Il riarmo di settori della guerriglia, una delle dimensioni della crisi del processo di pace colombiano

Valerio Mancini
Direttore del Centro di Ricerca della Rome Business School ("RBS Research center")

Le recenti proteste nelle principali città della Colombia, nate sulla scia del fervore dei movimenti popolari del Cile e dell’Ecuador, hanno richiamato l’attenzione della comunità internazionale su due aspetti importanti della fase che sta attualmente vivendo la Colombia:

 1) il progressivo fallimento degli accordi di pace con le ex Farc-Ep (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia - Ejército del Pueblo) avviati e siglati a L’Avana durante la presidenza del premio Nobel per la pace Juan Manuel Santos;

2) la difficile relazione con il vicino Venezuela, sempre più distante dalle scelte politiche del Governo del Presidente colombiano Iván Duque.

L’annuncio del ritorno alle armi di una parte delle ex  Farc-Ep mette ufficialmente in discussione un processo di pace mai realmente concluso che, per una serie di ragioni forse più economiche che politiche, sembra essersi definitivamente sgretolato nell’agosto 2019. Nel rilevare il peso di motivazioni di tipo economico in questo grave passo, ci riferiamo al fatto che la vera ragione alla base dell’azione delle Farc-Ep non è più la rivendicazione di una profonda riforma agraria, quanto piuttosto l’enorme fonte di guadagno costituita dalla coltivazione e dal commercio della droga, un prodotto che genera buona parte del prodotto nazionale. L’economia drogata dalla coca ha avuto e continua ad avere un’influenza diretta nel tessuto politico, sociale ed economico del paese, in quanto fonte di finanziamento tanto della criminalità organizzata quanto dei gruppi guerriglieri di sinistra e dei paramilitari.

Con un video di circa mezz’ora caricato il 29 agosto 2019 su YouTube, Iván Márquez, un tempo numero due delle ex Farc-Ep, ha cancellato gli accordi storici del 2016 siglati a L’Avana. L’ex guerrigliero ha accusato il presidente della Colombia Iván Duque, annunciando al mondo la fine della tregua e l’inizio della “seconda Marquetalia”, il luogo emblematico dove venne fondato nel 1964 il gruppo guerrigliero, “in nome del diritto universale dei popoli a prendere le armi contro l’oppressore”. Márquez ha registrato il filmato in un luogo sconosciuto, circondato da altri leader armati di tutto punto, una zona a quanto pare molto vicina alle frontiere con Venezuela e Brasile. Ma sono in tanti, comprese alcune fonti dell’intelligence colombiana, ad affermare che invece i guerriglieri si trovano fuori dai confini colombiani e che sarebbero protetti dal Venezuela. Si tratta di un’accusa molto pesante, che però ancora non è  stata ufficialmente smentita dal presidente venezuelano Nicolás Maduro (peraltro non riconosciuto come tale dal Governo colombiano). Sta di certo che la nuova leadership della  storica guerriglia colombiana è in grado di imporre disciplina, ideologia e coesione ai diversi gruppi sfaldatisi negli anni ma non del tutto sciolti.

Nasce una nuova forza ribelle di stampo marxista-leninista, che riprende da dove si erano interrotte le Farc-Ep prima che si iniziassero a smobilitare. Rafforzato da centinaia di altri veterani delle ex Farc-Ep che hanno deciso di abbandonare definitivamente il processo di pace (o che non lo hanno mai realmente abbracciato) e grazie ad una strategia di reclutamento, il gruppo guerrigliero aumenta giorno dopo giorno il numero di nuovi combattenti, molti giovani venezuelani che scappano senza alternative da un paese ormai allo stremo: si calcola che in questo modo la ricostituita organizzazione guerrigliera sia passata in pochi mesi dai circa 3.000 combattenti del 2019 ai 4.000 previsti per i primi mesi del 2020.

