Coronavirus e governance criminale in America Latina

Thomas Aureliani
Dottorando in Studi sulla Criminalità Organizzata dell'Università degli Studi di Milano, ricercatore presso il CROSS - Osservatorio sulla Criminalità Organizzata

L’emergenza sanitaria causata dalla propagazione del coronavirus sta implacabilmente acuendo i limiti strutturali di un sub-continente latinoamericano già attraversato da un amplio ventaglio di crisi politiche, economiche e sociali. Diversi movimenti di protesta, sviluppatisi con vigore durante il 2019, avevano messo in evidenza la profonda diseguaglianza che caratterizza la regione, la povertà estrema in cui versano ampi settori della popolazione, la corruzione e l’impunità, l’incapacità di tutelare i diritti umani e l’impronta autoritaria di alcuni governi. Elementi questi che convergono in una generale crisi del potere degli Stati, che sembra approfondirsi durante l’epoca del virus. La controversa e tardiva risposta di alcuni governi nazionali all’emergenza ha favorito l’apertura di numerosi varchi a gruppi armati clandestini già militarmente presenti sullo scenario latinoamericano. Specialmente nelle zone più remote e lontane dai centri del potere politico ed economico, le misure restrittive hanno isolato ancor di più intere comunità, spesso situate all’interno della giurisdizione di gruppi narcotrafficanti, paramilitari o bande giovanili che sfidano o che convivono con le autorità statali corrotte o cooptate. In questi territori tali gruppi stanno svolgendo due funzioni basilari: da un lato si prodigano per rafforzare il loro sistema di welfare, sostenendo materialmente le popolazioni più povere; dall’altro si stanno rivelando decisivi per applicare le misure di distanziamento sociale e garantire l’ordine pubblico. I gruppi armati stanno agendo, in alcuni casi, “in sostituzione” alle istituzioni dello Stato assenti, mentre in altri casi operano come braccia operative delle stesse, specialmente nei contesti più autoritari. La diffusione del virus sta perciò mettendo a disposizione un’allettante occasione per ampliare lo spazio di governance a queste organizzazioni in diversi contesti nazionali.  

Nel Messico sconvolto dalla violenza criminale e da un mai sopito processo di militarizzazione della sicurezza pubblica – nonostante la politica di pacificazione perseguita dal presidente López Obrador,  – diverse organizzazioni criminali hanno sviluppato un sistema di aiuti nelle zone più capillarmente controllate. I cartelli di Sinaloa, del Golfo, di Jalisco e Los Zetas stanno approfittando della situazione per ripartire in pieno giorno acqua, riso, pane, latte, carta igienica, saponi e disinfettanti alle comunità più colpite dalla crisi economica portata dal virus. Opere caritatevoli che sono state prontamente pubblicizzate sui media, dove circolano video e fotografie di individui armati mentre dispensano pacchi con impresso il logo del gruppo criminale di afferenza accompagnato da frasi che esprimono vicinanza alla popolazione.

Anche in America Centrale le pandillas hanno attivato un rudimentale sistema di welfare. Le diverse fazioni del Barrio 18 hanno deciso di sospendere momentaneamente la raccolta del pizzo ai commercianti informali salvadoregni, una delle categorie più colpite dalle misure di contenimento. La Mara Salvatrucha-13 ha invece mantenuto intatta l’attività estorsiva. Entrambe convergono però sulla necessità di rimanere a casa al fine di evitare la trasmissione del virus nei barrios: sanno perfettamente che gli ospedali difficilmente metterebbero a disposizione un respiratore per un pandillero. Il rispetto della quarantena permetterebbe poi di ridurre la presenza della polizia nei barrios. Le politiche della “Mano Dura” contro le gang sono infatti sfociate spesso in massicce operazioni anticrimine nei quartieri più poveri, provocando mattanze ed esecuzioni illegali anche a scapito di civili inermi. L’interruzione momentanea delle estorsioni si sta rivelando una boccata d’ossigeno anche per i piccoli commercianti di Città del Guatemala: i venditori che operano nei mercati della capitale guatemalteca sono costretti a pagare settimanalmente alle gang tra i 75 e i 150 quetzal, l’equivalente di una cifra compresa tra gli 8 e i 18 euro circa.

Nella Colombia straziata dal conflitto armato interno mai placato, l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) ha ordinato l’interruzione delle ostilità per un mese, mentre diversi gruppi dissidenti delle FARC stanno organizzando posti di blocco per evitare la circolazione non autorizzata. Nella regione di Córdoba i paramilitari delle Autodefensas Gaitanistas de Colombia (AGC) obbligano i residenti ad una stretta osservanza delle misure di restrizione mediante la diffusione di volantini e messaggi whatsapp: hanno dichiarato come loro obiettivo militare chiunque violi la quarantena o aumenti i prezzi dei beni approfittando dell’emergenza.

Funzioni di tutela dell’ordine pubblico sono espletate anche dai colectivos venezuelani, i gruppi armati non ufficiali che agiscono come braccio destro delle autorità governative e che sovente si finanziano con l’estorsione, il contrabbando di alimenti e il narcotraffico. L’emergenza sanitaria si inserisce in un contesto di crisi politica, economica e sociale profonda, motivo per cui il governo di Maduro si è affidato a loro per garantire l’osservanza delle regole nelle comunità periferiche di Caracas.

In Brasile, di fronte all’inadeguata e tardiva risposta del presidente Bolsonaro, i trafficanti del Comando Vermelho hanno imposto la quarantena agli abitanti della favela “Cidade de Deus” di Rio de Janeiro, mediante l’utilizzo di altoparlanti e ronde quotidiane. Le altre favelas sperimentano dinamiche simili: i narcos stanno intimando a chiese e negozi il rispetto del lockdown, favorendo la distribuzione di saponi e disinfettanti e vietando l’ingresso agli estranei. Occorre tuttavia sottolineare come il virus abbia solamente approfondito un controllo sociale già esistente. Da diversi decenni le politiche di urbanizzazione e modernizzazione delle città, la marginalizzazione economica e sociale, le diseguaglianze, la corruzione dei corpi di polizia e la repressione delle forze di sicurezza hanno favorito le organizzazioni di trafficanti che hanno colmato l’assenza (o/e la presenza repressiva) dello Stato attraverso un mix di violenza e benefici socio-economici per gli abitanti delle favelas. In tutti i casi brevemente analizzati, la gestione efficace dell’emergenza da parte di poteri criminali e paramilitari potrebbe facilmente condurre a un incremento della loro popolarità all’interno delle comunità più povere e dimenticate. L’allargamento del loro consenso sociale risulta determinante sia per sviluppare con facilità le attività illecite sul territorio sia per presentarsi come attori socialmente legittimati di fronte alle istituzioni ufficiali e ai settori dell’economia legale da colonizzare. Il prezzo dell’abdicazione dello Stato o della collaborazione di alcune sue parti con questi gruppi è solitamente molto salato, e si paga attraverso l’inquinamento dei processi elettorali o mediante la soppressione dei diritti umani dei cittadini latinoamericani. Ai tempi del nuovo “Stato d’eccezione” causato dal coronavirus, in America Latina pare essere lo Stato, ancora una volta, la vera eccezione.

17 January 2020
di
CeSPI (articolo introduttivo)