L’allargamento ed il ruolo del Consiglio d’Europa

Amb. Michele Giacomelli
Rappresentante Permanente d'Italia presso il Consiglio d'Europa

Se si guarda una cartina geografica, l’allargamento dell’Unione Europea ai Paesi balcanici sembra una evoluzione ineludibile. Lo stesso dicasi se si fa riferimento alla storia di tale regione. Eppure ancora oggi quando si tratta di rispondere alle aspirazioni dei Paesi balcanici si utilizzano formule ambigue, come quella di ancoraggio europeo (vedasi le conclusioni del vertice Ue-Balcani occidentali di maggio scorso) o di sostegno alla prospettiva europea.

L’Ue stenta a compiere un passo di valenza strategica fondamentale, nonostante sia confrontata ad un compito alla sua portata. Si tratterebbe infatti di integrare una popolazione globale di circa 18 milioni di abitanti, inferiore cioè a quella della sola Romania. E pensare che l’Ue rappresenta quasi 500 milioni di abitanti, una delle tre grandi economie mondiali, la più avanzata espressione dei principi di solidarietà e condivisione.

Giocano a sfavore dell’ulteriore allargamento le esperienze passate di adesioni forse non sufficientemente mature, le tendenze di alcuni Paesi membri ad arroccarsi in interessi nazionalistici, la preoccupazione di importare instabilità e di estendere l’utilizzo di risorse economiche e finanziare limitate. L’Unione Europea, appesantita dalla fatigue dell’allargamento, dovrebbe tuttavia considerare non tanto i costi di nuove integrazioni, quanto gli effetti disastrosi della non azione. Lasciare un vuoto ai confini stessi del suo spazio, se non addirittura all’interno di esso a seconda di come ci si ponga, lascia inevitabilmente campo libero ad altri attori, particolarmente attivi sulla scena internazionale, dall’agenda non necessariamente allineata con quella europea e dai valori spesso non collimanti. Questo sì, sarebbe un prezzo molto alto per la futura rilevanza strategica dell’Unione: perdere il collegamento e la capacità di influenza in Paesi che appartengono alla sua naturale area di proiezione.

L’Italia è sempre stata consapevole di questa sfida e ha mantenuto con coerenza nel tempo un atteggiamento favorevole all’allargamento. Da parte loro, le dirigenze e le opinioni pubbliche dei paesi balcanici considerano ancora, in larga misura anche se in modo non omogeneo, la membership dell’Unione Europea come la migliore prospettiva per le generazioni future. C’è da augurarsi che ciò continui e che la fatigue, questa volta dal lato degli aspiranti membri, non induca a scelte disallineate, dai riflessi complessi e difficilmente prevedibili.

La recente riforma delle procedure di allargamento ha avuto almeno un grande merito: quello di uscire dall’ambiguità nella quale l’Unione si trascinava da tempo e ridisegnare le regole sulla base di reciproci impegni. Le quattro priorità in cui si articola la strategia tracciano percorsi di progressi bilanciati e incrementali, accompagnati da un rafforzamento dell’indispensabile dialogo politico. Gli strumenti a disposizione della Commissione sono innumerevoli e quantitativamente e qualitativamente in grado di fare la differenza. I più rilevanti sono di carattere economico e finanziario, come i fondi per l’integrazione dei corridoi europei con le infrastrutture dei paesi balcanici, quelli a favore dello sviluppo delle PMI e della ricerca. La possibilità di anticipare l’accesso parziale ai fondi di coesione costituirebbe un salto di qualità, a lungo chiesto dai leader della regione.

Il Covid-19 ha aperto una nuova dimensione. I 3,3 miliardi di fondi di emergenze e investimenti stanziati recentemente (che si aggiungono a quelli attivati a livello nazionale ed ai gesti di solidarietà, nei due sensi, nella fase acuta dell’epidemia) hanno reso concreto il concetto di cooperazione e reso visibile alle opinioni pubbliche balcaniche l’utilità della vicinanza all’Ue. È tuttavia da vedere come l’esperienza nell’utilizzo dei vari strumenti (Recovery fund, Sure, MES) disponga i Paesi attualmente membri verso la possibilità che nuovi soggetti facciano ingresso nell’Ue., tenendo presente che questi avrebbero così accesso alle stesse risorse offerte dai limitati strumenti a responsabilità condivisa.

A favore dei Paesi balcanici giocano, come utili fori di dialogo e di cooperazione, anche Organizzazioni e iniziative regionali, come, nel primo caso, l’InCe e l’Iniziativa Adriatica Ionica, e, nel secondo, il Processo di Berlino, che ha visto l’Italia protagonista con l’organizzazione nel 2017 del Vertice di Trieste. Esiste tuttavia una dimensione ancora poco citata e che rappresenta invece uno strumento importantissimo per favorire l’evoluzione dei Paesi balcanici occidentali verso gli standard e i modelli dell’Unione Europea. Mi riferisco in particolare all’appartenenza al Consiglio d’Europa, la più antica istituzione di integrazione europea (fondata nel 1949) e riferimento indispensabile in materia di salvaguardia dei diritti umani, promozione della democrazia, attuazione dello stato di diritto. Il Consiglio d’Europa è inoltre l’unico foro pan-europeo (ne fanno parte 47 Paesi, inclusa la Federazione russa e la Turchia, con la sola eccezione di Bielorussia e Kosovo, che potrebbe tuttavia presentare domanda di adesione in un orizzonte temporale ravvicinato).

