Promuovere l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza in Palestina: una sfida al nesso tra militarizzazione, colonialismo e patriarcato
In prossimità del 25° anniversario della Risoluzione 1325, le donne palestinesi continuano a pagare i costi più alti dell'occupazione, del patriarcato e del genocidio[1]. "Questo non è semplicemente un conflitto: è una guerra contro le donne[2]". Un'analisi dell'Agenda Donne, Pace e Sicurezza e della Risoluzione 1325 richiede di riconnettere le aspirazioni fondative delle Risoluzioni con l’attuale contesto, in cui una pervasiva sensazione di insicurezza e una realtà quotidiana di precarietà e imprevedibilità sono la norma per tutti gli individui, a prescindere dall'età o dal genere, a causa della crescente militarizzazione (WCLAC, Al Muntada, 2025). Sebbene tutto il popolo palestinese sia colpito, l’impatto sulle donne è catastrofico a causa dei loro ruoli specifici nella società palestinese. La convergenza degli ultimi eventi[3] con il protrarsi dell’occupazione ha avuto ripercussioni multiple e interconnesse sulle donne e sulle ragazze, esacerbando i preesistenti ostacoli alla promozione e potenziamento dell'uguaglianza di genere e dell'agency femminile. Elementi imprescindibili in una necessaria riconsiderazione delle priorità dell’Agenda.
La prospettiva palestinese nelle Conferenze Mondiali sulle Donne
Le Conferenze Mondiali sulle Donne sono state fondamentali per definire un quadro normativo globale sull'uguaglianza di genere; queste "hanno influenzato la politica e i discorsi domestici nella regione araba/mediorientale" (Moghadam, 2004:43). Tuttavia, occorre riconoscere che in tali contesti proprio le delegazioni palestinesi hanno fornito un importante contributo, presentando elementi empirici e concettuali per un'analisi strutturale dell'impatto di genere del conflitto e dell'occupazione. Sin dalla prima Conferenza nel 1975, hanno espresso apertamente il legame indissolubile tra le precarie condizioni politiche, sociali ed economiche delle donne palestinesi e la più ampia questione palestinese. Per identificare gli ostacoli al rispetto dei diritti umani e alla effettiva cooperazione internazionale, hanno adottato un lessico di decolonizzazione[4] portando all’interno del dibattito globale sui diritti delle donne istanze di liberazione nazionale. È in tale solco che si è pronunciata la frattura tra l'agenda femminista liberale che, centrata su questioni femminili cosiddette "universali", adottava la prospettiva umanitaria per evitare strategicamente considerazioni politicamente "divisive", e la prospettiva femminista dei Paesi liberati dai poteri imperiali, che collegava la lotta delle donne contro il patriarcato alla lotta da altre forme di dominazione e dai regimi di potere economico globale (Jain,2005:75)[5]. Il movimento delle donne palestinesi ha intrapreso una lotta intersezionale per la liberazione, sfidando anche le strutture patriarcali e lottando contro le "due facce della stessa medaglia[6]"; questa prospettiva ha raggiunto anche i consessi globali, dai quali sono stati acquisiti utili strumenti normativi, ma che sono stati anche arricchiti con una prospettiva sui diritti delle donne connessi alla più ampia collettività, quella nazionale, e non solo come diritti civili individuali.
Localizzazione e attuazione dell'Agenda DPS in Palestina
La Risoluzione n. 1325 venne adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nello stesso anno in cui scoppiò la seconda intifada (rivolta in arabo). Nel contesto di sfiducia maturata negli anni nei confronti della comunità internazionale, ritenuta responsabile della protratta impunità di Israele, l’ANP accolse, sì, positivamente la Risoluzione[7] ma la adottò solo dopo un esame da parte di una coalizione nazionale - promossa dall’Unione Generale delle Donne Palestinesi (GUPW) - che ne riconobbe il potenziale per promuovere una lotta unica per i diritti delle donne e del popolo palestinese (MIFTAH, 2020).
