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Politica

La lenta macchina della democrazia

24 Giugno 2022
Francesco Olivieri

È impossibile vivere qui in America, e restare impassibili dinanzi lo spettacolo quotidiano della giustizia alle prese con ciò che resta dopo i mesi di pazzia che abbiamo vissuto al tramonto della presidenza di Trump, e conclusi con la consacrazione del successore, il 46° cittadino a giurare solennemente, in una fredda mattina di gennaio come aveva fatto Trump, di governare rettamente e difendere la Costituzione degli Stati Uniti - con l'aiuto di Dio.

Il quale aiuto è mancato in modo spettacolare nei quattro anni precedenti, duranti i quali l'America ha ripudiato una collezione di trattati negoziati in gran parte dietro la sua insistenza, respinto la libertà dei cittadini in ambiti sempre più ristretti, e usato l'intimidazione, associata alla sua versione di "panem et circenses " che ha sedotto milioni di americani, tratteggiando una politica "alternativa" e un disprezzo per la legge fondamentale del suo paese. Tutto riposava sulla scommessa che il favore del popolo lo avrebbe protetto sempre dalle conseguenze della sua irresponsabilità.

Esattamente cinquanta anni fa Nixon aveva compiuto un simile errore di calcolo. Aveva presunto di poter nascondere ogni scorciatoia, ogni atto illecito che avrebbe compiuto, cancellandolo con la forza del voto popolare, senza riguardo alla legge; e ne è risultato lo scandalo più memorabile del 20° secolo. Un presidente che aveva appena raccolto una vittoria elettorale senza pari, accumulando il voto di 49 dei 50 Stati dell'Unione, se ne partiva due anni dopo dal prato della Casa Bianca su un elicottero militare, lasciando dietro di sé una lettera di dimissioni, un ultimo bizzarro discorso alla nazione, e l'eredità di una nuova parola nel lessico della politica: Watergate. La lezione era che non importava quanti milioni di voti avesse avuto, né quale percentuale degli elettori avesse votato per lui: i voti non lavavano l'offesa alla legge, anzi erano una aggravante perché misuravano l’entità della fiducia che gli era stata attribuita dal popolo, per essere da lui considerata solo come lo strumento per infrangere la norma più fondamentale di una democrazia, quella che regola l'uso del potere che la democrazia stessa concede agli eletti.

ln questi giorni, i giorni della catarsi, fino a venti milioni di cittadini sono rimasti incollati quasi quotidianamente davanti agli schermi televisivi per seguire in diretta le udienze di una Commissione Parlamentare d'inchiesta, il cui primo ciclo sta per esaurirsi per riprendere più in là nel mese di luglio, con un nuovo "pacchetto" di prove e testimonianze. La Commissione è chiamata a far luce sulle responsabilità attinenti all'attacco contro il Congresso, avvenuto il 6 gennaio del 2021, data ed evento oramai storici nella vicenda della Democrazia americana. Tocqueville, dall'alto del cielo sopra il Potomac, avrà scosso la testa, deluso e rassegnato.

Quotidianamente si aggiungono documenti, filmati, testimonianze: ne esce una catena di conferme, e ognuna di esse rafforza le precedenti e dipinge Trump e i suoi pretoriani in una luce sempre più fosca. Questa è una inchiesta parlamentare, non è un processo; spetterà poi al Ministro della Giustizia trarne le conclusioni, e istruire se lo riterrà un procedimento penale sulla base degli elementi raccolti in questi giorni. L'immagine che simboleggia l’accaduto è quella di un Presidente pronto a sacrificare il suo vice - nel senso fisico della parola - per carpire illegalmente una rielezione che gli era stata negata dalle urne, pur sapendo perfettamente cosa stava facendo; questa immagine resterà nella coscienza degli americani più a lungo ancora delle malefatte di Nixon, che impallidiscono al confronto.

