Africa ed Europa: un legame indissolubile per il bene comune

Roberto Ridolfi - Coordinatore del Forum Africa
Già Direttore della Commissione Europea per la crescita e lo sviluppo sostenibile, architetto del Piano di investimenti esterni dell’Unione Europea, Ambasciatore Ue in Africa e nel Pacifico, attualmente distaccato alla FAO quale Assistant Director General per il Programme Support and Technical Cooperation.

Le immagini televisive degli sbarchi di migranti, della povertà, delle varie crisi che periodicamente investono l’Africa hanno indotto a considerare questo vasto continente come un vaso di Pandora pieno di problemi. D’altra parte, da sempre, quando si parla di sottosviluppo il pensiero immediatamente corre a quel continente.
La verità è più complessa. L’Africa è certamente afflitta da drammatiche criticità: la fame, le malattie endemiche, la siccità, uno sviluppo incompleto, nonché guerre, terrorismo e corruzione.

E tuttavia l’Africa non è solo questo: è un continente straordinariamente ricco di risorse materiali, culturali, sociali e umane, culla delle grandi civiltà all'origine della storia. Ne sono conferma i significativi tassi di crescita conosciuti negli ultimi decenni da molti paesi del Continente e l’affermarsi in molti Paesi di una nuova classe media più colta e consapevole delle proprie potenzialità.
Dobbiamo tutti combattere la paura delle cose che non conosciamo. Quando cresce la paura, si cercano soluzioni semplicistiche, si accettano stereotipi che non solo non affrontano i problemi, ma spesso li aggravano. Analizzare il presente e comprendere le dinamiche future è essenziale giacché Europa e Africa sono talmente vicini e complementari che il loro destino non può che essere comune.
Qui si prospettano alcuni spunti di dibattito e tracce di ricerca per aprire una riflessione, sollecitando interventi e proposte utili a far maturare una piena consapevolezza di quanto l’Africa ci riguardi e solleciti l’Europa a una piena assunzione di responsabilità.

10 TESI PER UN PROGETTO COMUNE

 

1. Oltre i confini nazionali e gli stessi confini continentali

La globalizzazione ha accresciuto tutti i fattori di interdipendenza. La digitalizzazione unifica linguaggi, sensi comuni, simboli, informazioni. Il commercio mondiale supera i confini nazionali, così come non conoscono confini le epidemie, i cambiamenti climatici, i media digitali, le mode: il pianeta è piccolo per continuare a vederlo diviso. Nessuna nazione può pensare il proprio futuro in solitudine o in autarchia. Ma ormai anche i continenti hanno necessità di misurarsi con il mondo intero. È così anche per Africa e Europa sempre più legati da interessi comuni e destini comuni.

Ma ciò non è scontato, ne immediatamente percepito. Occorre identificare questioni e argomenti che siano comprensibili e accettabili dalle opinioni pubbliche contemporaneamente in Europa e in Africa. Ogni esercizio di analisi deve coinvolgere le opinioni pubbliche e non restare isolato negli articoli, nei libri o nei discorsi di circoli limitati.
La grande precarietà delle giovani generazioni, la disoccupazione, la crescita economica che langue (anche in Africa al netto della crescita demografica), la condivisione e prevenzione dei rischi finanziari i cui effetti devastanti abbiamo sperimentato a scala globale con la crisi del 2008. Tutte queste - pur con differenze evidenti - sono criticità comuni ai due continenti. Così il fenomeno della migrazione, vissuto con sofferenza in Europa, suscita non minore sconcerto e spesso imbarazzo nei leaders africani.
Così come su difesa e sicurezza possiamo veramente pensare ad una sicurezza in Europa senza sicurezza in Africa? Libia e Siria sono lì a dirci quanto quelle crisi ci investano e ci riguardino. Come ci riguarda il diffondersi di radicalismi ideologici, etnici e religiosi nei paesi subsahariani. E ancora: crede qualcuno di poter essere abbastanza lontano - e quindi immune - dai disastrosi effetti che il cambiamento climatico sta già infliggendo a popoli africani ed europei?
Gli europei stanno interrogandosi sul futuro del progetto europeo, spesso angosciati da scadenze elettorali ravvicinate. La coesione europea, messa a dura prova dalle crisi economica, finanziaria, migratoria e ora istituzionale, sollecita riflessioni anche nelle capitali africane. L’Africa, infatti, ha assunto l’integrazione europea come riferimento per la costruzione dell’integrazione africana. In che misura le difficoltà europee possono influenzare anche l’integrazione africana? E viceversa proprio la consapevolezza di dover fare i conti con le sfide globali - ed in particolare modo con l’Africa e il suo futuro - non può essere una delle ragioni per restituire senso all’Unione Europea ? Insomma, di fronte a noi c’è un destino comune? E se sì, come lo si costruisce insieme ?

