L’immigrazione è oggi il tema che più incide sulla vita di ogni società e dei suoi cittadini. Lo vediamo ogni giorno in Italia investita negli ultimi quattro anni da flussi migratori imponenti. Lo vediamo in Europa dove sull’immigrazione si gioca la sfida politica e elettorale tra forze democratiche e movimenti populisti. Lo abbiamo visto in America dove una delle proposte simbolo di Trump è stato il muro anti immigrati al confine con il Messico. Lo vediamo nel Mediterraneo la cui instabilità ha una delle sue ragioni nei flussi migratori che lo attraversano. E se allunghiamo lo sguardo all’intero continente africano possiamo ben vedere come cresce la quantità di persone che, non trovando ragioni di vita dignitosa, la cerca emigrando.
E l’immigrazione non investe solo la vita delle nazioni, ma determina e orienta i sentimenti, le emozioni, le paure delle singole persone. Non è incomprensibile. Anzi, sempre in ogni tempo le migrazioni sono accompagnate da speranza e paura. La speranza del migrante che avendo abbandonato la sua terra di origine approda ad una nuova terra con l’aspettativa di trovare lì quel che non ha mai avuto. E la paura di chi riceve, che vede arrivare persone sconosciute che parlano un’altra lingua, pregano un altro dio, mangiano altre cose, hanno consuetudini diverse. E di fronte al non conosciuto l’istinto umano non spinge ad allargare le braccia per accogliere, ma a mettere le mani avanti per difendersi. Soprattutto in chi, vivendo in condizioni precarie, vede nei migranti dei concorrenti nell’assegnazione di un alloggio popolare, nel posto all’asilo per i figli, nella ricerca di un lavoro.
E questo è il punto: l’immigrazione, come ogni fenomeno, ha bisogno di essere governata. Lasciata alle sue dinamiche spontanee crea allarme e paura; se gestita è una risorsa che produce vita e ricchezza. Per farlo serve una strategia che superi un approccio solo emergenziale e si muova su tre fronti: l’assunzione da parte dell’Unione Europea del tema migratorio; le modalità dell’accoglienza e dell’integrazione di chi approda nel nostro Paese; lo sviluppo dei paesi - in primo luogo africani - da cui partono i flussi migratori.
Il fronte europeo. Chi emigra, sottoponendosi a rischi enormi, cerca lavoro e dignità in Europa, non solo in Italia. E dunque occorre che l’Europa assuma l’immigrazione come una sua priorità: in linea di principio lo ha fatto, adottando la proposta italiana di Migration Compact, che però è stato fino ad oggi ostacolato e disdetto da molti paesi che hanno chiuso frontiere, steso fili spinati, innalzato muri. Un atteggiamento inaccettabile che richiede una linea molto ferma per ottenere dall’Unione Europea quel che si è impegnata a fare. Così come è necessario superare le troppe lentezze della revisione del Regolamento di Dublino, arrivare presto al diritto europeo di asilo e varare una gestione comune delle frontiere esterne dell’Unione.
Il fronte italiano. L’accoglienza e l’integrazione di chi approda in Italia, per essere efficace e ordinata, deve essere organizzata con un modello di “accoglienza diffusa”, evitando addensamenti ingestibili, riconoscendo un ruolo centrale ai Comuni, mettendo a loro disposizione risorse e strumenti e distribuendo i migranti secondo un criterio di “proporzionalità”. La diffidenza ad accogliere che alcuni Sindaci hanno manifestato non deriva da insensibilità, ma dal timore di vedersi arrivare un numero eccessivo e non gestibile di migranti. Il criterio della proporzionalità tra migranti inviati e dimensione del Comune ospitante consente di fugare quella paura e di richiedere a tutti i Comuni - e non solo ad alcuni - di fare la propria parte. Una efficace strategia di integrazione richiede che si mettano in campo le azioni per far sentire un migrante parte di una comunità: l’insegnamento della lingua perché nella possibilità di comunicare c’è il primo passo di integrazione; l’accesso al lavoro con regole che contrastino lavoro nero e forme di caporalato; l’accesso ai servizi, da asili e scuole per i figli ai servizi sanitari e di assistenza familiare; luoghi di culto per praticare la propria religione e luoghi di vita sociale della propria comunità di origine.
Politiche che richiedono un approccio non schiacciato sulla sola emergenza e che, per essere gestite con efficacia e continuità, richiedono una strumento ad hoc, quale sarebbe una “Agenzia nazionale per l’integrazione”. Così come il destino dei migranti minori non accompagnati troverebbe una soluzione adeguata e civile nella promozione di una grande stagione di “Affidi familiari” con cui offrire a ragazze e ragazzi un focolare domestico accogliente e sicuro.
