Dalla pandemia sta uscendo una nuova Unione Europea

Roberta Pinotti
Presidente della Commissione Difesa, Senato della Repubblica

In una fase storica che si può ben definire drammatica, che ci vede dinanzi alla più grave crisi sanitaria economica, finanziaria, sociale e dal dopoguerra ad oggi, l'Unione è riuscita in pochi mesi a trasmettere due inequivocabili segnali di vitalità e ripresa del progetto europeo.

Il primo segnale è la decisione del Consiglio Europeo del 27 marzo scorso di avviare i negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord; una decisione fondamentale perché rilancia la prospettiva di integrazione dei paesi dei Balcani dopo un lungo periodo di impasse e brusche frenate, dovute essenzialmente alle difficoltà di gestione di un’Europa allargata, e alle stesse incertezze dei paesi candidati nel rispondere alle richieste dell’Ue per l’adesione.

Il secondo segnale è nelle decisioni epocali assunte nel Consiglio straordinario di luglio in materia economica e finanziaria, che di fatto, introducendo per la prima volta uno strumento comune di gestione del debito, superando il patto di stabilità e stanziando risorse straordinarie per la crisi legata al Covid-19, segnano uno storico passo in avanti nell'integrazione europea, conferendo all'Unione una nuova identità e una maggiore credibilità politica e istituzionale ancora prima che economica.

È chiaro che una effettiva integrazione europea richiederà altri passaggi, ma il Consiglio di luglio segna un prima e un dopo, sposta riflessione, azione politica e obiettivi su un terreno più avanzato. Mentre fino a pochi mesi fa l'Unione appariva più in difficoltà, lo shock della pandemia ha portato ad una – per molti versi inattesa – forte risposta europea, con la realizzazione di un piano di rilancio fondato su una serie di strumenti di cui si discuteva da decenni senza arrivare ad un accordo, a dimostrazione di una vitalità del progetto europeo sul quale un'ampia maggioranza politica e anche l’attuale governo italiano hanno investito e che speriamo possa essere alla base di ulteriori riforme sul piano dell’architettura istituzionale e del ruolo politico dell’Unione europea.

Il tutto con evidenti effetti positivi anche per quanto riguarda la percezione dell'Unione da parte dei cittadini; e il plus di una evidente e inequivocabile sconfitta dei sovranismi.

Si sono poste quindi le basi per una risposta adeguata alla crisi sul piano economico; viceversa è ancora tutta da esplorare la ricaduta della crisi sul sistema delle relazioni internazionali e sugli equilibri geopolitici. Il rischio concreto è che la crisi in atto accentui le dinamiche di frammentazione e maggiore conflittualità che lo scenario geopolitico già mostrava chiaramente da diversi anni e determini un ulteriore indebolimento del tradizionale sistema di governance, che aveva posto al centro l'ONU e il diritto internazionale.

Ancora, ci si è occupati, nelle analisi e sui media, dell’impatto dell’epidemia nei paesi più industrializzati e moderni: come reagiranno le economie, come ripartire ecc. A mio parere dovremmo preoccuparci anche di quale sarà l’impatto sui paesi fragili, con governi e istituzioni deboli, condizioni sociali critiche, con conflitti in corso, e con sistemi sanitari deboli o inesistenti.

Ad esempio, tornando ai Balcani, l’epidemia si sta rivelando anche il pretesto per rafforzare tendenze autocratiche e accentuare le contrapposizioni identitarie; è quello è successo in Ungheria, e in particolare in Serbia, dove il presidente Vucic ha adottato misure di controllo dell’informazione e accentrato ulteriormente i poteri nella propria persona; le stesse elezioni di giugno hanno avuto un esito definito preoccupante da tutti gli osservatori.

È quindi imprescindibile per l'Unione compiere qualche passo in avanti anche nella capacità di politica estera e di difesa, invertire il processo di marginalizzazione che abbiamo osservato in diversi scenari di crisi e rafforzarne il ruolo a favore della sicurezza e della stabilità per evitare che il vuoto di sicurezza determinato da un arretramento dell'ONU, dell'Ue e della NATO diventi un'occasione per singoli attori e per le loro velleità di ridisegnare i rapporti di potenza; l’assenza di unità politica dell’Europa, l’assenza di una politica estera, di sicurezza e di difesa europea hanno creato un immobilismo che ha impedito all’Europa di contribuire a stabilizzare l’area di vicinato, creando un effetto domino che ha favorito nel Balcani disillusione e scetticismo e il riemergere di nostalgie nazionalistiche.

Proprio in un periodo così complesso, l'Unione europea ha un'opportunità: fungere da fattore di equilibrio e diventare motore di stabilità a livello internazionale, sorreggendo la prospettiva basata sugli organismi sovranazionali e gli accordi multilaterali.

Serve, però, un passo avanti nella capacità dell'Unione europea di esprimere una propria politica estera e di difesa, in particolare proseguendo sulle iniziative già avviate sulla difesa unica europea. Questa è la responsabilità che ci consegna il passaggio storico di oggi.