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Politica

Il lungo inverno dell’Europa

19 October 2022
Massimo Nava - Editorialista Corriere della Sera

La narrazione diffusa di un’Europa coesa e solidale a sostegno dell’Ucraina aggredita, così come lo è stata al tempo della pandemia, rischia di essere smentita nell’inverno che ci attende, uno dei più drammatici dalla fine della seconda guerra mondiale. La resistenza delle società europee e l’unità politica di fronte alla prepotenza del Cremlino sono messe a dura prova dalla combinazione di almeno quattro fattori.

Il primo è il terremoto energetico che ha moltiplicato il prezzo del gas e che comporta un costo di alcuni punti di PIL, quindi un salasso più grave dello choc petrolifero degli anni Settanta. Se ai costi dell’energia si sommano i contraccolpi delle sanzioni imposte alla Russia, il calo dei consumi e delle esportazioni di beni, l’aumento dell’inflazione e della disoccupazione, si comprende quanto alto sia il prezzo che gli europei stanno pagando.

Il secondo fattore è implicito nelle domande “fino a quando?”  e “come?” gli europei saranno disposti a pagare questo prezzo. Tanto più che dalla durata della resistenza dipende anche l’esito stesso della guerra e la possibilità che il regime di Putin cominci a sgretolarsi. Finora, le sanzioni hanno fatto più male a chi le ha imposte che a chi le ha subite. È del tutto evidente che i governi europei stanno dando risposte contraddittorie e in ordine sparso come dimostrano l’inconcludente dibattito sul tetto del prezzo del gas e l’atteggiamento della Germania che sembra avere deciso di andare per conto suo per fare fronte alla voracità energetica del proprio apparato produttivo e scongiurare la recessione. Inoltre, non è superfluo prendere nota dell’ampio e costoso riarmo della Germania. Al di là di inevitabili pregiudizi della Storia, questo può essere nel tempo un ulteriore fattore di disequilibrio continentale. In questo ambito, come si vede, siamo ben lontani dalle intese che produssero, soprattutto per disponibilità tedesca grazie ad Angela Merkel, il Recovery Fund. Al contrario, siamo di fronte a un’inevitabile stretta monetaria che colpisce il finanziamento delle imprese e delle famiglie, mentre si amplifica, in Paesi come l’Italia, la preoccupazione sul debito pubblico e sulla tenuta dei conti.

Il terzo fattore, non meno allarmante dei precedenti, cui è direttamente collegato, è costituito dagli sviluppi politici ed elettorali in diversi Paesi europei. Sviluppi determinati e condizionati dall’aggravarsi della situazione economica. Al di là dei mal di testa che la vittoria di Giorgia Meloni ha provocato in molti ambienti, per lo più tedeschi e francesi, è del tutto evidente lo spostamento a destra dell’elettorato europeo. Se questo spostamento si limitasse a una svolta conservatrice, soprattutto in economia, esso entrerebbe - piaccia o meno - nella normale dialettica democratica. Ma in molti Paesi europei la svolta è espressione del profondo disagio delle classi popolari (che appunto votano a destra), di spinte nazionalistiche ed euroscettiche e di sensibilità collettive che influenzano la cultura, gli stili di vita, le grandi questioni dell’ordine pubblico, dell’immigrazione, dell’integrazione continentale. Questa svolta potrebbe incidere sulla politica estera complessiva dell’Europa (ammesso che ce ne sia una univoca) e condizionare sul medio periodo anche l’atteggiamento nei confronti della Russia.

Infine il quarto fattore. La coesione dell’Europa nei confronti della Russia va di pari passo con la tenuta del fronte occidentale e con l’impegno politico e militare nell’Alleanza atlantica. Ma l’impegno politico e militare non può essere disgiunto da una forte solidarietà occidentale, riaffermata ad ogni occasione come mantra politico ma nei fatti smentita da un’evidente divergenza di interessi strategici e interessi commerciali fra Europa e Stati Uniti.

In questi mesi di guerra, il dollaro si è molto apprezzato sull’euro. L’economia americana, in particolare il comparto energico e militare, sta moltiplicando i profitti. il conflitto in Ucraina sta smentendo anche la narrazione dell’Occidente unito e faro di valori e democrazia nel mondo. Oggi le pressioni inflazionistiche e i timori di recessione attanagliano molti Paesi.  In Nord Africa e in Medio Oriente, la carenza di energia e di cibo ha sollevato la prospettiva di disordini politici simili a quelli della Primavera araba. Queste preoccupazioni stanno generando un notevole sentimento anti-occidentale in gran parte del Sud globale. Mentre una Russia dotata di armi nucleari non mostra alcuna volontà di porre fine a una guerra che i suoi leader non possono permettersi di perdere, l'Occidente - come ha scritto Newsweek, rivista non certo sospettabile di simpatie per il Cremlino - sta rapidamente perdendo il resto del mondo, minando così l'ordine internazionale basato su regole che ha cercato di creare. E in questo scenario, l’Europa, senza difesa comune e con politiche ondivaghe, rischia di essere il classico vaso di coccio.