Conferenza nazionale: per la cooperazione che verrà?

di 
Francesco Petrelli*

La cooperazione internazionale e di conseguenza quella italiana, mai come oggi si trovano a un bivio tra l’opportunità di riacquistare un nuovo ruolo e il rischio - al di là delle intenzioni dichiarate - di rimanere ai margini delle agende internazionali e dei luoghi dove si prendono le decisioni che contano.

L’impressione è che siamo ad una svolta d’epoca, nel pur lungo ciclo di trasformazioni sempre più intense che si sono prodotte negli ultimi trent’anni, a partire dalla fine del mondo bipolare.

Nella fase attuale, pandemia e guerra in Ucraina obbligano tutti, governi, istituzioni internazionali, società civile, a ridiscutere prospettive e futuro delle politiche di cooperazione allo sviluppo.

L’imminente Conferenza Nazionale della Cooperazione italiana Coopera potrebbe essere una occasione per avviare una riflessione in questa direzione, a patto che si producano alcune condizioni.

La prima condizione è che essa sia effettivamente un momento di rilancio politico e culturale per la cooperazione e che costituisca, l’apertura, non la conclusione di un percorso di confronto reale tra i soggetti istituzionali: il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, la Direzione Generale della Cooperazione (DGCS), l’Agenzia della Cooperazione (AICS), e tutti i ministeri coinvolti nelle politiche di sviluppo, con gli attori sociali, economici, e della società civile. È necessario che si attivi pienamente e senza incertezze quel quadro di governance multi-stakeholder che la Legge 125/2014 aveva disegnato in modo innovativo, ma che in questi anni ha molto faticato a funzionare e a dispiegare effettivamente le sue potenzialità.

Una seconda condizione è che Coopera, a partire dal perimetro definito nel suo programma delle 5 “P” dell’Agenda 2030 (Pianeta, Persone, Pace Prosperità, Partnership), si proponga con trasparenza, pur nell’evidenza di alcuni risultati conseguiti, di affrontare criticità e nodi irrisolti. Ma soprattutto dovrebbe segnare l’inizio di un percorso per disegnare una visione condivisa della cooperazione, non solo con gli attori del settore, ma con l’intero Paese, aumentando il consenso verso un’area più ampia di cittadini.  

La terza condizione è che la cooperazione allo sviluppo emerga non solo come parte integrante e qualificante della politica estera, ma quale elemento centrale delle politiche internazionali e perciò di tutte le politiche. A partire auspicabilmente, dalla messa a fuoco di strategie che consentano l’individuazione o l’affinamento di alcune priorità di azione tematica e territoriale oltre quelle geografiche, o geopolitiche verso il Mediterraneo e vaste aree dell’Africa. Coniugando quindi mezzi, strumenti, attori e tipologie di intervento per provare a sperimentare partnership per “lo sviluppo come desideriamo che sia”.

Di fronte alle sfide e ai drammatici cambiamenti che abbiamo di fronte si tratta di impegnarsi per costruire quella Next Cooperation che è anche il titolo del bel Rapporto a più voci del CeSPI, curato da Marco Zupi. In questo lavoro, la cooperazione necessaria per il futuro è stata ben riassunta dal suo curatore che ne traccia senso e obiettivi quando sostiene che: “In mezzo allo stato desolante del mondo di oggi, la cooperazione allo sviluppo non deve candidarsi ad essere una romantica e naif ancora di umanità, tantomeno testimonianza che non rimanda altro che a sé stessa, ma cercare di essere la possibilità di accompagnare energie già in campo (e non fuori dal mondo) per realizzare reali e profondi cambiamenti.”

Se la cooperazione del futuro è ancora una sfida innovativa, tutti sono chiamati a rimettersi in gioco, a partire naturalmente dal vasto e vario mondo delle organizzazioni della società civile, del Terzo settore e delle, ONG di solidarietà e cooperazione.

Da parte della società civile, in questi anni non facili, alcune questioni emergono con forza come priorità. Temi e proposte che possono essere riassunte in alcuni punti, attraverso cui rafforzare un dialogo franco e fecondo con le istituzioni (nazionali e non) e i decisori politici.

Di seguito provo ad indicarne alcuni che riguardano strategie, approcci e strumenti.

Scegliere la Coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile, quale filo conduttore, da perseguire e verificare in un’azione congiunta su scala nazionale ed europea, oltre che globale. Sappiamo che la cooperazione è sempre più “intersezionale” e il mondo globale ci mostra che una cooperazione efficace deve porre al centro il tema dello sviluppo nella sua multidimensionalità, cogliendo il legame diretto tra cause ed effetti tra “il qui e il lì”. 

L’Agenda 2030 per essere realmente trasformativa e non mero elenco di obiettivi e indicatori, deve crescere e radicarsi nei territori. Di qui la necessità di una cooperazione territoriale e decentrata che ha connotato l’Italia fino alla prima decade degli anni 2000. Si tratta di un patrimonio che per varie ragioni in questi anni si è in parte disperso, nonostante le esperienze innovative e di qualità, realizzate in collegamento con il quadro europeo e multilaterale del sistema ONU.