Naturalmente l’integrazione non si realizza in un attimo, è un percorso; ed è una scelta che deve compiere non solo chi integra, ma anche chi deve essere integrato, che deve riconoscere e rispettare leggi, consuetudini e regole della società che lo accoglie. E in questo un contributo prezioso possono offrirlo le comunità straniere nell’accompagnare l’immigrato nel percorso di integrazione senza rinunciare alla propria identità.
Il fronte africano. Per quanto l’Europa e l’Italia possano essere capaci di accogliere e integrare, non si può tuttavia pensare che il destino di centinaia di milioni di persone in povertà possa essere risolto costringendoli a migrare. Le dinamiche demografiche parlano chiaro: l’Africa ha oggi 1 miliardo e 200 milioni di abitanti. Saliranno a 2.5 entro il 2050 e arriveranno a 4 miliardi alla fine del secolo. Cifre che dicono chiaramente che il futuro di quella immensa moltitudine di persone non può essere affidata alle migrazioni. È indispensabile e indifferibile mettere in campo un grande piano di investimenti per promuovere e sostenere lo sviluppo dell’Africa, a partire dalla regione subsahariana dove si concentrano fame, malattie e siccità. Lo ha capito finalmente l’Unione Europea che ha adottato un Africa Plan. E nella stessa direzione si sono mossi molti Paesi europei, tra cui l’Italia che negli ultimi tre anni ha aumentato i fondi per lo sviluppo dei paesi poveri.
Insomma, serve una strategia razionale e lucida, che per un verso sappia che l’immigrazione è un fenomeno strutturale e non transitorio, come dimostrano i 6 milioni di stranieri che legalmente e regolarmente già oggi vivono nel nostro Paese, occupati in ogni settore di attività; e contemporaneamente sia consapevole che la riduzione dei flussi migratori ci potrà essere solo se si creano condizioni di vita dignitose là dove oggi c’è solo povertà e fame.
Sono temi a cui il CeSPI si dedica da tempo con ricerche, analisi e progetti che fanno del nostro Istituto uno dei principali centri di elaborazione e studio sui temi migratori. Proprio lo studio, l’analisi e il monitoraggio quotidiano dimostra che i fenomeni migratori possono essere gestiti e governati liberandoli da ansie e paure e garantendo legalità e sicurezza per tutti.
Migranti: agire su tre fronti
L’immigrazione è oggi il tema che più incide sulla vita di ogni società e dei suoi cittadini. Lo vediamo ogni giorno in Italia investita negli ultimi quattro anni da flussi migratori imponenti. Lo vediamo in Europa dove sull’immigrazione si gioca la sfida politica e elettorale tra forze democratiche e movimenti populisti. Lo abbiamo visto in America dove una delle proposte simbolo di Trump è stato il muro anti immigrati al confine con il Messico. Lo vediamo nel Mediterraneo la cui instabilità ha una delle sue ragioni nei flussi migratori che lo attraversano. E se allunghiamo lo sguardo all’intero continente africano possiamo ben vedere come cresce la quantità di persone che, non trovando ragioni di vita dignitosa, la cerca emigrando.
E l’immigrazione non investe solo la vita delle nazioni, ma determina e orienta i sentimenti, le emozioni, le paure delle singole persone. Non è incomprensibile. Anzi, sempre in ogni tempo le migrazioni sono accompagnate da speranza e paura. La speranza del migrante che avendo abbandonato la sua terra di origine approda ad una nuova terra con l’aspettativa di trovare lì quel che non ha mai avuto. E la paura di chi riceve, che vede arrivare persone sconosciute che parlano un’altra lingua, pregano un altro dio, mangiano altre cose, hanno consuetudini diverse. E di fronte al non conosciuto l’istinto umano non spinge ad allargare le braccia per accogliere, ma a mettere le mani avanti per difendersi. Soprattutto in chi, vivendo in condizioni precarie, vede nei migranti dei concorrenti nell’assegnazione di un alloggio popolare, nel posto all’asilo per i figli, nella ricerca di un lavoro.
E questo è il punto: l’immigrazione, come ogni fenomeno, ha bisogno di essere governata. Lasciata alle sue dinamiche spontanee crea allarme e paura; se gestita è una risorsa che produce vita e ricchezza. Per farlo serve una strategia che superi un approccio solo emergenziale e si muova su tre fronti: l’assunzione da parte dell’Unione Europea del tema migratorio; le modalità dell’accoglienza e dell’integrazione di chi approda nel nostro Paese; lo sviluppo dei paesi - in primo luogo africani - da cui partono i flussi migratori.