2. Uno sviluppo sostenibile per crescita, lavoro, inclusione sociale e ambiente.

Se il nostro pianeta non riesce a diventare sostenibile non avremo un futuro per le generazioni che verranno dopo di noi.
Il nodo centrale di qualsiasi strategia per l’Africa è la promozione di uno sviluppo sostenibile, scommettendo su investimenti capaci di non distruggere l’enorme giacimento di risorse naturali e creare posti di lavoro dignitosi e sostenibili: in che modo? dove? quando? e soprattutto, chi dovrà o potrà effettuarli?
I fronti su cui intervenire sono naturalmente molti: da un uso delle risorse naturali ispirato alla rinnovabilità a un’agricoltura che valorizzi le biodiversità, dalle infrastrutture di base - in primis le reti idriche - alle reti materiali e immateriali, dallo sviluppo della microimprenditorialità alla diffusione della digitalizzazione, dai sistemi scolastici e educativi a sistemi sociali e sanitari, dalla implementazione di una pubblica amministrazione non inquinata dalla discrezionalità e dalla corruzione al democratic institution building.
Il “Piano per gli investimenti esterni” avviato dall’Unione Europea ha certamente limiti, ma anche potenzialità e prospettive molto positive assumendo la sostenibilità - e l’inclusione sociale ed economica che ne è parte - come parametro principale per gli incentivi pubblici a sostegno di investimenti privati. E tuttavia la dimensione finanziaria che va messa in campo richiede una ancor più grande mobilitazione di risorse pubbliche e private. Il che richiede l’attivazione di strumenti finanziari, fiscali, assicurativi che incentivino e accompagnino gli attori economici a investire.
In questa direzione il flusso di investimenti potrebbe essere significativamente ampliato adottando meccanismi che prevedano che le imprese che beneficiano di incentivi per i loro investimenti in Europa, beneficino anche di “incentivi plus” se contemporaneamente l’impresa indirizza nuovi investimenti anche in Africa. Un modo per conciliare obiettivi di crescita interni con obiettivi strategici globali, in conformità con gli obiettivi dell’ONU per lo sviluppo sostenibile, ma rispettando legittime aspirazioni e richieste dei cittadini europei per una crescita anche nei propri Paesi.
Una strada percorribile? Quali i fattori determinanti per un suo successo?

3. Migrazioni: oltre le paure, gestire insieme.

La gestione delle correnti migratorie che dall’Africa investono l’Europa è un tema sensibile che influenza e condiziona le relazioni tra i due continenti.

Le dinamiche demografiche ci consegnano uno scenario ineludibile: la popolazione africana computa oggi 1miliardo 300 milioni di abitanti che saranno 2 miliardi e mezzo nel 2050 e saliranno a 4 miliardi a fine secolo. La Nigeria, con 600 milioni di abitanti, diventerà il terzo paese più popoloso del mondo dietro all’India che sopravanzerà la Cina. Si può ben dire che il destino dell’Africa sarà la sfida del XXI secolo. E ciò che succederà in Africa determinerà molto dei destini del mondo. Ciò è tanto più vero per l’Europa che, per prossimità territoriale e relazioni economiche e politiche, è direttamente investita da ciò che in Africa accade e accadrà.
Queste cifre ci dicono due verità: che il destino di 4 miliardi di persone non può essere affidato all’esodo migratorio di centinaia di milioni di persone; e, contemporaneamente, che l’Europa nei prossimi decenni avrà bisogno di un contributo demografico aggiuntivo.
La prima verità è il tema centrale della riflessione che proponiamo con questo Forum: l’urgenza di una strategia europea per uno sviluppo del continente africano che consenta a chi nasce e vive in Africa di ritrovare lì condizioni e opportunità di vita dignitose.
La seconda verità richiama la necessità di avere una strategia dei flussi migratori non affidata all’emergenza, né soltanto alla gestione dei profughi di teatri di guerra. Occorre essere consapevoli che una quantità di immigrazione economica è una esigenza obiettiva dell’Europa. Perché, dunque, non lavorare ad una regia comune attraverso un Migration Compact euro-africano - concertato tra UE e Unione Africana - che faccia da cornice agli accordi bilaterali tra paesi europei e africani e consenta di governare con strumenti e modalità condivise flussi economici, corridoi umanitari, percorsi di rientro ?

