Articolo di Michele Valensise

Una presidenza forte e coraggiosa

Con la conclusione della Presidenza di turno dell’Unione Europea della Germania si conclude anche il nostro Taccuino Tedesco con una riflessione di Michele Valensise, già Ambasciatore d’Italia a Berlino e già Segretario generale del Ministero degli Esteri e attualmente Presidente di Villa Vigoni. Centro italo-tedesco per il dialogo europeo.

 

La presidenza di turno dell’Unione europea, che ruota ogni sei mesi tra gli Stati membri, ha visto ridotta la sua importanza negli ultimi anni, conseguenza inevitabile dopo il trattato di Lisbona, che ha introdotto le presidenze istituzionali stabili del Consiglio europeo e del Consiglio affari esteri (oggi Charles Michel e Josep Borrell). Tuttavia, quando la presidenza semestrale spetta a un Paese grande e le circostanze sono di grave emergenza, quel ruolo può essere tutt’altro che irrilevante.

 Alla chiusura della presidenza tedesca dell’Ue, che il 31 dicembre ha passato il testimone a quella portoghese, la cancelliera Merkel ha riposto i fascicoli di lavoro comunitario degli ultimi sei mesi con comprensibile soddisfazione. L’avvio del semestre a guida tedesca era stato costellato da difficoltà, incertezze e paure. In piena crisi della pandemia, anzi in quella che poi avremmo capito essere purtroppo solo la sua prima fase, l’Unione europea stentava a dare una risposta comune alle emergenze drammatiche di quelle settimane, il cui emblema è rimasto per molti, non solo in Italia, l’angosciosa immagine delle bare a Bergamo.

L’Ue sembrava condannata a una mortificante paralisi, innanzitutto sul piano sanitario per fronteggiare le necessità più urgenti, almeno con un minimo coordinamento, tenuto conto che la materia sanitaria non rientra tra le competenze comunitarie. Poi sul piano degli interventi finanziari, per lenire le situazioni di maggiore criticità dal punto di vista economico e sociale. Spesso contestata per il suo eccessivo tatticismo, Angela Merkel è stata risoluta nel porre le basi del lavoro che la presidenza tedesca avrebbe dovuto affrontare. La Germania ha agito con senso dell’interesse comune e vigore inattesi per molti, ma non per quanti confidavano consapevolmente nell’impegno europeo della cancelliera e del suo governo.

E’ nata così a maggio la prima intesa con Parigi sull’ordine di grandezza della reazione europea, poi divenuta la base della proposta della Commissione e quindi, al Consiglio europeo di luglio, il nucleo essenziale dell’accordo a 27 e delle impegnative decisioni adottate. Senza il peso della Germania e l’autorevolezza personale di Angela Merkel si sarebbe arrivati al risultato di uno stanziamento di risorse europee, del tutto inedito non solo in termini quantitativi ma anche per l’introduzione di un (promettente) principio di responsabilità comune dell’Ue? E oltretutto in tempi molto rapidi, mai sperimentati prima a Bruxelles? C’è da dubitarne, senza dimenticare che si è giunti alla dotazione di 750 miliardi di Euro superando pesanti diffidenze e forti resistenze in particolare dei Paesi “frugali”: all’inizio, il loro capofila, l’Olanda, si era detta disponibile a finanziamenti Ue solo fino a 1 miliardo di Euro.

Per avanzare sulla strada di una nuova, necessaria solidarietà in seno all’Ue, non sarebbe bastata una presidenza meramente notarile. Quella tedesca si è fatta valere, imponendosi per lungimiranza e iniziativa. Per il traguardo tagliato con l’approvazione del Recovery Plan – anche se certo non la parola finale nell’azione per la ripresa economica dell’Ue – la cancelliera e il governo di Berlino hanno ora giustificato motivo di soddisfazione. 

Anche la conclusione del negoziato sulla Brexit va iscritta all’attivo della fine presidenza. L’accordo di fine anno tra Londra e Bruxelles non era scontato. Fino all’ultimo giorno sui due lati della Manica erano state approntate le procedure per l’eventualità, per nulla remota, di un no deal al 31 dicembre. Il compromesso finale è certamente frutto della coesione che l’Ue ha saputo mantenere e della capacità negoziale dimostrata in una trattativa estenuante. Ma è anche da attribuire alla forte spinta del governo di Berlino per scongiurare una rottura senza accordo e trovare invece un punto d’equilibrio condiviso con il Regno Unito, che apra la strada a una relazione proficua dopo il suo recesso. Più che per ogni altro Paese membro, per la Germania è stata chiara la priorità di tenere agganciato un partner che resterà oltremodo rilevante, per tante note ragioni, anche fuori dall’Ue. Per Berlino è un altro motivo di soddisfazione, da condividere.

E ancora, sul piano della politica estera e di sicurezza c’è compiacimento per la definizione e l’intesa unanime dei 27 Paesi membri su un’analisi comune delle minacce esterne e su una linea condivisa tra tutti per il bando dalla rete di taluni contenuti diffusi nonostante la loro natura minacciosa o di violazione di diritti fondamentali. Nel bilancio di fine semestre figurano, d’altra parte, anche voci che sarebbero potute andare meglio. E’ mancato, ad esempio, un vero impulso alla preparazione della Conferenza sul futuro dell’Europa, idea lanciata l’anno scorso dal presidente Macron e non ancora messa a fuoco, come meriterebbe. Né si sono avuti sviluppi, pur attesi, in tema di politiche e procedure comuni su migrazioni e asilo. Per questo lavoro il cantiere resterà aperto anche nel semestre appena iniziato.

 Condotto in porto il vascello europeo, ora Angela Merkel affronta gli ultimi nove mesi di governo e alcune scadenze impegnative di politica interna, in primis la gestione della nuova preoccupante fase della pandemia e della campagna di vaccinazione, oggetto di notevoli polemiche anche in seno alla coalizione di governo. Poi, oltre ad alcune importanti elezioni regionali nei prossimi mesi, c’è il laborioso e controverso processo di selezione del prossimo presidente della Cdu (e possibile candidato alla cancelleria federale a settembre) previsto per il 15-16 gennaio. Sono sviluppi suscettibili di plasmare la Germania, e l’Europa, del dopo-Merkel.

La cancelliera guarda comunque ai prossimi mesi con l’animo disteso di chi ha programmato, con grande equilibrio personale, un’uscita ordinata dalla scena politica, che lei stessa considera meritata e auspicabile dopo i sedici anni di guida ininterrotta del governo. La calma e la disciplina di Angela Merkel sono ancora più apprezzabili, se si volge lo sguardo al tristissimo spettacolo inscenato in queste settimane e in queste ore a Washington da un presidente pronto, nonostante la sconfitta, a mettere a repentaglio l’ordine, la legge e la stessa democrazia pur di non lasciare il suo posto.