Articolo di Frank Decker

Venuti per restare. Dove sta andando l’Alternative für Deutschland?

Perché nella Repubblica Federale ci sia voluto così tanto prima che un partito populista di destra come l’AfD (Alternativa per la Germania) potesse prendere piede nel sistema partitico nazionale è un interrogativo che rimane per alcuni versi ancora aperto. Già negli anni ’80 si era visto come alcune tendenze alla frammentazione a destra fossero sfociate nella “terza ondata” di estremismo di destra, che dura fino ai giorni nostri.

La genesi dell’AfD

La prima ondata era iniziata nell’immediato dopoguerra ed era proseguita fino a quando, nel 1952, il Sozialistische Reichspartei (Partito Socialista del Reich, SRP) non venne bandito. La seconda si era sviluppata a metà anni ’60 e aveva fatto approdare l’NPD (Partito Nazionaldemocratico di Germania) – fondato nel 1964 –  nei parlamenti di sette Länder, ma era velocemente scemata.

Nel corso di questa terza ondata, i Republikaner (Repubblicani, REP) – nati nel 1983 come costola della CSU (Unione Cristiano-Sociale) – sono entrati in un parlamento regionale per tre volte; otto volte la Deutsche Volksunion (Unione Popolare Tedesca, DVU) – fondata nel 1987 dall’editore di Monaco Gerhard Frey – e quattro volte l’NPD. Ma nessuno di questi partiti era mai riuscito a sfondare a livello nazionale. Una delle ragioni di questa debolezza è stata proprio il loro estremismo, che ha tenuto lontani molti elettori e ha ostacolato lo sviluppo di una strategia elettorale populista. Va però aggiunto che in Germania anche i gruppi ideologicamente più moderati che hanno sperimentato una strategia simile non hanno avuto successo.

Non è stato possibile portare sulla via della destra populista un partito già esistente, come aveva tentato di fare l’esponente dell’FDP (Partito Liberale Democratico) Jürgen Möllemann. Né nuove formazioni come il partito amburghese Statt Partei (Die Unabhängigen, Partito Invece – Gli indipendentisti), il Bund freier Bürger (Offensive für Deutschland, Lega dei cittadini liberi – Offensiva per la Germania, BFB) o lo Schill-Partei (Partito di Schill o Partito dell’offensiva dello stato di diritto) sono state in grado di replicare i successi iniziali ed espandersi oltre il livello regionale.

Come evidenzia la ricerca comparata, affinché tali partiti o movimenti possano generarsi è necessario solitamente un impulso iniziale, un determinato “momento populista”. La “finestra di opportunità” per la formazione di un nuovo partito euroscettico è stata aperta, nel caso di Alternative für Deutschland (AfD), dalla crisi finanziaria e dell’euro. Le sue principali richieste programmatiche, ovvero la dissoluzione controllata dell’Unione monetaria e l’opposizione a un ulteriore approfondimento del processo di integrazione europea, sono risultate particolarmente adatte allo sviluppo di una piattaforma populista di destra più ampia che unisse l’opposizione all’establishment – elemento essenziale del populismo – con posizioni “anti” in materia di immigrazione e in altri settori delle politiche sociali.

L’AfD ha tratto vantaggio da una serie di circostanze. In primo luogo, ha potuto unirsi a diverse organizzazioni che l’avevano preceduta: dal disciolto partito euroscettico Bund Freier Bürger, all’Initiative sozialer Marktwirtschaft (Iniziativa Economia Sociale di Mercato), fino alla rete di campagne conservatrici Zivile Koalition (Coalizione Civile), fondata dalla sua attuale vice capogruppo Beatrix von Storch. Un altro fattore che ha contribuito a spianare la strada al populismo di destra è stato, nel 2010, il “caso Sarrazin”: l’economista esponente della SPD che nel suo libro “la Germania si autoelimina” denunciava i pericoli dell’immigrazione musulmana.

Il populismo di destra, quindi, non è certo piovuto dal cielo con la nascita dell’AfD.

In secondo luogo, con il loro corso programmatico e la loro governance i partiti borghesi Union (l’Unione tra CSU e Unione Cristiano-Democratica, CDU) e FDP, che hanno per anni governato insieme, hanno aperto un varco nel sistema partitico. Da un lato, tra i liberali – dopo il fallimento del referendum tra gli iscritti al partito sul Fondo Salva Stati nel 2011 – si è sopita la voce euroscettica, dall’altro nella CDU guidata da Angela Merkel sono state abbandonate le tradizionali posizioni in materia di politiche sociali e per la famiglia, di cui l’AfD si è appropriata.