4.  Un vantaggio per tutti.

L’obiettivo di uno sviluppo sostenibile per il continente africano ci da un’idea di come i vantaggi competitivi dovrebbero essere riconosciuti come tali da tutti i partners mondiali e offrire la road map per lo sviluppo del continente.
L’applicazione diffusa capillare e totale, concreta e pratica, dei principi della sostenibilità è la chiave per giustificare un nuovo contratto sociale nelle società del futuro. Essa è la chiave per il transfer dal ricco al povero, dalle aree geografiche sociali ed economiche di stabilità a quelle dell’instabilità, dai fondi pensione ai giovani disoccupati.
La sostenibilità non è solo un modo di intendere e di organizzare lo sviluppo economico, è anche un elemento di dialogo politico, come indicato dagli obiettivi ONU per lo sviluppo sostenibile.

Ma chi ci lavora oggi seriamente? Certamente le agenzie delle Nazioni Unite (a Roma c’è un polo fondamentale da valorizzare), molti think tank, ONGs e istituti di ricerca, qualche governo, qualche imprenditore illuminato. Ma questi attori da soli non bastano. Occorre sollecitare l’impegno di una platea molto più vasta di attori a partire da coloro che sono in grado di mobilitare le risorse necessarie.
Uno degli attori finanziari istituzionali principali sono oggi i fondi pensione. Sia nel “teatro” retributivo che in quello contributivo i fondi pensione legano il presente col futuro e possono fare il presente tanto buono e sostenibile quanto buono e sostenibile sarà il futuro. I fondi pensione legano i destini delle nuove e delle vecchie generazioni in un solo veicolo finanziario e per questo rappresentano una potente categoria paradigmatica.
È possibile una partnership tra fondi pensione europei e africani per indirizzare consistenti risorse a sostegno della sostenibilità: infrastrutture idriche, coltivazioni biosostenibili, tutela del patrimonio ambientale, promozione della microimpresa, strutture sanitarie e educative di base. E lo stesso impegno può essere profuso per sostenere anche la produzione e la commercializzazione di prodotti ecosostenibili? Promuovendo produzioni bioagricole e bioalimentari del continente e offrendo loro sbocchi mercato?

I consumatori più avveduti e sofisticati sono pronti a pagarne il sovraprezzo fino a che non arriveremo a legare il prezzo in moneta del capitale naturale ai prodotti destinati al consumo. Con questo legame già oggi i prodotti sostenibili costerebbero di meno di quelli insostenibili. Nello stabilire un valore monetario per il capitale naturale e, soprattutto, facendolo pagare a chi lo spreca potremmo per esempio trovare una soluzione alle asimmetrie relative al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità. Infatti il cambiamento climatico colpisce più i paesi poveri di quelli ricchi dove fatalmente si trovano la maggior parte degli hotspots della biodiversità fondamentale per la sopravvivenza del pianeta e della razza umana.
In questo ragionare l’Africa avrebbe dei vantaggi, garantendo la più bassa concentrazione di prodotti chimici e inquinanti nell’acqua nell’aria e nel suolo. Per preservarli e valorizzarli le regole sugli scambi commerciali internazionali andrebbero subito adeguate con la misurazione dell’impronta di carbonio a valere nelle regole sugli scambi stessi. (Si veda anche punto 6).

