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Politica

L’Europa non dimentichi l’Africa

30 August 2022
Massimo Nava - Editorialista Corriere della Sera

La guerra in Ucraina è destinata a prolungarsi, con conseguenze economiche e sociali sempre più pesanti per l’Europa. Crisi energetica, caro bollette, inflazione galoppante costringono i governi a inventare misure d’emergenza per l’autunno, su cui pende peraltro la non trascurabile minaccia di un’altra ondata di varianti Covid. Sommersa dalle emergenze, l’Europa sembra avere dimenticato un’area del mondo strategicamente fondamentale per il proprio futuro. La considerazione non è ovviamente una novità, ma ciò che si sta perdendo di vista è lo stretto legame fra emergenza bellica nel cuore del Vecchio Continente e riposizionamento strategico di Russia e Cina nel continente africano.

È un fatto che la competizione geopolitica tra Russia e Cina da un lato e Occidente si stia drammaticamente aggravando. Ancora prima dell’invasione dell’Ucraina, Mosca ha concluso una ventina di accordi di cooperazione militare con Paesi africani, cui si sovrappone il dispiegamento di truppe della società mercenaria Wagner (Repubblica Centrafricana, Mali, Libia, Sudan, tra gli altri) e un'intensa attività sui social network e sui media africani. L’argomento reiterato è che recessione e crisi alimentari siano conseguenza delle sanzioni contro la Russia.

Occorre ricordare che 17 Paesi africani si sono astenuti e altri 8 si sono rifiutati di partecipare al voto sulla risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che condanna l'invasione dell'Ucraina. 

La Francia, principale attore europeo sul fronte africano, sia per ragioni storiche sia per la costante cooperazione militare ed economica in aree cruciali, in particolare nei Paesi subsahariani, ha subito negli ultimi mesi una drammatica successione di sconfitte politiche, di voltafaccia e umiliazioni, culminate nella decisione - in agosto - di smobilitare il proprio contingente di stanza in Mali, dove la giunta al potere dallo scorso anno si appoggia alle forze di Wagner.

L'ostilità nei confronti della Francia è un potente fattore di mobilitazione delle popolazioni africane. Si stima che quasi 2.000 paramilitari siano presenti nella Repubblica Centrafricana. Proteggono il presidente, Faustin-Archange Touadéra. Gli europei hanno lasciato "la porta praticamente aperta", sostiene Paul Stronski del Carnegie Endowment for International Peace. La Guinea è un altro Paese dipendente dalla Russia. Rusal, il gigante russo dell'alluminio possiede tre miniere in Guinea.

La Russia è il maggiore esportatore di armi in Africa. Il commercio è aumentato dal 2014. Una filiale della VEB (banca ora sottoposta a sanzioni internazionali) è azionista della banca di sviluppo Afreximbank.

Secondo l'ultimo rapporto dell'Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri), la Russia è stata il principale fornitore, con il 44% delle importazioni di armi. Molto più di Stati Uniti (17%), Cina (10%) e Francia (6,1%). Il volume delle vendite militari russe nel continente potrebbe spiegare l'astensione di 17 Paesi africani all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Anche la Germania sta per lasciare il terreno. La Bundeswehr ha deciso di interrompere le operazioni in Mali "fino a nuovo ordine". Il Ministero della Difesa tedesco ha confermato che i voli aerei e le operazioni nell'ambito della missione di pace delle Nazioni Unite, Minusma, sono stati temporaneamente sospesi a causa della mancanza di cooperazione da parte delle autorità maliane.

La Russia così persegue la sua politica di alleanze militari e penetrazione strategica, sia per interesse economico, sia in funzione anti occidentale. Le “armi” utilizzate sono tradizionali - cooperazione economica, esportazione di armi, pressione diplomatica - e indirette: destabilizzazione politica, spazio per flussi migratori verso l’Europa, “sostituzione” di alleati tradizionali, quali in primo luogo, la Francia.

In questo quadro, la Cina non è da meno e non lo è da tempo, ma con una strategia sostanzialmente limitata alla penetrazione economica e a una sorta di “colonizzazione” finanziaria che costringe i governi, sopratutto i più deboli, a fare debito con Pechino.

Nonostante tutto, la Francia può ancora contare sulla forza della propria industria militare, sulle relazioni culturali e in ultima analisi sulla sostanziale autosufficienza energetica.

Più complicata la situazione della Germania, costretta dalla crisi ucraina a una revisione totale della propria politica energetica e della propria strategia economica in relazione alla Russia e alla Cina. Se le conseguenze negative del momento sono ingenerosamente messe sul conto della precedente leadership di Angela Merkel (non si dimentichino le tre legislature di grande coalizione con la SPD), anche il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz non gode di grande popolarità, in quanto la “revisione” della politica tedesca appare comunque indecisa è contraddittoria. “Merkel” in Germania è diventato un sinomino di prudenza e lentezza. “Scholz” sta diventando qualche cosa di peggio, sinonimo di tentenna. Intanto il Paese è sull’orlo della recessione. D’altra parte, non è semplice costruire in fretta un modello alternativo, che appunto si rivolga con più decisione che in passato, al Mediterrao e all’Africa.

Quanto all’Italia, le più recenti iniziative del governo Draghi in Medio Oriente e nel Maghreb sono state finalizzate a importanti accordi di forniture energetiche con i governi di Egitto, Algeria, Angola, Mozambico e Qatar. Per quanto utile ad affrontare il caro bollette e la probabile emergenza autunnale, la pretesa di ridurre o azzerare la dipendenza da Mosca comporta una corsa a una nuova dipendenza da Paesi che non sono certo un modello di democrazia e che in molti casi (Algeria, Egitto) mantengono stretti legami economici e militari con la Russia.

 Stiamo in sostanza “mendicando” gas, a prezzi gonfiati, mentre vengono al pettine errori di un passato impantanato in dibattiti ideologici, veti incrociati, pastoie burocratiche che hanno bloccato la riflessione sul nucleare e ritardato la transizione ecologica in termini di investimenti e, in ultima analisi, di educazione dei cittadini. Basti pensare, solo per fare un esempio, alla raccolta rifiuti e allo spreco di acqua.

In questo quadro, occorre non dimenticare quanto l’Italia sia il Paese più esposto ai flussi migratori, sempre più drammatici, come si è già visto nel corso dell’estate. Flussi evidentemente condizionati dalla crisi alimentare e dalla strategia del Cremlino.