La difficile costruzione della pace in Colombia

Francesca Casafina
PhD in Storia e Istituzioni dell’America Latina – European Academic Network for Colombia “EuroPaz”

La recente decisione della RESLAC (Red de Sitios de Memoria Latinoamericanos y Caribeños), la più importante rete internazionale della memoria, di revocare a partire dal 1º febbraio 2020 lo status di membro al colombiano Centro Nacional de Memoria Histórica, è un segnale grave, accolto con sconforto e preoccupazione dalle numerose realtà impegnate nella costruzione della pace in Colombia. La memoria è solo una delle tante facce del prisma della pace in Colombia, ma è un nodo importante, sia per la centralità assunta nelle politiche pubbliche, insieme alla questione delle vittime del conflitto e del loro diritto alla verità sia per le molte difficoltà che attualmente ostacolano il funzionamento della giustizia di transizione emersa dagli Accordi di Pace del 2016.

La firma degli Accordi di Pace tra il governo colombiano, allora presieduto da Juan Manuel Santos, e il gruppo guerrigliero delle Farc-Ep (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia-Ejército del Pueblo), ha rappresentato un momento storico decisivo per la Colombia, dopo i ripetuti fallimenti delle politiche di pace governative promosse dai vari presidenti a partire dalla metà degli anni Ottanta, a cominciare dai negoziati di pace di Belisario Betancur (Álvaro Villarraga, Gobierno de Belisario Betancur, 1982-1986, Biblioteca de la Paz, 1982-2002, tomo I, 2008); falliti, questi, secondo lo storico colombiano Marco Palacios, per l’effetto combinato di tre fattori: la difficoltà della transizione alla democrazia; la politica controinsurrezionale degli anni precedenti; la guerra alle droghe promossa dalla presidenza Reagan in America Latina (Marco Palacios, Violencia pública en Colombia, 2012).

La pace del 2016 è arrivata dopo cinquant’anni di un conflitto armato il cui inizio viene convenzionalmente fatto coincidere con la nascita delle Farc a seguito delle operazioni militari condotte nell’ambito del programma Plan Laso (Latin America Security Operation) nella regione di Marquetalia. Vicine al Partito comunista ed eredi delle autodefensas e delle guerriglie comuniste degli anni Cinquanta, le Farc nascono a metà del decennio successivo nella regione montagnosa di Marquetalia, al confine fra i dipartimenti di Tolima, Huila e Valle del Cauca.

Negli anni il conflitto è, profondamente mutato, nuovi fattori sono intervenuti e sono mutate le dinamiche e gli attori coinvolti (Valeria Rosato, Conflitti “camaleontici”. Il conflitto colombiano tra il XX e il XXI secolo, 2010). Quella che si è venuta configurando è una complessa ragnatela di violenza armata, complicità politiche, interessi economici, flussi illegali e strategie di controllo dei territori da parte di attori armati, in uno scenario che vede l’intrecciarsi di fattori endogeni e internazionali (Cristina Rojas e Judy Meltzer, Elusive Peace: International, National, and Local Dimensions of Conflicts in Colombia, 2005). Il controllo armato dei territori è stata una delle cifre di distinzione del conflitto colombiano e contribuisce in gran parte a spiegare le difficoltà di radicamento della pace oggi, poiché anche nella fase di post-conflitto molte violenze derivano dalle economie criminali e dallo sfruttamento delle risorse; la smobilitazione dei paramilitari, nel 2005, ha contribuito a svelare gli interessi che stanno dietro ai desplazamientos (sfollamenti forzati), fra cui il narcotraffico e le miniere illegali, ma anche i progetti minerari-energetici e agroindustriali e gli investimenti stranieri sulle terre (Centro Nacional de Memoria Histórica, La maldita tierra, 2017). Nel 2011, alla vigilia dell’inizio dei dialoghi di pace, lʼ87% degli sfollamenti è avvenuto in municipi con risorse minerarie e/o petrolifere. Un rapporto del 2018 della Defensoría del Pueblo (Economías illegales, actores armados y nuevos escenarios de riesgo en el posacuerdo), documenta invece le violazioni al diritto internazionale umanitario da parte del gruppo guerrigliero Eln, di gruppi dissidenti delle Farc-Ep e di paramilitari delle Autodefensas Gaitanistas de Colombia (Agc) per traffici legati al narcotraffico e alle miniere illegali.

