Turchia e con la Libia. La politica migratoria deve risultare coerente con la politica estera e di cooperazione allo sviluppo.

La sesta questione è relativa alla necessità di armonizzare un sistema europeo di politica sull’immigrazione con canali regolari, sicuri e ordinati, come stabilito dal target 10.7 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile riconosciuti dall’Ue e dall’Italia. La Commissione sostiene l’importanza della misura dei reinsediamenti per i rifugiati e anche dei corridoi umanitari promossi da attori della società civile e dalle Chiese. D’altra parte riconosce che dovrebbe essere fatto di più per stabilire canali regolari per motivi di lavoro, e spera nell’approvazione del nuovo regolamento sulla Carta Blu. Si lancia inoltre l’idea della Talent Partnership, ovvero di una misura per attrarre giovani talenti in Europa al fine di sostenerne lo sviluppo. Misure che comunque appaiono insufficienti, rimanendo ai singoli paesi membri la competenza esclusiva sulla loro effettiva applicazione; e che aprono questioni come quella del brain drain che la Talent Partnership genererebbe nei paesi impoveriti.

Infine, la settima questione è come superare l’approccio emergenziale per articolare una politica migratoria che stia dentro una visione più a lungo termine di sviluppo sostenibile europeo. Il Nuovo Patto pone una serie di questioni di non poco conto, come abbiamo visto, dal difficile incrocio tra politica migratoria e politica estera, di difesa e di sicurezza, al rispetto dei diritti fondamentali, all’equilibrio tra solidarietà e responsabilità, all’impatto sui territori di frontiera. Ma soprattutto, il Nuovo Patto appare schiacciato sul mettere in campo tutti gli strumenti per fermare e far ritornare i migranti nei loro paesi, senza aprire canali sicuri e regolari, e quindi senza dotarsi di un piano a lungo termine che veda le migrazioni come una “risorsa”, un pezzo ad esempio del Next Generation Fund o della strategia per lo sviluppo sostenibile. Si continua a dibattere sulle migrazioni in termini di emergenza e sicurezza, mentre occorrerebbe aprire un dibattito culturale e politico sul ruolo delle migrazioni nella transizione economica e sociale del nostro paese e dell’Europa.