Europa, Italia, Africa: un nuovo partenariato "orizzontale"

Paolo De Castro
Europarlamentare e Primo Vice Presidente della Commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo

Soffia un vento nuovo nella cooperazione tra Europa e Africa. Come già fatto dall'Italia almeno a partire dal 2013, Bruxelles comincia a vedere il continente africano sempre di più come un partner di mercato, oltre che un obiettivo privilegiato delle politiche di sviluppo e cooperazione. 

Facendo seguito ad alcuni degli impegni del V Forum tra Unione europea e Unione africana del 2017, alla fine del 2018 l'Ue ha presentato l'Alleanza per gli investimenti sostenibili. Oltre a prevedere risorse a sostegno dell'iniziativa, con 4,5 miliardi di euro in garanzie per gli investimenti tra  il  2017-2020, il  nuovo  approccio  lanciato  dalla  Commissione europea  e sostenuto  dall'Europarlamento  si  propone in  una  dimensione 'orizzontale',  che  coinvolge tutte le politiche dell'Ue. 

Anche la Politica agricola comune, per decenni considerata parzialmente responsabile delle distorsioni del commercio internazionale che sono andate a svantaggio dei paesi meno avanzati, in particolare africani, sta contribuendo alla nuova strategia. 

La Politica agricola comune

Nel marzo 2016, dal podio del Forum per il Futuro dell'agricoltura di Bruxelles, il più importante consesso sui temi legati all'agricoltura d'Europa, il compianto Kofi Annan indicava i  'sussidi' agli agricoltori europei come una fonte di diseguaglianza planetaria, in qualche modo direttamente collegata alla povertà degli agricoltori dei paesi africani. Dobbiamo sgombrare il campo da uno degli stereotipi più consolidati sulla Pac, giustificato fino a qualche decennio  fa,  ma  non  oggi.  Negli  ultimi  20  anni  la  Politica  agricola  comune  ha progressivamente   azzerato   i   sussidi   distorsivi   degli   scambi   commerciali   globali   che mettevano gli agricoltori europei in condizione di fare concorrenza sleale nei confronti di quelli dei paesi meno avanzati. Nel caso specifico dell'Africa il problema principale non è la Politica agricola europea, quanto il fatto che la grande maggioranza degli Stati africani non ha politiche agricole proprie. Oppure ce l'ha, ma senza il respiro a lungo termine necessario a valorizzare il sistema agricolo e la fase della trasformazione dei prodotti primari, che è quella che offre ai produttori più valore aggiunto. 

La Politica agricola comune, quella radicalmente riformata dal 2000 in poi, può invece essere un riferimento importante per superare questo tipo di problemi. Un discorso che vale a maggior ragione per l'Italia, un modello nel mondo nella capacità di estrarre valore dai prodotti agricoli, con superfici coltivabili più piccole rispetto alle altre potenze europee. 