In terzo luogo il neoarrivato partito ha beneficiato del suo aspetto borghese e affidabile e del fatto che tutti i suoi esponenti di primo piano, senza eccezioni, fossero fuoriusciti dalle file dell’Unione o dell’FDP. In un primo momento, infatti, anche alcuni politologi avevano etichettato il partito fondato da Bernd Lucke, professore di economia presso l’Università di Amburgo, come “liberale o conservatore di destra” e non come “populista di destra”.

La radicalizzazione dell’AfD

Ma già allora nell’AfD albergavano i semi del populismo di destra. Sin dall’inizio c’è stato un acceso dibattito interno circa il suo orientamento. Mentre l’ala economista che faceva capo a Lucke e all’ex presidente della Federazione dell’industria tedesca Hans-Olaf Henkel poneva l’accento sulla questione dell’euro e indicava al partito un orientamento economico liberale, l’ala nazionalconservatrice guidata da Frauke Petry e Alexander Gauland insisteva maggiormente sui temi della "politica dell’identità" e su una strategia populista del discorso elettorale. Oltre all’immigrazione, uno spazio relativamente ampio era dedicato anche ai temi delle politiche di genere e della famiglia.

La svolta a destra dell’AfD è stata favorita dal fatto che, dopo il successo ottenuto alle elezioni federali ed europee, nelle elezioni regionali tenutesi a fine estate 2014 in tre Länder orientali il partito ha registrato risultati molto migliori rispetto a quelli conseguiti nei Länder occidentali. I gruppi regionali hanno visto in questo risultato una conferma della loro linea, basata sul superamento della sola battaglia sull’euro e concentrata sulla formazione di una più ampia piattaforma populista di destra. A poco è servita l’opposizione di Lucke a questo processo di radicalizzazione. La sua sostituzione nella carica di presidente da parte di Petry ha portato nel luglio 2015 alla spaccatura del partito. Insieme ad altri esponenti dell’ala economica liberale, Lucke ha lanciato un nuovo partito euroscettico, nato morto però fin dall’inizio. Nonostante la convergenza di posizioni sull’euro, in uno scontro ideologico dominato dalla questione dei rifugiati il nuovo partito non ha potuto nulla contro la concorrenza della parte maggioritaria e molto più intransigente del resto dell’AfD.

La questione dei rifugiati ha infatti ulteriormente rafforzato il posizionamento dell’AfD nel campo dell’estrema destra. Ciò vale soprattutto, ma non solo, per la Germania orientale, dove alcuni membri del partito sostengono apertamente posizioni razziste e antidemocratiche. Quanto sia diventato difficile tracciare una chiara linea di demarcazione rispetto all’estremismo di destra all’interno dell’AfD lo si è visto nei rapporti con Björn Höcke, capogruppo al Parlamento della Turingia. Né Lucke né Petry hanno potuto imporre la sua esclusione dal partito. Höcke, che ha contatti con ambienti della Nuova Destra vicini all’NPD e che, con le sue uscite provocatorie, finisce regolarmente sulle prime pagine dei giornali, ha anche goduto del sostegno di esponenti dell’ala più moderata del partito. Ad accumunare le due parti è stata l’opposizione a Petry. Quest’ultima, che con la sua leadership autoritaria si era progressivamente spianata la strada verso l’estromissione, ha abbandonato il partito e il gruppo parlamentare subito dopo le elezioni federali del 2017, in cui i populisti di destra hanno trionfato, ottenendo – con il 12,6 per cento delle preferenze – un risultato inaspettatamente alto.  

Ci sono buone ragioni per credere che l’AfD riuscirà a radicarsi nel sistema partitico tedesco, perlomeno a medio termine. “Medio termine” equivale approssimativamente a due legislature: del resto, la capacità di previsione delle scienze politiche non è in grado di andare oltre. Ciò rappresenta indubbiamente una svolta radicale nella storia della Repubblica Federale, poiché per la prima volta dagli anni ’50 autentici estremisti di destra siedono nuovamente in Parlamento. Certamente, nel confronto con gli altri paesi europei, questi sviluppi rappresentano piuttosto una normalizzazione: qui gli esponenti della destra populista fanno già da tempo parte dell’orizzonte dei sistemi partitici.