Tutte questi nodi interrogano la Colombia oggi, e rappresentano altrettante sfide per il consolidamento del post-conflitto. La pace del 2016, giunta dopo quattro anni di trattative condotte a La Habana, e il cui testo definitivo è stato riformulato dopo la bocciatura al referendum del 2 ottobre 2016, ha aperto un capitolo difficile per un paese lacerato da decenni di scontri, paramilitarismo, scomparse forzate, violazioni ai diritti umani, con un livello tale di accanimento sui civili da venire più volte condannato dalla Corte Interamericana per i Diritti Umani, come nel caso del massacro di Mapiripán, avvenuto il 14 luglio 1997, nella fase di espansione paramilitare iniziata a metà degli anni ’90 (Gustavo Duncan, Los señores de la guerra: de paramilitares, mafiosos y autodefensas en Colombia, 2007; Mauricio Romero, Paramilitares y autodefensas. 1982-2003, 2003), per il quale la Colombia ha ricevuto una condanna del tribunale internazionale (Sentenza della Corte IDH del 15 settembre 2005) per complicità fra esercito e paramilitari. Tema non nuovo, e uno di quelli sotto esame del Sistema Integral de Verdad, Justicia, Reparación y No Repetición (SIVJRNR), che poche settimane fa ha ricevuto un rapporto (redatto da Comisión Interclesial Justicia y Paz, Colectivo de Abogados “José Alvear Restrepo” e Coordinación Colombia-Europa-Estados Unidos) sulle violazioni ai diritti umani commesse da tra il 1978 e il 1998 da membri di un battaglione di intelligence poi integrato nell’esercito e sciolto nel 1998 per violenze, omicidi, e sparizioni forzate (desaparicionforzada.co).

Se gli anni Ottanta hanno visto l’esplodere del narcotraffico e la disgregazione del tessuto sociale e civile del paese, gli anni Novanta sono stati gli anni del consolidamento dei paramilitari e dell’avanzata dei loro reparti in varie regioni del paese tra cui la regione di Urabá, dove l’aumento delle violenze a partire dalla metà degli anni Novanta coincide con l’arrivo delle Autodefensas Campesinas de Córdoba y Urabá (ACCU), create dai fratelli Castaño per replicare il modello di alleanze tra agrari, esponenti politici, narcotrafficanti e forza pubblica già sperimentato con le autodefensas del Magdalena Medio (Mauricio Romero, Paramilitares y autodefensas, 1982-2003, 2003).

Gli anni Novanta sono anche anni segnati dal susseguirsi di massacri. Il Centro Nacional de Memoria, nel suo rapporto finale, ha definito quello colombiano un conflitto “di massacri” (Grupo Memoria Histórica/Centro Nacional Memoria Histórica, ¡Basta Ya! Colombia: memorias de guerra y dignidad, 2013), dove il prevalere di una logica armata per il controllo dei territori ha diviso per decenni il paese in bande nemiche. Gli scontri fra attori armati non sono numerosi, sono soprattutto le incursioni armate, gli sfollamenti forzati e le violenze verso le comunità a scandire il conflitto, come nel caso delle operazioni paramilitari, o nel massacro commesso dalle Farc-Ep a Bojayá nel 2002 per il controllo delle zone del fiume Atrato.  