5. AME: Africa, Mediterraneo, Europa un grande unico macrocontinente.

Lavorare sulle divergenze o sulle similitudini? C’è una verticale politica, sociale, economica che parte da entrambi i lati del segmento congiunge i popoli europei e africani passando per il Mare nostrum che stando in mezzo ci unisce?
Tradizionalmente l’Europa si è relazionata al continente africano tenendo separati il rapporto con il Mediterraneo dal rapporto con l’Africa subsahariana. La barriera del Sahara giustificava quell’approccio che oggi non appare più fondato. Basterebbe pensare a come le migrazioni hanno di fatto abbattuto la barriera del Sahara, al prezzo di molte vite umane. Sempre di più Africa, Mediterraneo e Europa devono essere considerati un grande unico “Macrocontinente Verticale” promuovendo politiche integrate e progetti comuni.
I vertici Unione Europea-Unione Africana sono stati un primo strumento in questa direzione. Gli accordi commerciali preferenziali tra UE e paesi africani sono un altro ponte significativo. La rinegoziazione degli accordi di Cotonou offre un’altra occasione per mettere in campo progetti comuni di sviluppo. L’estensione delle competenze della BERD all’area mediterranea rappresenta un’importante leva per finanziare progetti di integrazione regionale sulle infrastrutture, sulla digitalizzazione, sull’acqua e le risorse energetiche. Il fenomeno migratorio potrà essere gestito in modo assai più efficace se sarà affidato non solo ai rapporti bilaterali tra singoli Stati ma a un Migration Compact euro-africano.
In questa chiave l’Unione Europea può essere un partner decisivo per favorire progetti di cooperazione continentale o regionali, della cui assenza oggi l’Africa soffre. Così come con la CECA l’Europa mise insieme acciaio e carbone facendone uno dei pilastri della costruzione europea, perché non immaginare forme di cooperazione regionale o subregionale per l’uso delle acque e lo sviluppo delle energie rinnovabili? Così come l’Ue si è dotata di un piano di corridoi paneuropei di mobilità perché non immaginare anche in Africa un programma di collegamenti viari e ferroviari di scala regionale e continentale. E analoghi progetti di vasta scala potrebbero essere elaborati per la digitalizzazione e le reti di comunicazione.

6. Unificare i mercati.

Occorre immaginare una prospettiva politica di sviluppo delle relazioni tra i continenti che accetti imperfezioni e persino falle e che non si illuda di separare i mercati dalla politica, dall’ambiente, dalla povertà, dal cambiamento climatico, dall’instabilità.
Il mercato Africa-Europa è ancora fatto di tanti mercati con scarse relazioni di interazione e integrazione. Unificare il mercato è il più potente fattore di integrazione, sia perché la sua organizzazione orienta lo spazio economico con scelte politiche e modelli democratici che lo sostengono, sia perche rappresenta la più chiara e tangibile forza centripeta di attrazione verso legami sempre più stretti tra popoli e governi.
Proprio la costruzione europea ci ha dimostrato quanto l’unificazione di mercato sia motore essenziale per promuovere integrazione in ogni dimensione. E ci ha mostrato anche i suoi limiti.

Il mercato africano è inquinato da asimmetrie storiche, geografiche, evolutive e oggi da quelle ambientali e climatiche, che tendono ad acuire i problemi del mercato unico e non a smussarli. Che l’Unione Africana si sia data l’obiettivo di realizzare un mercato unico continentale entro il 2050 - e si affacci anche la suggestione di una moneta unica - dimostra quanto le classi dirigenti del continente ne siano consapevoli.
Le asimmetrie naturali sono anche più poderose e sono sempre più evidenti, per esempio nei rapporti tra Nord Europa e Africa in alcune transazioni favorevoli ai paesi più ricchi. Non solo, ma ai fattori classici di produzione la teoria economica deve aggiungere oltre alla tecnologia anche gli effetti del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità (si vedano punti 3 e 6).