Le ex Farc-Ep continuano così ad espandersi, approfittando soprattutto del vuoto politico-sociale del vicino Venezuela e del conseguente sciame di migranti che ormai da anni cercano di attraversare quotidianamente il confine con la Colombia. Inoltre le ex Farc-Ep con l’occasione della “rinascita” hanno forgiato una vera e propria alleanza con l'altra organizzazione armata, l’ Eln (Ejército de Liberación Nacional), non solo garantendo la delimitazione dei rispettivi territori e la cooperazione in termini economici e, pertanto, la ripartizione senza spargimento di sangue degli enormi guadagni illegali (provenienti soprattutto dal narcotraffico), ma consolidando un coordinamento centrale nella strategia armata con possibili conseguenze nefaste per la fragile situazione socio-politica della Colombia. Le ex Farc-Ep sono infatti in grado di stringere accordi con gruppi criminali in modo da non esaurire le proprie energie nel combattere altri attori illegali, ma piuttosto concentrarsi in azioni armate contro le istituzioni dello Stato e in primo luogo la polizia e l’esercito nazionale.

La “rinascita” delle ex Farc-Ep e l’accordo - impensabile fino a qualche anno fa – fra queste e l’altro principale gruppo guerrigliero, l’aumento vertiginoso delle coltivazioni di coca e, di conseguenza, il crescente potere dei narcotrafficanti, unito all’oscura presenza delle sanguinarie milizie paramilitari di estrema destra, fa ripiombare la Colombia in un panorama ben poco rassicurante. In tale contesto, il forte malcontento da parte di un gran numero di cittadini colombiani contro le decisioni del Presidente Duque, la crisi venezuelana e il flusso migratorio che questa comporta, rappresentano una vera e propria bomba a orologeria in un paese con una situazione politico-sociale ed economica altamente instabile Con le massicce adesioni allo sciopero nazionale del 21 novembre 2019 i colombiani hanno dimostrato il loro malcontento verso le politiche della previdenza sociale, inadeguate per coprire le pensioni future. Allo stesso tempo moltissimi studenti universitari hanno protestato contro i tagli all’istruzione pubblica e la susseguente possibile diminuzione delle borse di studio.  In un anno e mezzo Governo, il consenso verso il presidente Duque è sceso al 26%, anche per la crisi economica derivata dalla caduta del prezzo internazionale di alcune materie prime e per la mai risolta crisi politica, sfociata nel riarmo di settori delle Farc-Ep.

All’interno di questo contesto non è semplice definire ad oggi quali potrebbero essere le principali misure da adottare per liberare la Colombia dalla morsa della criminalità organizzata e della violenza politica. Il primo vero nemico da combattere è senza ombra di dubbio la corruzione, storico flagello dell’America Latina, che da sempre vanifica qualsiasi sforzo contro il fortissimo potere dei gruppi criminali e, al tempo spesso, fa perdere completamente la fiducia nelle istituzioni, già di per sé offuscate da scelte politico-economiche spesso scellerate e, in molti casi, pilotate da altri paesi o da potenti oligarchie locali.

A livello internazionale, invece, i paesi vicini come Panama, Brasile, Perù ed Ecuador lavorano insieme, almeno sulla carta, nella lotta contro la presenza di gruppi delle ex Farc-Ep che operano sul loro territorio. La cooperazione regionale nella lotta contro la criminalità organizzata transnazionale è stata indubbiamente rafforzata negli ultimi anni. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea continuano a supportare il Governo colombiano nell’affermazione dello Stato di diritto, nella salvaguardia dei diritti umani e nella lotta contro la corruzione e, in generale, contro la criminalità organizzata transnazionale. La comunità internazionale si è schierata apertamente contro il ritorno alle armi delle ex Farc-Ep. Il “nuovo” Venezuela di Juan Guaidó, riconosciuto come presidente legittimo dalla Colombia e da altri 13 paesi (tra i quali Stati Uniti, Canada, Francia, Regno Unito e Brasile) ha promesso apertamente di combattere con forza le infiltrazioni delle ex Farc-Ep nel territorio venezuelano e lavorare in modo coordinato con il Governo colombiano per garantire il controllo del caotico confine tra le due nazioni.

17 January 2020
di
CeSPI (articolo introduttivo)