Nell'aula, oltre agli onorevoli relatori e membri della Commissione, aleggia invisibile lo spirito della democrazia americana, nata un paio di secoli or sono dalla insofferenza dei cittadini di un continente intatto, contro l'imposizione che veniva da un regime -non particolarmente oppressivo per gli standard dell'epoca- ma lontano e discriminante. A chi capitasse di leggere la Dichiarazione di lndipendenza dei futuri Stati Uniti sarebbe difficile non essere colpito dall'asprezza con cui i rappresentanti dei tredici stati originari elencavano le mancanze del regime coloniale e i crimini che questo compiva opprimendo le colonie americane, senza riguardo per i diritti che pure corrispondevano ai loro abitanti, che erano, non dimentichiamolo, cittadini a pieno titolo della monarchia britannica. Non ci sarebbe da meravigliarsi se una simile asprezza contro il malgoverno fosse oggi impiegata ad ogni momento dell'inchiesta parlamentare in corso; è da ammirare perciò che si proceda con estrema civiltà, come fu anche durante il processo per il caso Watergate.

Entrambi gli episodi sono legati ad un elemento che deve necessariamente risaltare se la democrazia americana deve uscire intatta dalla prova. Occorre infatti che il giudizio sull'operato del Presidente sia condiviso dalle diverse forze della nazione, e non sia il prodotto di un partito, poiché non sarebbe possibile riunire il paese attorno a una democrazia ritemprata dalla prova che sta subendo se il procedimento fosse riconducibile alla sola volontà di una parte. ll precedente di Nixon, che pure avvenne in un'altra era quando il bipartitismo era mansueto, e quando era comune la ricerca di intese in cui il partito non fosse una discriminante assoluta, non fece eccezione. Fu quando Nixon si rese conto che gli eletti -che lui stesso aveva portato al Congresso sulla scia della sua straordinaria vittoria elettorale- non lo avrebbero sostenuto contro la legge, né reso immune dinanzi alle prove della sua colpevolezza, che dovette accettare che la partita era persa, e si dimise - usufruendo della grazia rilasciatagli dal Vicepresidente Ford al momento della successione. Oggi, mentre la presidenza della Commissione Parlamentare è in mano al Democratico Bennie Thompson  del Mississippi in nome della maggioranza, questi è assecondato da Liz Cheney, Repubblicana del Wyoming (figlia dell'ex-vice Presidente di George Bush) come Vice Presidente, e da un altro Repubblicano, Adam Kinzinger dell'lllinois, che siede nella Commissione assieme a cinque altri parlamentari Democratici.

I lavori sono trasmessi in diretta dalla maggior parte delle reti televisive, eccezion fatta per Fox News, a conferma della sua aspirazione di organo di regime. Davanti agli occhi del pubblico, l'ex Ministro della Giustizia sotto Trump, Barr, ha testimoniato sotto giuramento di non aver accettato l'affermazione di Trump che il voto era stato truccato, e di averlo fatto presente al Presidente; e la figlia di Trump, lvanka, ha confermato di aver accettato quanto detto da Barr.

Documenti e testimoni forniscono una immagine impietosa dello svolgimento dei fatti nella mattinata del 6 gennaio del 2021, quando la folla scatenata ha invaso il Congresso degli Stati Uniti in sessione, profferendo minacce mortali mentre cercava di impadronirsi dei principali avversari politici e dello stesso Vice Presidente Pence, accusato di aver tradito la volontà del suo capo (mancandolo, si è saputo ora, per una dozzina di metri di distanza prima che fosse portato in salvo dagli agenti della protezione). Sul banco dei testimoni si sono succeduti uomini politici e funzionari di fede politica opposta a quella del governo attuale, che a loro onore non hanno esitato, per quanto fosse appariscente il loro turbamento, a descrivere le pressioni cui sono stati soggetti da parte di Trump al fine di sovvertire l'esito elettorale, sullo sfondo dell'episodio dell'assalto al Congresso, ed hanno tenuto duro anche quando cedere avrebbe portato alla vittoria il loro stesso partito, quello per il quale avevano votato - e che torneranno a votare alla prima occasione.