Il profilo dell’elettorato Afd

Nel mondo della ricerca si discute se la nascita e il successo del populismo di destra derivi maggiormente da conflitti di natura sociale, economica o culturale. Il dibattito si riflette negli studi elettorali sull’AfD. Mentre i suoi elettori vengono etichettati da alcuni come i tipici perdenti della globalizzazione e della modernizzazione, altri sottolineano come non sia dalle classi sociali più svantaggiate che il partito riceve il maggior sostegno. In effetti, gli studi attualmente disponibili dimostrano che, ad esempio, né elevati tassi di disoccupazione, né l’aumento della percentuale di stranieri bastino di per sé a spiegare la maggiore propensione al voto per i populisti di destra.

Negli Länder occidentali l’AfD sembra riscuotere successo soprattutto presso elettori con redditi inferiori alla media e/o che operano nel settore industriale. Negli stati orientali è forte, invece, nelle regioni rurali che sono più esposte all’emigrazione e che rischiano di rimanere indietro dal punto di vista economico. Operai e disoccupati sono sovrarappresentati tra gli elettori, ma costituiscono solo un quarto dell’intero bacino elettorale dell’AfD. I restanti tre quarti sono rappresentati da impiegati, funzionari e lavoratori autonomi. Anche rispetto all’istruzione formale si nota una prevalenza dei titoli di studio di livello intermedio.

Un profilo più chiaro emerge andando ad osservare gli atteggiamenti dell’elettorato. Gli elettori dell’AfD mostrano un livello di insoddisfazione più elevato rispetto agli elettori delle altre forze politiche. Inoltre il loro orientamento politico tende a posizioni di estrema destra. Dunque, nell’AfD voto di protesta e voto di appartenenza vanno di pari passo e coincidono con l’idea di un “partito anti-establishment”. Le differenze con i loro concorrenti politici appaiono più evidenti nella valutazione delle politiche in materia di immigrazione e rifugiati: la posizione intransigente dell’AfD è condivisa quasi all’unanimità dai suoi elettori. Come dimostra la nuova crescita dell’affluenza alle urne, a partire dal 2016, l’AfD è riuscita a mobilitare anche molti ex astenuti.

Le prospettive future

Anche i più strenui ottimisti tendono a escludere che nel breve periodo l’AfD possa scomparire dai parlamenti (nazionale e regionali). La combinazione di domanda e offerta garantisce buone opportunità al partito. Per quanto riguarda il lato della domanda, le sole decisioni adottate in materia di politiche verso i rifugiati nel 2015 e nel 2016, le continue polemiche sul rimpatrio dei rifugiati senza diritto di soggiorno e l’“aggravio” dei sistemi di sicurezza sociale a causa dei rifugiati rimanenti nel paese offrono all’AfD sufficienti argomenti. Va detto che neanche a livello europeo il problema è lontanamente risolto: quanto prima la pressione dei rifugiati potrebbe tornare a crescere.

A ciò si aggiunge il tema dei cambiamenti climatici, entrato con forza nell’agenda politica nel 2019 in seguito alle proteste dei Fridays for Future. Anche rispetto a questo tema l’AfD si colloca a destra nel sistema politico. Quando spalleggia i negazionisti del cambiamento climatico, le sue posizioni radicali possono sembrare assurde. Richieste più moderate, invece, come quella di prolungare l’utilizzo dell’energia nucleare in quanto tecnologia di transizione, poggiano su argomenti degni di considerazione, che possono far presa tra gli elettori della classe media.

Se si guarda al lato dell’offerta, il quadro è più variegato. Da un lato il partito può trarre vantaggio dalle vaste risorse che la presenza nelle assemblee parlamentari a tutti i livelli gli ha procurato. Dall’altro, sarà probabilmente avvantaggiato dalla sua notevole abilità – superiore rispetto a tutti gli altri partiti – nell’uso dei social network. I populisti di destra devono infatti buona parte della loro forza organizzativa e di propaganda alla possibilità di parlare direttamente ai propri elettori. Lo fanno utilizzando i social e attirando l’attenzione con deliberate provocazioni politiche, bypassando così i mezzi di comunicazione convenzionali. Al tempo stesso, la non dipendenza dai mezzi di informazione tradizionali consente loro di bollare questi ultimi come parte dell’establishment politico, che è in combutta con i governanti. Questo vale soprattutto per i mezzi di informazione pubblici, controllati dai partiti.