A partire dalla data della loro adesione, Albania (1995), Bosnia Erzegovina (2002), Macedonia del Nord (1995), Montenegro (2007) e Serbia (2003) sono stati esposti alle procedure previste dai Protocolli che hanno sottoscritto (il panorama convenzionale è costituito da circa 220 strumenti). Su tutti vale inoltre il fatto che i predetti Paesi si sottopongono alla giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, custode dell’applicazione della Convenzione, di cui ricorrono quest’anno i 70 anni e che presenta la rilevante caratteristica di poter essere attivata da singoli individui. Non si tratta quindi solo di meccanismi di peer preassure e di moral suasion, ma anche, almeno in alcuni casi, di disposizioni convenzionali vincolanti e di sentenze che sono obbligatorie e dotate di una forza che prevale su quella delle legislazioni nazionali.

Non a caso la stessa Commissione europea utilizza i risultati di vari esercizi di monitoraggio del Consiglio d’Europa (ve ne sono di numerosi, che spaziano dalla lotta alla violenza contro le donne alla protezione dei minori, dagli aspetti sociali al contrasto a trattamenti disumani ed alla lotta alla corruzione) come parametro per la valutazione dei progressi raggiunti in capitoli negoziali (in particolare il 23 e il 24, relativi a stato di diritto, sistema giudiziario e diritti fondamentali) fondamentali per il processo di adesione all’Unione Europea.

La partecipazione non solo al Comitato dei Ministri, ma anche all’altro organo statutario, l’Assemblea parlamentare, nonché al Congresso dei poteri locali e regionali ed alla Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa (CEB), offre inoltre un riferimento costante e variegato nella costruzione di società ancorate ai principi democratici e del rispetto dei diritti umani. È attraverso questi organi che ai Balcani occidentali è offerta la possibilità di un costante dialogo politico ad alto livello e di partecipare attivamente allo sviluppo di principi e valori comuni.

Nel recente documento sulle priorità nella cooperazione con il Consiglio d’Europa nel periodo 2020-2022, l’U.E afferma di voler continuare a sostenere il lavoro dell’Organizzazione di Strasburgo, contribuendo al suo bilancio straordinario (è il principale donatore) e sostenendo la cooperazione giudiziaria, promuovendo il dialogo politico e finanziando programmi comuni, anche a favore dei paesi candidati e potenziali candidati. Un particolare riferimento è inoltre riservato alla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, meglio conosciuta come Commissione di Venezia (che celebra quest’anno il trentennale dalla sua fondazione e che nasce da una nostra intuizione, di cui possiamo andare certamente orgogliosi), per il contributo che fornisce nei processi di riforma della giustizia e della governance. La Commissione di Venezia svolge inoltre un ruolo essenziale nella riforma degli standard costituzionali ed è spesso chiamata, proprio dai Paesi balcanici, a formulare pareri che hanno grande impatto, proprio per la loro alta qualità e indipendenza, nella loro vita politica ed istituzionale.

Il Consiglio d’Europa e l’Ue. hanno inoltre messo in piedi un meccanismo di facilitazione, che ha contribuito a rendere più efficiente e più visibile la cooperazione. La dotazione dell’Horizontal Facility II, che copre anche la Turchia, ammonta a circa 41 milioni di euro per il periodo 2019-2022 (85% finanziato dall'Unione Europea, 15% dal Consiglio d'Europa). Attraverso questo strumento orizzontale e flessibile, l'Ue e il Consiglio d'Europa aiutano i beneficiari a conformarsi alle norme del Consiglio d'Europa e all'acquis dell'Unione Europea nel quadro del processo di allargamento. Questi gli obiettivi tematici: garantire la giustizia; contrastare la criminalità economica; combattere la discriminazione e proteggere i diritti dei gruppi vulnerabili (inclusi LGBTI, minoranze e Roma); favorire la libertà di espressione e dei media.

L’appartenenza al Consiglio d’Europa esercita un ruolo trasformativo nelle istituzioni e nelle società dei Paesi balcanici, che si accompagna a quello insito nel processo di adesione all’Unione Europea, ponendosi, per quanto parzialmente, in funzione ad esso propedeutica. I cinque Paesi balcanici hanno sicuramente migliorato in questi anni la loro performance in aree di fondamentale importanza per le rispettive società e nel percorso di avvicinamento all’U.E. grazie proprio all’appartenenza al Consiglio d’Europa.

Tutto questo mi lascia fiducioso sul fatto che alla visione di un “destino comune” si accompagni presto anche una rinnovata volontà politica di rendere concreta la prospettiva europea dei Balcani occidentali. Essi appartengono all’Europa ed in tale spazio debbono crescere e prosperare, diventando, non appena le condizioni saranno soddisfatte, futuri membri a pieno titolo dell’Ue.