Dopo l’istituzione nel 2012 dell'Alto Comitato Nazionale per l'Attuazione della UNSCR 1325 (ACN), presieduto dalla Ministra per gli Affari delle Donne e comprendente altri ministeri e società civile[8], nel 2015 il governo delineò l'ambito di lavoro del Comitato approvando il Quadro Strategico Nazionale per l'Attuazione della Risoluzione 1325[9], la cui visione è la protezione delle donne e ragazze palestinesi dagli assalti e violazioni dall’occupazione israeliana e la sua responsabilità internazionale, e assicurare la partecipazione delle donne senza discriminazioni in tutti i campi e livelli connessi al processo decisionale nei livelli locali e internazionali. Nel 2016, iniziarono i lavori per il Piano d'Azione Nazionale (PAN)[10]. Relativo al periodo 2017-2019, il primo PAN ha avuto una funzione centrale nell’attivare allocazione di risorse e mobilitare il supporto locale, regionale e internazionale attorno ai tre obiettivi strategici: i) proteggere donne e ragazze dalla doppia minaccia della violenza e dalle politiche israeliane di occupazione; ii) promuovere la responsabilità, mediante meccanismi protettivi; iii) garantire la partecipazione non discriminatoria delle donne in tutte le fasi e le sfere del processo decisionale, inclusa la prevenzione dei conflitti e il dialogo politico. Se il primo PAN si concentrava sulla sensibilizzazione e sulla definizione del quadro giuridico di intervento, il PAN di seconda generazione (2020-2024), sviluppato sulla base del monitoraggio e della valutazione del precedente, si presenta più orientato verso l’implementazione. Il primo pilastro integra i mandati di prevenzione e protezione dell'Agenda DPS. La componente di prevenzione si concentra sul miglioramento del ruolo delle donne nella prevenzione dei conflitti attraverso sistemi di allerta precoce, analisi dei conflitti sensibili al genere e programmi di sensibilizzazione comunitaria che affrontano sia la violenza legata all'occupazione che quella di genere. Contemporaneamente, la componente di protezione mira a fornire servizi completi e multisettoriali per le sopravvissute, inclusi supporto sanitario, psicosociale, legale e di sicurezza. Il secondo pilastro continua a perseguire la responsabilità per le violazioni israeliane dei diritti delle donne palestinesi attraverso meccanismi internazionali, coinvolgendo il monitoraggio e la documentazione sistematica incanalati attraverso gli organismi per i diritti umani delle Nazioni Unite, incluso il Consiglio per i Diritti Umani e le sue Procedure Speciali, per chiedere la fine dell'impunità. Il pilastro "Partecipazione" è dedicato a garantire l'inclusione delle donne palestinesi in tutte le sfere decisionali, dalla governance locale e il settore della sicurezza ai negoziati di pace formali e ai dialoghi di riconciliazione interna.
Considerazioni critiche sull’attuazione dei PAN
L'attuazione della Risoluzione 1325 in Palestina ha promosso dibattiti costruttivi e critici. Considerando che la Palestina "è l'unica area al mondo che soffre di un'occupazione militare focalizzata sugli insediamenti" (CWLRC, 2021) la critica primaria è che l’Agenda non affronta direttamente le questioni relative alla condizione delle donne sotto occupazione straniera. Questo contribuirebbe a definire il paradosso secondo il quale la Risoluzione esorterebbe le donne a partecipare ai processi di peace-making, affidando loro un compito complesso e difficile come raggiungere la pace, trascurando la loro profonda emarginazione dalla sfera decisionale e politica (Thabet et al. 2023). È stata inoltre evidenziata l'esistenza di una profonda contraddizione in Palestina tra il discorso ufficiale che celebra il ruolo delle donne nella resilienza nazionale e la loro sistematica emarginazione politica nella pratica: mentre gli attori politici enfatizzano retoricamente l'importanza delle donne, specialmente durante le elezioni, questo raramente si traduce in un'inclusione significativa. I dati empirici dell'Ufficio Centrale di Statistica Palestinese rivelano un significativo divario di genere nella rappresentanza politica. Questa esclusione è aggravata dall'inerzia politica del Consiglio Legislativo palestinese. È stato evidenziato anche il fallimento nell'allocare un budget nazionale dedicato all'attuazione, comportando una forte dipendenza dai finanziamenti di donatori esterni (CWLRC, 2021). "Le donne palestinesi credono che la firma e l'impegno dell'AP alla Risoluzione 1325 siano state una formalità" (MIFTAH 2020), e che l'approccio dello Stato di Palestina alla UNSC Risoluzione 1325 rifletta il suo modello più ampio di adesione ad accordi internazionali senza successiva integrazione legale.