In primo luogo, le politiche di sviluppo rurale europee in Europa e a livello regionale in Italia hanno dimostrato che l'approccio 'dal basso' e dai territori è praticabile ed efficace. C'è inoltre da considerare l'enorme potenziale dell'economia delle reti, che abilita lo scambio diretto di conoscenze e competenze tra le aziende e tra le organizzazioni di produttori, anche e soprattutto di piccole dimensioni, per andare ad aggredire le cause del mancato sviluppo a livello 'molecolare', affiancando i partenariati tra imprese a quelli istituzionali. Terzo punto, la flessibilità di queste reti andrebbe sfruttata in un quadro di maggiore integrazione commerciale dei mercati agroalimentari su scala regionale, come hanno fatto i paesi europei grazie alla Pac, e come stanno già facendo alcuni paesi africani, per esempio attraverso la Comunità economica degli Stati dell’Africa centrale (Eccas) e la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (Ecowas). Queste tre idee, che ho avuto modo di portare avanti nell'Alleanza parlamentare sulla Food security in collaborazione con la Fao e molti parlamenti nazionali, sono ora incluse anche tra le sei proposte dalla Task Force sull'Africa rurale della Commissione europea. Si tratta di un gruppo di nove esperti che ha lavorato sei mesi per preparare un rapporto che rappresenta una presa di responsabilità diretta da parte della Pac sulla questione della trasformazione rurale in Africa. Al rapporto, ha garantito il commissario Ue all'agricoltura Phil Hogan, seguiranno iniziative concrete, con fondi europei a sostegno della creazione di centri l'innovazione nel settore agroalimentare in Africa, piattaforme di scambio di conoscenze tra le imprese dell'Ue e quelle dei paesi dell'Unione africana, ma soprattutto programmi di scambio e gemellaggio dedicati a organizzazioni di agricoltori, cooperative e imprese, con particolare attenzione a formazione dei giovani e coinvolgimento delle donne. Le raccomandazioni vertono anche sulla promozione di  iniziative sui cambiamenti climatici, sul miglioramento dell'accesso agli strumenti finanziari e fondi Ue per le piccole e medie imprese agroalimentari e la condivisione delle competenze specifiche sullo sviluppo rurale da parte europea e africana. 

L'Italia, il Mediterraneo e oltre

In questo cambiamento di orizzonte, l'Italia sta già facendo e può fare la sua parte. Il 'risveglio' dell'attenzione nazionale si può far risalire all'iniziativa Italia-Africa, voluta da Emma Bonino nel 2013, cui è seguito il rilancio e il consolidamento del nostro paese tra i leader degli investimenti diretti nel continente.

I paesi del bacino del Mediterraneo restano interlocutori privilegiati, per motivi di prossimità geografica ma anche per motivi politici, perché la regione è la cerniera tra il blocco continentale euroasiatico e di quello africano ed è una specie di microcosmo di tutte le sfide aperte dello sviluppo sostenibile su scala globale, non solo relative alla food security. 

Ma  l'Italia guarda con sempre più insistenza all'Africa sub-sahariana e l'agroindustria sta facendo la sua parte. La presenza di delegazioni dei paesi dell'area all'Eima di Bologna, la principale  fiera  nazionale  delle  macchine  agricole,  è  diventata  una  consuetudine  e  apre prospettive interessanti per il made in Italy e per lo sviluppo dei paesi africani. All'Africa sub- sahariana  è  dedicato  il  focus  dell'edizione  2019  del  Macfrut  di  Cesena,  la  più  grande esposizione  nazionale  sull'ortofrutta,  nell'ambito  della  quale  è  già  stata  presentata  "Lab Innova",  che  coinvolgerà  oltre  60  aziende  provenienti  da  Etiopia,  Mozambico,  Uganda, Tanzania e  Angola  in  un  programma di  scambio  e  formazione che  è  già  la  realizzazione concreta delle  raccomandazioni della  task  force dell'Ue.  Importante anche  menzionare la piattaforma della Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo che riunisce 38 donatori per favorire lo scambio di conoscenze sulle politiche e programmi per l'Agenda dello sviluppo sostenibile 2030. Andando indietro con la memoria, pionieristico è stato l'Africa Milk Project, premiato  nel  2015  a  Expo  perché  ha  messo  insieme  un'azienda  italiana,  una Ong  e un'organizzazione di produttori tanzaniana per collaborare sulla produzione e soprattutto la trasformazione del latte.

Si tratta di 'casi', certo. Ma sempre meno isolati e sempre più capaci di fare 'massa critica' per guardare  all'Africa  e  alle  sue  aree  rurali  non  più  solo come un  'museo  della  sofferenza', secondo la definizione del presidente della Banca Africana dello sviluppo Akinwumi Adesina, ma come una risorsa per l'Italia, l'Europa e per il mondo.

1 Marzo 2019
di
Roberto Ridolfi - Coordinatore del Forum Africa