La motivazione che ha spinto la RESLAC a sospendere l’adesione del Centro de Memoria colombiano è stata la controversa posizione dell’attuale direttore del centro, Darío Acevedo, sulla “non esistenza” di un conflitto nel paese: posizione più volte espressa da Acevedo, ex-docente di storia all’Università Nazionale di Medellín e oggi a guida del più importante istituto per la memoria storica in Colombia. Le sue dichiarazioni hanno generato una levata di scudi contro il rischio di revisionismo, e serie preoccupazioni sul futuro dell’istituzione, condensate nella lettera inviatagli dai docenti del Dipartimento di Storia della Università Nazionale di Bogotá a febbraio dell’anno scorso. Le dichiarazioni di Acevedo fanno eco a una retorica pubblica consolidatasi specialmente durante le due presidenze di Álvaro Uribe Vélez (2002-2010), che dipingeva la Colombia come sotto scacco di gruppi armati di terroristi e narcotrafficanti da sconfiggere con una forte politica di offensiva militare. Oltre a sottostimare le profonde, strutturali, radici della violenza nel paese, una simile lettura ha incoraggiato per anni una esacerbazione dei toni dello scontro giocata sui temi della sicurezza interna, un forte coinvolgimento dei civili (attraverso le redes de informantes e i soldados campesinos), la creazione di zone speciali di sicurezza (zonas de rehabilitación y consolidación), ma soprattutto ha comportato una pesante escalation militare, sommata nei primi anni Duemila agli effetti devastanti del Plan Colombia (IEPRI, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto, 2001), il programma di lotta al narcotraffico promosso e finanziato dagli Stati Uniti e basato su piani di attacco militare e fumigazioni aeree con l’erbicida glifosato nelle zone di coltivazione della foglia di coca (Grupo Memoria Histórica, El Placer. Mujeres, coca y guerra en el Bajo Putumayo, 2012). Le fumigazioni con glifosato, vietate nel 2015 a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale avallata dal Consejo Nacional de Estupefacientes (CNE), sono state oggetto di una successiva sentenza nel 2017 (T-236), che poneva condizioni per le aspersioni e il cui contenuto è stato riconfermato in un nuovo pronunciamento del luglio 2019 (www.insightcrime.org). 

Gli anni della presidenza Uribe sono stati caratterizzati da una significativa recrudescenza delle violenze e dai negoziati condotti con i paramilitari. Ricordiamo in breve quanto accaduto: nel 2002 il governo di Uribe varava un pacchetto di misure legislative per aprire la strada ai negoziati con i paramilitari delle Auc, facendo approvare la Legge 782 (Ley de Orden Público) per poter aggirare l’ostacolo costituito dalla Legge 418 del 1997 che concedeva facoltà al governo di negoziare solo con gruppi armati di carattere politico. Oltre alla Legge 782, il governo promulgava il Decreto 128 (2003) per la concessione di benefici giuridici ai paramilitari, con i quali nel luglio dello stesso anno venivano firmati gli Accordi di Santa Fe de Ralito per la smobilitazione delle strutture entro il 31 dicembre 2005. A completamento di quanto disposto dalla Legge 782 e dal Decreto 128,veniva poi emanata la Legge 975, conosciuta come “Justicia y Paz”, che inquadrava le azioni dei gruppi paramilitari nella fattispecie del delitto politico di sedizione (art. 71), aprendo così di fatto la strada all’indulto per i responsabili di gravissime violazioni ai diritti umani, come emerso da numerose udienze pubbliche di fronte ai giudici di Justicia y Paz (Movice, Sin justicia y sin paz. Verdad fragmentada, reparación ausente. Balance de la aplicación de la “Ley de Justicia y Paz”, 2009; Comisión Colombiana de Juristas, Verdad, justicia y reparación: algunas preguntas y respuestas, 2007).

Le negoziazioni con i paramilitari non hanno portato alla scomparsa degli attori armati nei territori, che a partire da allora vengono chiamati “bande criminali” e la cui presenza è da anni denunciata da numerose organizzazioni colombiane, come Indepaz e la Mesa de Trabajo “Mujeres y conflicto armado”, da organismi internazionali come Human Rights Watch (Herederos de los paramilitares. La nueva cara de la violencia en Colombia), e documentata anche dalle missioni di appoggio al processo di pace in Colombia dell’Organizzazione degli Stati Americani.

Nel 2012 Juan Manuel Santos, succeduto a Uribe, avvia i negoziati con le Farc-Ep, che portano quattro anni dopo alla sigla dell’accordo, firmato il 26 settembre 2016 e bocciato il 2 ottobre da un referendum dove, a fare la differenza sono stati i dipartimenti di Antioquia, Cundinamarca e della regione cafetera e i municipi con miniere illegali e coltivazioni di coca, come nel nordest antioqueño, nei due Santander e in Arauca, al confine col Venezuela; mentre nei dipartimenti del Magdalena e in quello della Guajira, entrambi al centro di forti interessi legati allʼagrobusiness e allo sfruttamento minerario. Il sempre secondo dati della Registraduría, il tasso di astensionismo è andato oltre il cinquanta per cento.  