Mentre prosegue l'esame di prove documentali, intercettazioni di messaggi, posting sui media dell'internet, in una sequenza inesorabile, non c'è ancora nessun tentativo prematuro di tirarne le conclusioni: un frammento dopo l'altro, la Commissione continua a mettere insieme tutte le tessere di questo mosaico, componendo senza fretta un'immagine che il pubblico già conosce nelle grandi linee, ma di cui scopre man mano risvolti nuovi ed inattesi, tenendone d'occhio accuratamente gli effetti politici. Tra questi, nonostante la permanenza di un solido blocco di seguaci, vi sono segni dell'inizio di uno slittamento nelle preferenze per Trump in seno al Partito Repubblicano, che corrisponde all'ascesa di candidati sinora relativamente secondari, primo tra questi il Governatore della Florida, De Santis; è farina dello stesso sacco, e potrebbe essere un candidato temibile - se non altro perché il suo Stato, che certamente lo voterebbe, è tra i maggiori.

Certo, se nemmeno coloro che hanno dovuto sopportare l'offensiva della Casa Bianca -ed hanno resistito- sentono la necessità di rivedere la propria preferenza politica, diventa sempre più indispensabile che il governo attivi il sistema giudiziario ed apra un procedimento penale- il che, se avvenisse senza ritardo, avrebbe l'effetto di rendere Trump ineleggibile. Non che questo basterebbe a neutralizzarlo. Quando gli stessi testimoni che hanno coraggiosamente condiviso la propria storia, e la loro sofferta resistenza alle insistenze criminali del Presidente, dicono anche che se Trump fosse candidato nel 2024 lo voterebbero ancora, finisce l'analogia con Nixon, e lascia perplessi sulla eventualità che la lenta macchina della giustizia possa davvero pesare sulla bilancia elettorale.

I sondaggi rivelano che un confronto diretto Biden-Trump vedrebbe probabilmente oggi vincitore il primo, ma non invece contro un diverso candidato della destra Repubblicana che avesse magari lo stesso orientamento radicale. ln altri termini, il processo si fa a Trump e a quanti sono stati complici, ma non al suo partito né alle sue proposte politiche, e questa è una lettura che da parte Democratica sicuramente si dovrà tenere a mente. inoltre, non basterà un Trump ripudiato per fare di Biden un eroe popolare, non foss'altro perché -correttamente- il Presidente si comporta con distacco nei riguardi dell'inchiesta; si vedrà più in là, durante la campagna elettorale, se un eventuale seguito giudiziario peserà sulla bilancia o se invece non sarà presto archiviato come avvenne con Nixon, favorito dal perdono offertogli dal successore, Ford, e dal suo ritiro dalla vita pubblica. Mentre le elezioni del 1976 furono vinte da un Democratico del Sud, Carter, dopo soli quattro anni la Casa Bianca è tornata ai Repubblicani, per gli otto anni di Reagan che hanno cambiato l'America, seguiti dai dodici della dinastia Bush (col solo intervallo del mandato di Clinton).

Non c'è oggi né contrizione né imbarazzo nelle file Repubblicane, solo critica episodica e una lenta usura della figura presente e prepotente di Donald Trump: un compagno che ha sbagliato, nulla di più. Mentre il filone tradizionale dei Repubblicani, ridotto al lumicino, soffre per il ridicolo di cui si è coperto il partito, per il suo lato turpe, per la disinvoltura verso i principi - tutti i principi, per la sfacciata cupidigia, e più di tutto per l'indifferenza alla responsabilità verso la nazione, tutto ciò appare ancor oggi come veniale per un gran numero di americani, che non vedono nello Stato la casa comune dei cittadini, bensì una fastidiosa entità esterna intenta a interferire nella loro vita.

La domanda di giustizia e di compimento delle promesse contenute nei testi fondamentali della nazione viene da sinistra, questa essendo tutt'altro che rivoluzionaria. Però va detto che la frustrazione cui è soggetta, unita all'inesorabile cambiamento imposto dal tempo che passa e dai riflessi del mondo che evolve e presenta sfide maggiori, sta aprendo la via poco a poco a una sinistra più radicale, tuttora marginale, ma in ascesa - mentre sino a pochi anni era sostanzialmente assente dalla vita politica della nazione.