Articolo

UN' EUROPA INQUIETA IN CERCA DI IDENTITA'

di Piero Fassino

È un'Europa inquieta e alla ricerca di una nuova identità quella che celebra in questi giorni il suo sessantesimo compleanno. Sei decenni nei quali l'Europa ha costruito la più avanzata esperienza di integrazione sovranazionale realizzata dal dopoguerra ad oggi, assicurando al continente il più lungo periodo di pace conosciuto nella storia europea e una fase di impetuosa crescita economica e sociale che nessuna nazione, a partire dall'Italia, avrebbe avuto senza la dimensione europea.
Eppure la percezione dell'Unione Europea che hanno i cittadini non è questa. Le tante incertezze e precarietà provocate dalla crisi di questi anni hanno indotto molti cittadini a vedere nell'Unione Europea un fardello, un vincolo, un ostacolo. Insomma, un rischio più che una opportunità. Una percezione cinicamente cavalcata da partiti populisti e movimenti antisistemici che hanno fatto della lotta all'Integrazione europea la loro principale bandiera.
Che quella rappresentazione sia infondata e' dimostrato da una semplice constatazione: dall'immigrazione alle politiche ambientali, dall'energia al lavoro, dalle politiche sociali ai temi cruciali della politica estera, della difesa e della sicurezza, non vi è tema significativo per la nostra vita che non richieda una dimensione europea che, dunque, non è solo una scelta ma anche una ineludibile necessità.
Ma per corrispondere efficacemente a questa esigenza l'Europa deve compiere oggi un salto di qualità. La crisi di questi anni ha sottoposto a forti tensioni la coesione dell'Unione. L'uscita della Gran Bretagna, la crisi ucraina, le spinte centrifughe che si manifestano in alcuni paesi dell'est, le turbolenze del bacino mediterraneo, la difficoltà ad arginare gli effetti della crisi, il diffondersi di sentimenti euroscettici: tutto ciò' ha favorito un ripiegamento dell'Europa su se' stessa. Sono tornate parole da tempo in disuso, come protezionismo, dazi, dogane, frontiere, e forte si manifesta la tentazione di rinazionalizzare le scelte politiche.
Non può essere questa la strada. Dalle sue difficoltà l'Unione Europea non uscirà con meno Europa, ma soltanto con un rilancio in avanti delle politiche di integrazione e un cambio di passo radicale e visibile su fronti cruciali. Dopo anni di politiche finanziarie incentrate sul solo equilibrio di bilancio serve oggi una politica economica espansiva che mobiliti capitali per promuovere investimenti e creazione di lavoro. A moneta unica e mercato unico occorre che corrispondano finalmente regole comuni per gli investimenti e nei regimi fiscali. La libera circolazione sollecita l'adozione di norme comuni sui diritti di cittadinanza. L'immigrazione è fenomeno che non può essere affidato soltanto alle singole politiche nazionali. La sicurezza dei cittadini e del continente richiede la costruzione di una politica di difesa comune. L'euroscetticismo sollecita una profonda riforma delle istituzioni europee che riduca la loro distanza dai cittadini. E peraltro l'irrompere sulla scena di Donald Trump e della sua politica protezionista e sovranista sollecita ad una autonoma e incisiva presenza dell'Europa su tutti i temi dell'agenda globale.
Certo, nessuna di quelle scelte è facile. Ciascuna richiede la disponibilità degli Stati nazionali a trasferire una quota della loro sovranità ad una comune sovranità europea. E sappiamo con quanta renitenza gli Stati nazionali accettino di trasferire una quota, anche solo minima, di sovranità. Ma e' un'illusione pericolosa credere che ogni singola nazione possa cavarsela da se' in un mondo che in ogni campo vive nella globalizzazione e nell'interdipendenza.
Per uscire dall'impasse e' stata avanzata la proposta di promuovere una  integrazione a "velocità differenziate", che consentano agli Stati che lo vogliono di realizzare integrazioni più solide e estese. In realtà integrazioni a formato differenziato esistono già da tempo: l'eurozona, lo spazio di libera circolazione Schengen, la cooperazione in materia di difesa, hanno già oggi formati differenti. E peraltro i Trattati europei in vigore già prevedono la possibilità di "cooperazioni rafforzate" tra Stati su singole politiche. Oggi si vorrebbe una salto in avanti: non cooperazioni rafforzate su singole materie, ma un'integrazione piena delle principali politiche tra gli Stati disponibili a realizzarle. E molti immaginano che l'eurozona possa costituire l'ambito di questa integrazione più intensa.
La proposta e' suggestiva, non da oggi percorre il dibattito europeo ed è certo dimostrazione di una volontà forte di rilancio dell'integrazione europea. Non mancano tuttavia timori e ostilità, sopratutto in quei paesi di più recente adesione come le nazioni dell'Europa centrale, dove più fragile e' l'identificazione con i valori dell'europeismo e gelosa e' la difesa della sovranità nazionale. Il timore è che la creazione di formati più ristretti rispetto all'attuale integrazione a 27, si traduca in emarginazione per chi non vi partecipa e si apra la strada a una frammentazione che riduca il grado di coesione dell'Unione. Non sono timori infondati, a cui si devono offrire rassicurazioni convincenti. Va certo in questa direzione fornire garanzia che formati più ristretti saranno comunque aperti all'adesione, anche successiva, di chi desidera farvi parte. Così come e' indispensabile che il quadro istituzionale rimanga comunque unico. E in questo contesto l'unificazione in unica figura delle attuali cariche di Presidente della Commissione e di Presidente del Consiglio europeo rappresenterebbe una garanzia in più. In ogni caso un'Unione a velocità differenziate è materia particolarmente "sensibile" che va maneggiata con cura, ampiamente discussa con tutti gli Stati membri e non trasmettendo un messaggio di esclusione.  L'obiettivo infatti non può essere un'Europa più piccola, ma un'Europa più forte e unita.
Insomma: e' tempo di decisioni che abbiano respiro strategico; non semplici certo, ma indispensabili.  Dal Consiglio europeo di Roma non ci si aspettano miracoli, ma che venga almeno l'affermazione esplicita di una volontà di riforma dell'Unione nel segno di una più alta e intensa integrazione. Una responsabilità a cui i governanti europei, tutti, non possono sottrarsi se vogliono che l'Europa assicuri ai suoi cittadini pace e sicurezza, sviluppo e lavoro, diritti e prosperità.

Pubblicato sull'Unità il 23 marzo 2017