7. Standard e regole comuni per superare le asimmetrie.

Il cambiamento climatico è asimmetrico e colpisce in maniera più negativa i paesi poveri in Africa e quelli più fragili nel Mediterraneo.
Le asimmetrie colpiscono categorie economiche alle origini delle catene del valore e quindi e si estendono dall’agricoltura alle foreste, dalla pesca all’allevamento, e sono vieppiù odiose dal momento che colpiscono più duramente i piccoli produttori, allevatori e pescatori.
La situazione è complicata ulteriormente da barriere doganali, tariffarie e non, che tardano a scomparire, anche se non mancano opportunità per compensare, raddrizzare le distorsioni climatiche con accordi politici e la diplomazia: l’accordo di Parigi sul clima - anche se va ancora lavorato sul profilo della messa in opera - rappresenta un’occasione da non sprecare.
Se è vero che il pianeta è il sommo bene comune e che i public goods vanno pagati da chi li consuma, allora come articolazione del principio di responsabilità differenziate - in cui gli africani e gli europei si riconoscono - sta a noi trovare le modalità per attribuire pesi, misure, incentivi e penalità per l’impronta di carbonio e per l’handicap climatico.
WTO e la FAO, oltre ad altre agenzie ONU, avranno un ruolo fondamentale in futuro su questi temi su cui Europa e Africa possono procedere come precursori a creare dibattito politico e spazio culturale. L'Italia con la fortissima concentrazione tematica delle agenzie ONU a Roma potrà svolgere un ruolo principe in questo ambito.
Al momento non esiste, e dovremmo crearlo in fretta, un accordo internazionale sugli standard che consentano di attribuire un’etichettatura all’impronta di carbonio.

Il potere dei consumatori è enorme e ce ne saranno un miliardo di nuovi nel continente africano nei prossimi vent’anni: da come si gestiranno quelle politiche dipenderà molto del destino ambientale dell’Africa e dell’intero pianeta.
Per ora i consumatori europei, i più sofisticati del mondo, battono la strada e ci indicano che pagare un sovrapprezzo per consumi e prodotti sostenibili è accettabile e può funzionare. Potrà valere anche per il mercato africano?

8. Un’alleanza triangolare Cina - Africa - Europa ? 

È fondamentale chiedersi come giocherà la Cina in questi scenari.
Da un lato la Belt and Road Initiative è arrivata anche nella regione subsahariana; dall’altro convergenze di interessi da evidenziare possono rendere fattibile un alleanza triangolare Africa-Europa-Cina.
Il carattere strategico dell’Africa ha sollecitato l’interesse dei principali attori dell’economia globale. È ampiamente nota la grande attenzione che la Cina riserva al continente. Ma non meno attenti (anche se ad oggi meno attivi) sono l’India, dirimpettaio nell’Oceano Indiano, e il Brasile che, anche in virtù della Lusofonia, coltiva stretti rapporti con Angola e Mozambico. D’altronde la Francia mantiene da sempre forti legami con i Paesi del suo ex impero coloniale, anche attraverso l’Organizzazione internazionale della Francofonia, e la Gran Bretagna ritrova in Africa una porzione consistente del Commonwealth. Dal che risulta ancora più evidente l’urgenza di una strategia europea verso l’Africa che abbia carattere strutturale e permanente.
In particolare occorre individuare in modo concreto e specifico gli ambiti vasti di complementarietà che possono favorire una cooperazione tra Unione Europea e Cina. Ancora più interessante è rilevare che gli interessi dei paesi africani verso Cina ed Europa non sono sovrapposti. La Cina è fortemente concentrata su investimenti infrastrutturali in cambio dei quali si approvvigiona di materie prime essenziali per lo sviluppo dell’economia cinese.
L’Europa può offrire un campo di cooperazione più largo: dalla promozione della microimpresa a investimenti ambientali e tecnologici, dalle politiche di formazione ai sistemi di welfare, fino alla implementazione di amministrazioni pubbliche efficienti e istituzioni politiche democratiche.
Insomma, ci sono gli spazi per creare un’alleanza triangolare Africa-Europa-Cina che potrebbe avere esiti particolarmente significativi. Su questa tesi Romano Prodi ha già tracciato varie volte scenari interessanti.

9. Mobilitare risorse adeguate. Una African Tax?

Tutte le politiche e ogni strategia hanno bisogno di risorse adeguate.
Un grande “Africa Plan” su quali risorse potrebbe contare?
Un serio e duraturo programma di sviluppo dell’Africa richiede che si vada al di là di impegni simbolici e atti di testimonianza. Possono costituire una base di partenza i Trust Fund istituiti da Banca Mondiale, Banche regionali, Agenzie ONU, dai singoli Paesi e soprattutto il meccanismo di finanziamento combinato (blending) e di garanzie che è stato avviato dall’Unione Europea. Tuttavia manca uno strumento di natura globale in grado di mobilitare una adeguata massa critica di risorse.