Gli Accordi di Pace creano il Sistema Integral de Verdad, Justicia, Reparación y No Repetición (SIVJRNR), formato dalla Comisión de la Verdad, dalla Unidad Especial de Búsqueda de Personas dadas por Desaparecidas e dalla Jurisdicción Especial para la Paz. Questi organismi sono oggi al lavoro anche se la nuova presidenza di Iván Duque Márquez, eletto nel 2018 per il Centro Democratico, partito di centrodestra guidato da Álvaro Uribe, si è da subito contraddistinta per un dichiarato scetticismo verso gli accordi, varando misure quali la riduzione dei fondi a disposizione della Commissione della Verità creata dagli Accordi con il compito di “chiarire le cause del conflitto armato interno e la costruzione di una memoria storica dei fatti attraverso la raccolta delle testimonianze delle vittime” (https://comisiondelaverdad.co).

Il panorama colombiano si presenta dunque molto complesso, aggravato dalla decisione di un gruppo dissidente delle Far di riprendere la lotta armata. Ma all’indomani della firma degli accordi il dato più preoccupante sono gli omicidi di leader sociali, attivisti, difensori per i diritti umani (Cidh, Personas defensoras de derechos humanos y líderes sociales en Colombia, 2019; CCJ, ¿Cuáles son los patrones? Asesinatos de Líderes Sociales en el Post Acuerdo, 2018), in alcuni casi con la presunta complicità di agenti delle forze governative, questione all’esame della Procuraduría. Come riportato ormai da decine di inchieste, denunce, rapporti, di organismi colombiani e internazionali (“Somos Defensores”, Colectivo de Abogados “José Alvear Restrepo”, Mesa de participación efectiva de las víctimas, Indepaz, Cidh ecc.), la firma degli Accordi di Pace non ha dunque posto fine alle violenze in Colombia e oggi sono seriamente in pericolo la stabilità del post-conflitto e la delicata costruzione della pace. La decisione della RESLAC riaccende il dibattito intorno al tema della memoria, che da anni ormai mette le vittime al centro della scena pubblica, nella costruzione di percorsi di riparazione che giungono dopo decenni di conclamata impunità, ma che, se compromessi (si veda anche la recente sentenza del Consiglio di Stato sulla responsabilità statale per crimini di lesa umanità), renderebbero ancora più lenta e difficile la costruzione di una pace duratura e il consolidamento di una reale transizione in Colombia.

Cosa può fare l’Europa e quale può essere il contributo della società internazionale nel rafforzamento della pace in Colombia? La domanda non è facile da esaurire in poche righe; come si sa, molti coordinamenti, associazioni sono attivi da anni nel monitoraggio del rispetto dei diritti umani in Colombia, nel sostegno alle comunità colpite dalla violenza e/o nella promozione di progetti di cooperazione e accompagnamento a percorsi avviati da varie comunità e realtà locali. Al fine di mettere in comunicazione e rendere visibili le molte iniziative di solidarietà con il processo di pace colombiano attive in Europa, è nata la Rete Accademica Europea per la Pace in Colombia/European Academic Network for Colombia “EuroPaz Colombia” (www.europaz.org), costituitasi nel 2019 con il patrocinio del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre. Gli obiettivi della Rete sono: la promozione di studi e ricerche in supporto al Sistema Integral de Verdad, Justicia, Reparación y No Repetición; la realizzazione di ricerche multidisciplinari sulle dinamiche sociali, politiche ed economiche colombiane; l’apertura di spazi di confronto fra gli studiosi e le istituzioni che aderiscono al fine di valorizzare conoscenze, competenze, approcci metodologici; sviluppare e consolidare i rapporti con le comunità colombiane in Europa. “Europaz” si avvale della piattaforma digitale multilingue “coExist” creata dall’associazione By Words International per facilitare la definizione e la gestione di collaborazioni e progetti comuni. Ad oggi le adesioni riguardano ricercatrici e ricercatori di numerose università europee, La Rete è sostenuta dalla colombiana Comisión de la Verdad (Cev) e dai “Nodi” nati in vari paesi europei a sostegno del lavoro della Cev. Per richiedere informazioni e inviare adesioni si può scrivere a: reteeuropaz@gmail.com).

17 January 2020
di
CeSPI (articolo introduttivo)