Ma l’AfD è esposta anche a notevoli rischi per cause interne. Il pericolo di un possibile fallimento per via dell’incapacità organizzativa, che rappresenta una costante tra i partiti di nuova fondazione, sembra essere il problema minore. Più preoccupante è l’accentuarsi delle posizioni di estrema destra, in atto fin dalla sua nascita, al punto che l’AfD viene già classificato da molti osservatori come partito di estrema destra e non più solo come di destra populista. I quadri facenti capo alla fazione estremista (Der Flügel, l’Ala) di Höcke e del capogruppo in Brandeburgo, Andreas Kalbitz, non rappresentano ancora la maggioranza. Tuttavia esercitano un’influenza così forte sull’intero partito, sia internamente che all’esterno, che la prevalenza numerica delle forze moderate è sempre meno rilevante. E poiché la componente democratica dell’AfD non riesce – o forse non vuole – più ad opporsi alle tendenze estremiste, deve ritenersi in fin dei conti corresponsabile.

Il “muro tagliafuoco” alla prova

L’infiltrazione delle forze di estrema destra nelle file dei partiti populisti di destra è un problema ben noto in Germania. Il fatto che, a partire dall’uscita di scena della corrente guidata da Lucke, questo fenomeno sia stato e sarà accettato dagli esponenti più moderati senza particolari resistenze, è da attribuirsi principalmente ai buoni risultati elettorali raggiunti dal partito a partire dal 2016. Tuttavia, la performance piuttosto deludente in alcuni Länder occidentali indica che la radicalizzazione dell’AfD danneggia soprattutto il segmento elettorale borghese conservatore, che rappresenta il target di riferimento preferito dal partito. Questo effetto potrebbe amplificarsi qualora alcune frange del partito venissero poste sotto sorveglianza dall’autorità per la protezione della costituzione (BfV) e il sospetto di estremismo ricevesse, per così dire, un timbro ufficiale. (Il 12 marzo 2020 l’agenzia di sicurezza interna ha effettivamente annunciato che i membri di Der Flügel, già ritenuta un “caso sospetto”, saranno ufficialmente tenuti sotto osservazione)

Ciò aprirebbe probabilmente nuove fratture tra le forze più moderate e quelle estreme e genererebbe conflitti potenzialmente autodistruttivi. In tale contesto, vi è motivo di ritenere che l’AfD, anche qualora riuscisse ad integrarsi nel sistema partitico tedesco a medio e lungo termine, non riuscirà a ottenere, quanto meno a livello nazionale, lo stesso numero di consensi guadagnati dai populisti di destra in Francia, Austria o Danimarca.

Guardando ancora una volta alla Germania orientale, la situazione appare leggermente diversa. Lì, nelle elezioni regionali in Brandeburgo e Sassonia del 2019 si è riproposto lo scenario visto in Sassonia-Anhalt nel 2016, allorché Union e SPD (Partito Socialdemocratico) hanno potuto formare una coalizione contro l’AfD solo grazie all’appoggio dei Verdi. In Turingia, non è stato nemmeno possibile questo a causa del forte risultato elettorale della Linke (La Sinistra). In questo Land l’organizzazione regionale della CDU aveva preso in considerazione la possibilità di collaborare con la sinistra appoggiando l’elezione a primo ministro di Ramelow. Tale idea era stata però bruscamente respinta dalla direzione del partito a Berlino, facendo riferimento all’“ordine di equidistanza” tra Linke e AfD. I deputati della CDU sono caduti così nella trappola dell’AfD di Höcke, rendendo possibile con i loro voti e con quelli dell’AfD l’elezione dell’esponente dell’FDP Thomas Kemmerich a nuovo primo ministro del Land.

Sebbene la bufera che ne è seguita abbia costretto Kemmerich alle dimissioni dopo appena pochi giorni, l’incidente ha chiarito quanto sia diventato fragile il “muro tagliafuoco” che separa i partiti conservatori dai populisti e dagli estremisti di destra, tanto che alcuni osservatori preoccupati, come l’ex Ministro dell’Interno Gerhart Baum, hanno sentito aleggiare sul paese l’“aria di Weimar”.

Quand’anche non si dovessero condividere simili analogie allarmistiche, esse dimostrano il drammatico cambiamento sopraggiunto con l’entrata in scena dell’AfD nel panorama partitico e nella cultura politica della Repubblica Federale.