Il fronte europeo. Chi emigra, sottoponendosi a rischi enormi, cerca lavoro e dignità in Europa, non solo in Italia. E dunque occorre che l’Europa assuma l’immigrazione come una sua priorità: in linea di principio lo ha fatto, adottando la proposta italiana di Migration Compact, che però è stato fino ad oggi ostacolato e disdetto da molti paesi che hanno chiuso frontiere, steso fili spinati, innalzato muri. Un atteggiamento inaccettabile che richiede una linea molto ferma per ottenere dall’Unione Europea quel che si è impegnata a fare. Così come è necessario superare le troppe lentezze della revisione del Regolamento di Dublino, arrivare presto al diritto europeo di asilo e varare una gestione comune delle frontiere esterne dell’Unione.
Il fronte italiano. L’accoglienza e l’integrazione di chi approda in Italia, per essere efficace e ordinata, deve essere organizzata con un modello di “accoglienza diffusa”, evitando addensamenti ingestibili, riconoscendo un ruolo centrale ai Comuni, mettendo a loro disposizione risorse e strumenti e distribuendo i migranti secondo un criterio di “proporzionalità”. La diffidenza ad accogliere che alcuni Sindaci hanno manifestato non deriva da insensibilità, ma dal timore di vedersi arrivare un numero eccessivo e non gestibile di migranti. Il criterio della proporzionalità tra migranti inviati e dimensione del Comune ospitante consente di fugare quella paura e di richiedere a tutti i Comuni - e non solo ad alcuni - di fare la propria parte. Una efficace strategia di integrazione richiede che si mettano in campo le azioni per far sentire un migrante parte di una comunità: l’insegnamento della lingua perché nella possibilità di comunicare c’è il primo passo di integrazione; l’accesso al lavoro con regole che contrastino lavoro nero e forme di caporalato; l’accesso ai servizi, da asili e scuole per i figli ai servizi sanitari e di assistenza familiare; luoghi di culto per praticare la propria religione e luoghi di vita sociale della propria comunità di origine.
Politiche che richiedono un approccio non schiacciato sulla sola emergenza e che, per essere gestite con efficacia e continuità, richiedono una strumento ad hoc, quale sarebbe una “Agenzia nazionale per l’integrazione”. Così come il destino dei migranti minori non accompagnati troverebbe una soluzione adeguata e civile nella promozione di una grande stagione di “Affidi familiari” con cui offrire a ragazze e ragazzi un focolare domestico accogliente e sicuro.
Naturalmente l’integrazione non si realizza in un attimo, è un percorso; ed è una scelta che deve compiere non solo chi integra, ma anche chi deve essere integrato, che deve riconoscere e rispettare leggi, consuetudini e regole della società che lo accoglie. E in questo un contributo prezioso possono offrirlo le comunità straniere nell’accompagnare l’immigrato nel percorso di integrazione senza rinunciare alla propria identità.
Il fronte africano. Per quanto l’Europa e l’Italia possano essere capaci di accogliere e integrare, non si può tuttavia pensare che il destino di centinaia di milioni di persone in povertà possa essere risolto costringendoli a migrare. Le dinamiche demografiche parlano chiaro: l’Africa ha oggi 1 miliardo e 200 milioni di abitanti. Saliranno a 2.5 entro il 2050 e arriveranno a 4 miliardi alla fine del secolo. Cifre che dicono chiaramente che il futuro di quella immensa moltitudine di persone non può essere affidata alle migrazioni. È indispensabile e indifferibile mettere in campo un grande piano di investimenti per promuovere e sostenere lo sviluppo dell’Africa, a partire dalla regione subsahariana dove si concentrano fame, malattie e siccità. Lo ha capito finalmente l’Unione Europea che ha adottato un Africa Plan. E nella stessa direzione si sono mossi molti Paesi europei, tra cui l’Italia che negli ultimi tre anni ha aumentato i fondi per lo sviluppo dei paesi poveri.
Insomma, serve una strategia razionale e lucida, che per un verso sappia che l’immigrazione è un fenomeno strutturale e non transitorio, come dimostrano i 6 milioni di stranieri che legalmente e regolarmente già oggi vivono nel nostro Paese, occupati in ogni settore di attività; e contemporaneamente sia consapevole che la riduzione dei flussi migratori ci potrà essere solo se si creano condizioni di vita dignitose là dove oggi c’è solo povertà e fame.
Sono temi a cui il CeSPI si dedica da tempo con ricerche, analisi e progetti che fanno del nostro Istituto uno dei principali centri di elaborazione e studio sui temi migratori. Proprio lo studio, l’analisi e il monitoraggio quotidiano dimostra che i fenomeni migratori possono essere gestiti e governati liberandoli da ansie e paure e garantendo legalità e sicurezza per tutti.