È ipotizzabile una “African tax” applicata in ogni Paese con un prelievo del 2% sui patrimoni superiori a 1 milione di dollari? Tale misura - una forma di tassa per la sostenibilità  che graverebbe solo su redditi molto alti - consentirebbe di generare circa 1180 miliardi di dollari che, ad un rendimento del 3% annuo, garantirebbero oltre 35 miliardi di dollari annui per il fondo SDG, garantendo così una capacità finanziaria in grado di sostenere investimenti di medio e lungo periodo.

Si può ragionare intorno ad una ipotesi di questo tipo in Europa e aprire un confronto con la Cina? E per una misura finanziaria di questa portata, come coinvolgere il Nordamerica e il suo enorme potenziale finanziario?
Un salto di qualità di queste dimensioni non significa considerare esaurite le politiche di cooperazione e aiuto allo sviluppo messe in campo in questi anni da Istituzioni internazionali, nazionali e locali con un impegno in prima persona di ONG e associazioni umanitarie. Al contrario, si tratta di rilanciare anche su questo fronte, lasciandosi alle spalle la prassi - indotta dalla crisi economica e dalle politiche di austerità - di ridurre le risorse per le politiche di cooperazione, e ridefinendo, se necessario, obiettivi e peculiarità della cooperazione internazionale. Se davvero si è convinti che lo sviluppo dell’Africa è una sfida strategica, non si possono fare scelte di riduzione di impegno e di risorse che vanno in direzione opposta.

10. Pace, stabilità e sicurezza.

Qualsiasi politica per essere praticabile richiede un contesto di stabilità e sicurezza. Le crisi che scuotono il Mediterraneo e l’Africa rendono problematico attivare politiche di investimento e sviluppo. Non mancano naturalmente esempi significativi - si pensi all’Etiopia e alla politica di pacificazione perseguita dal suo presidente nel Corno d’Africa - di come un contesto di stabilità sia una condizione imprenscindibile per implementare strategie di sviluppo.

La guerra civile in Siria, la crisi profonda che vive la Libia, i conflitti politici - ma anche etnici e religiosi - che scuotono periodicamente paesi subsahariani, la presenza del radicalismo islamico e di focolai jihadisti, sollecitano anche su questo fronte una cooperazione euro-africana - d’intesa con la Nazioni Unite - promuovendo diplomazia preventiva, percorsi di dialogo e negoziato, azioni congiunte di peacekeeping.

Così come non meno importante è attivare percorsi di democratic institution building che consentano di dare stabilità alle istituzioni politiche, consentano percorsi elettorali fair and free, fondino le amministrazioni pubbliche sull’imparzialità e la certezza del diritto, promuovano la formazione di classi dirigenti in armonia con gli standard internazionali, affermino i diritti umani, a partire dalla tutela delle minoranze e dal riconoscimento dei diritti delle donne e dell’infanzia. 

Il carattere multireligioso del continente - e l’incidenza che ha nei sentimenti popolari - rende poi particolarmente rilevante promuovere sedi e forme di dialogo interreligioso capaci di contrastare fanatismi, integralismi e intolleranze che non di rado sfociano in sanguinosi conflitti e persecuzioni.

Tutte politiche che, naturalmente, devono essere accompagnate da robusti programmi di cooperazione economica, investimenti e promozione sociale.

In queste 10 Tesi ho esposto alcune riflessioni e suggestioni - senza pretese di esaustività o organicità - che naturalmente rappresentano miei punti di vista e non impegnano le istituzioni di cui sono stato o sono dirigente.

L’obiettivo è sollecitare una discussione da cui possano emergere proposte e progetti utili a un salto di qualità dell’azione a sostegno dello sviluppo dell’Africa e per una solida alleanza tra Europa e Africa, con la consapevolezza che a problemi comuni servono soluzioni comuni. E, soprattutto, consapevoli che il destino è comune. Adesso la parola a quanti vorranno offrirci idee, riflessioni, proposte.