Conclusioni
Sin dalle prime conferenze internazionali sulle donne, le delegate palestinesi hanno chiesto una risoluzione specifica per la loro condizione sotto occupazione militare e l'espansione degli insediamenti. Al venticinquesimo anniversario della Risoluzione n. 1325, la presidente del WCLAC indica che ancora oggi la priorità che l’Agenda deve affrontare è la crescente militarizzazione, che alimenta il protrarsi dell’occupazione ed è causa fondamentale dei cicli di violenza che minano la sicurezza delle donne. La militarizzazione non costituisce una dimensione della "sicurezza", piuttosto ha normalizzato la violenza come strumento della politica di occupazione ed colpisce particolarmente la sicurezza delle donne perché rafforza mascolinità violente: l’oppressione delle donne non è una conseguenza del militarismo ma ne è un elemento costitutivo (Enloe, 1983). Porre fine a questa militarizzazione è una responsabilità collettiva e la sicurezza delle donne deve essere raggiunta e mantenuta attraverso percorsi di giustizia, anche internazionale, per porre fine alla pratica colonialista. Il ruolo degli Stati Terzi nel sostenere i meccanismi di giustizia internazionale, inclusa la Corte Penale Internazionale (ICC), è cruciale per garantire la responsabilizzazione dei crimini di guerra e la fine dell’occupazione coloniale di insediamento. A questi scopi, secondo Randa Siniora, l'Agenda DPS dovrebbe essere riformata al fine di riconoscere esplicitamente l'occupazione militare e la militarizzazione come ostacoli alla pace e alla sicurezza per le donne. Di conseguenza, nella pratica, l’Agenda dovrebbe utilizzare tutti i meccanismi per porre fine all'occupazione illegale e spostare le risorse dal militarismo al peacebuilding guidato dalle donne: non può esserci pace e sicurezza per donne, senza giustizia e autodeterminazione per il popolo palestinese.
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* Una versione diversa e più ampia di questo testo sarà inserita nel volume “The United Nations ‘Women, Peace and Security’ Agenda 25 Years after Security Council Resolution 1325 (2000). A Utopia that Can Still Change the World”, a cura di R. Cadin, V. Zambrano e L. Del Turco, Giappichelli Editore, di porssima pubblicazione
[1] Human Rights Council A/HRC/60/CRP.3 Sixtieth session on 16 September 2025 Legal analysis of the conduct of Israel in Gaza pursuant to the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide, par. 255.
[2] Comunicato statmpa di UN Women, 28 marzo 2025.
[3] Solo negli ultimi 17 anni, si registrano: il blocco di Gaza con cinque guerre, l'impennata di incursioni militari e violenza in Cisgiordania, l'intensificazione delle violazioni dei diritti a Gerusalemme Est con l'aumento delle demolizioni di case, la negazione dell'unificazione familiare, la violazione dei diritti dei minori, detenzioni, arresti e demolizioni di case, insieme ad altre politiche discriminatorie, le nuove costruzioni di insediamenti e l'aumento della violenza dei coloni colonialisti. Dal 2020, il grave peggioramento a causa della pandemia di COVID-19: una diminuzione del reddito e un allarmante aumento della povertà e della disoccupazione; ulteriore aumento della violenza, in particolare domestica contro donne, ragazze e persone con disabilità. I meccanismi di protezione già fragili e i servizi essenziali limitati sono stati ulteriormente compromessi.
[4] Sono stati adottati termini quali apartheid, sionismo, colonialismo di insediamento e neocolonialismo.
[5] Si segnala che per tale frattura alla Conferenza di Nairobi, il documento finale fu approvato solo dopo la rimozione del linguaggio che equiparava il sionismo al razzismo.
[6] “An Enduring Legacy in the Unfinished Struggle for Palestine”, in “Outstanding Women of International, European and Constitutional Law”
[7] Il presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, emanò nel 2005 un decreto presidenziale che sanciva il supporto alla piena e pari partecipazione delle donne in tutti gli impegni intrapresi per promuovere e preservare la pace e la sicurezza.
[8]Membri della Presidenza, del Ministero degli Affari Esteri, del Ministero dell'Interno, del Ministero della Giustizia, del Ministero dello Sviluppo Sociale, della Commissione per gli Affari dei Prigionieri e degli Ex Prigionieri, del Ministero di Stato per la Pianificazione, del Ministero dell'Informazione, della Segreteria Generale del Consiglio dei Ministri, dell'Ufficio Centrale Palestinese di Statistica, dell'Unione Generale delle Donne Palestinesi, del Centro Femminile per l'Assistenza Legale e la Consulenza, dell'organizzazione Al-Haq e dell'Iniziativa Palestinese per la Promozione del Dialogo Globale e della Democrazia (MIFTAH). Il Comitato Tecnico per gli Affari Femminili (WATC) è stato aggiunto con decisione del Consiglio dei ministri nel 2013.
[9] Il documento fu l’esito del processo consultivo durato un anno, con il coinvolgimento del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA). Basato su un approccio dei diritti delle donne, il Quadro stabiliva la partecipazione significativa delle donne alle conferenze internazionali di pace, agli affari civili e al settore della sicurezza e incorpora un approccio basato sui diritti nel definire le priorità statali
[10] In collaborazione con UN Women, la Commissione Economica e Sociale delle Nazioni Unite per l'Asia Occidentale (ESCWA) e l'Unione Europea.