Oggi con la localizzazione degli SDGs, il rapporto tra territori e comunità si ripropone dal livello internazionale come una delle possibili chiavi per dare slancio e forza creativa ad una nuova fase. La cooperazione italiana ne potrebbe fare un elemento trasversale della propria carta di identità, sui temi prioritari e nei paesi dove opera. Potrebbe dare così un contributo originale in chiave multilaterale verso l’Agenda 2030 ONU e in ambito di politiche di sviluppo esterne europee attraverso il programma Global Europe, legandolo coerentemente con gli ambiziosi obiettivi di riorientamento del nostro modello di sviluppo indicati dal Green Deal e dal Next-Generation EU.

La quantità e qualità delle risorse per lo sviluppo è un tema difficile, oggi ancora più spinoso alla luce delle emergenze che stiamo vivendo. Rimane però ineludibile non solo per il rispetto degli impegni internazionali e la credibilità del Paese, ma perché ci obbliga ad interrogarci su alcuni punti importanti. L’APS è ancora quel “fattore catalitico”, necessario per incidere nella realizziamone di servizi essenziali come accesso alla salute, all’istruzione, alla sicurezza alimentare.

Alcuni segnali, soprattutto in questo ultimo anno, sono stati positivi e registrano un’inversione di tendenza sulle risorse per lo sviluppo. Dopo tre anni di declino consecutivo l’APS italiano in relazione al Reddito Nazionale Lordo, secondo i dati preliminari 2021 dell’OCSE è tornato a crescere: dallo 0,22% del 2020 allo 0,28%, passando da 4.3 a 6 miliardi di euro. Quello che è tutto da verificare è la solidità di questa tendenza. Le voci che guidano l’aumento complessivo dell’APS sono le donazioni dei vaccini e il programma COVAX, cioè iniziative straordinarie per il contrasto del Covid-19; una maggiore capacità di rendicontazione dei costi dei rifugiati nel paese donatore (risorse che non escono dai confini nazionali), operazioni una tantum di cancellazione del debito. Tutte componenti di bilancio che rischiano di essere di carattere episodico, non avendo quelle caratteristiche di replicabilità e programmabilità che sono alla base dei principi di efficacia dell’aiuto, raccomandati da anni dalle Nazioni Unite e dallo stesso Comitato Sviluppo dell’OCSE.

Appare perciò utile l’occasione della Campagna 0,70, promossa alla fine del 2021 da una larga coalizione di reti e associazioni di società civile per aprire un dibattito pubblico, auspicabilmente più ampio, attraverso una mobilitazione di cittadini, affinché l’Italia non manchi questo obiettivo storico.

Il rafforzamento delle capacità del “sistema cooperazione”, a partire dall’Agenzia della Cooperazione, con l’immissione di nuovo personale, auspicabilmente composto anche da una quota di giovani formati, così da potenziarne l’operatività e il quadro delle competenze. Un più forte coordinamento e complementarietà con la DGCS e la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) sul piano della finanza per lo sviluppo, per garantire una più forte coerenza delle politiche e una maggiore efficacia operativa e gestionale. Si tratta di condizioni essenziali per superare il rischio della frammentazione e la scelta della cooperazione multilaterale come mera delega, a fronte di una insufficiente capacità operativa. In tal modo si potrebbe anche concretizzare la volontà di rilancio di un’azione bilaterale di qualità e strategicamente guidata, cosi come emerge da alcuni segnali dell’ultima legge di bilancio attraverso la programmazione di un piano di aumento delle risorse in questo ambito.

Si tratta di priorità indicate pubblicamente dalla stessa Vice Ministra Sereni, che si affiancano, sul piano delle metodologie, alla co-programmazione e co-progettazione, che sta molto a cuore alle ONG e alla società civile. Se lo sviluppo è un processo e non un progetto, la co-programmazione può essere l’elemento centrale di una cooperazione rinnovata capace di attivare pienamente la mobilitazione del capitale sociale in un quadro di interventi partecipativi multi-attore e multilivello (favorendo sinergie tra i livelli statali, locali, tra pubblico e privato, mondo profit e non profit con il Terzo Settore e il privato sociale).  

I giovani e la cooperazione. Una “next cooperation” ha bisogno di una “next generation”, che in gran parte esiste già, ma deve trovare canali di accesso e partecipazione. Nel nostro Paese, i giovani che frequentano con passione i corsi di laurea o di dottorato in cooperazione svolgono in migliaia il servizio civile internazionale, formandosi, scoprendo e praticando il mondo, spesso contribuendo ad azioni e progetti di scambio e solidarietà. È un’occasione che non può essere persa, a partire da noi, organizzazioni della società civile, costruendo un ambiente favorevole, aperto e poco paternalista, consapevoli che la nuova cooperazione debba essere soprattutto loro.  

Sulla cooperazione si tratta di svolgere una riflessione ampia, articolata, innovativa, che deve coinvolgere anche il mondo della società civile, attore chiave in un dialogo partecipato che questo stesso istituto, CeSPI, potrebbe favorire ed ospitare.

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*Oxfam Italia e membro del Direttivo CeSPI