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Politica

Mid Term

21 November 2022
Francesco Olivieri

Dopo il danno, la beffa. Il voto dell’8 novembre ha ringalluzzito Biden, e scosso la fama di invincibilità di Trump in seno al partito Repubblicano. Il diffuso tabloid “NY Post” è uscito con la prima pagina interamente dedicata a una sparatoria in periferia, e solo a piè di pagina porta il titolo “Cittadino della Florida fa un annuncio” - e rimanda alla pagina 26 del giornale per la cronaca della dichiarazione di Trump, il giorno prima, a conferma della sua intenzione di presentarsi alle elezioni presidenziali del 2024.

Le recenti elezioni americane di metà mandato si sono dunque concluse con un udibile sospiro di sollievo, partito dalla Casa Bianca e rimbalzato da Capitol Hill, mentre lo spoglio degli oltre 112 milioni di votanti, un record, è oramai agli sgoccioli.

Il risultato indiscusso, alla dura luce del giorno, è che non vi è traccia della attesa “onda rossa”, cioè della strombazzata valanga Repubblicana; non solo i Democratici non sono stati sbaragliati, ma al contrario - tra i Repubblicani - i candidati che hanno più duramente pagato il prezzo della sconfitta sono risultati proprio quelli che erano stati appoggiati da Trump. Niente ondata, dunque; anzi risacca.

Mentre ancora i numeri finali non sono tutti disponibili, Biden si avvia già fiducioso ad affrontare il prossimo e conclusivo biennio di questa presidenza, conservando se non migliorando la preziosa maggioranza al Senato, mentre il danno alla Camera si è rivelato inferiore a quanto previsto, mal che vada concedendo ai Repubblicani solo un risicato vantaggio. E in più il bottino dei Democratici comprende anche il guadagno di almeno alcuni dei seggi di Governatori in ballottaggio in nove Stati; strappati al partito avversario, sono un investimento per le elezioni future.

Fin qui i numeri principali.

Cosa se ne conclude? Un successo Repubblicano abortito, più che una vittoria Democratica.

La scelta pro-Trump del G.O.P. (Grand Old Party) si è rivelata l’ennesima iterazione del pifferaio di Hamelin, che - nella celebre favola - col fascino della sua musica rapisce i giovani del villaggio, e ne provoca la rovina. O era invece Mangiafuoco nel paese dei balocchi? Resta che per Trump il tentativo di riaffermare il controllo del partito, un esercizio urgente e problematico, ha reso necessaria la sua precipitata discesa in campo di ieri sera; è stata un frutto della sconfitta (sarebbe stata pleonastica in caso di vittoria) ma non la cancella, anzi è segno di preoccupazione; e infatti ha già un rivale, De Santis, che non ha la sua stessa presa personale sull’elettorato, ma che si presenterà come un candidato non meno conservatore e più credibile, come politico e come aspirante capo dell’esecutivo. Ricordiamo che la Florida, di cui è il governatore, è uno Stato più grande della Grecia, con 22 milioni di abitanti: il terzo negli USA per popolazione, dopo California e Texas.

Il commento provocatorio del NY Post si è diffuso come un incendio nella foresta, inarrestabile. Dunque, nel momento stesso in cui Trump rinfocolava la sua presa sul partito, dimostrava come fosse vulnerabile, e non vincente nell’insieme della nazione. Resterà al G.O.P. di scegliere la sua futura rotta: confermare la delega politica a Trump, incoronare il rivale apparente De Santis, o dedicare l’anno venturo alla ricerca di un leader capace di riportare il partito nei favori della maggioranza moderata senza perdere l’energia dei sanculotti trumpisti.

Sul piano nazionale, gli effetti di questa elezione potranno farsi sentire attraverso i nuovi equilibri, che nel paese saranno messi in atto dalla rinnovata “équipe” parlamentare di Washington. Anzitutto, sarà inevitabile un avvicendamento alla Presidenza della Camera. Nancy Pelosi, il parlamentare di maggior successo in questo secolo, dovrà cedere il podio a un Repubblicano (esistono al momento un paio di candidati), mentre al Senato resterà il Democratico di New York, Schumer, forse con una maggioranza più solida che in passato se si concluderà favorevolmente in dicembre il ballottaggio in Georgia per l’ultimo seggio senatoriale ancora in lizza. La conferma del candidato attualmente in testa, un Democratico, metterebbe il partito in grado di silenziare il suo più pericoloso “franco tiratore”, il Senatore Democratico Manchin della West Virginia (uno stato dove Trump è forte). Manchin ha più volte praticamente messo il veto ai disegni di legge di Biden, giudicati “troppo ambiziosi”. Se Biden sarà capace di lavorare con la Camera, il passaggio conclusivo al Senato dei suoi disegni di legge non dovrebbe più essere altrettanto aleatorio.

È un grosso “se”. Una Camera senza Pelosi al timone può anche essere più difficile di un Senato con Manchin; se però lo scarto finale resterà limitato, il biennio finale del mandato di Biden potrebbe essere gestibile. Cosa farà allora Nancy Pelosi? Non si prevede che possa voler restare. E poi gli USA non hanno un Ambasciatore a Roma da ben due anni; nel corso della sua lunga carriera Nancy ha già incontrato personalmente praticamente tutti i politici italiani che hanno mai varcato l’oceano; chissà.

Va notato che le prime prese di posizione dei nuovi eletti Repubblicani alla Camera potrebbero indurre a concludere che il loro partito abbia stravinto, anziché deluso: guerra a oltranza, il programma politico di questa ala del partito sembra ridursi esclusivamente agli scontati attacchi personali contro Biden, suo figlio, e Nancy Pelosi. Ciò è coerente con la vecchia tattica di impedire al governo in carica di fare alcunché, senza riguardo per le necessità della nazione. Ha funzionato bene con Obama, e nella prima metà del mandato di Biden; sarà aggravata nella seconda.

Al Senato, invece, tutto come prima: i Repubblicani saranno guidati da Mitch McConnell, ed è un altro sgarbo a Trump che non ne ha apprezzato il posizionamento dopo la rivolta del 6 gennaio, forse il segno di una svolta.

Eppure, il voto dell’8 novembre ha sgonfiato le vele del tycoon di Mar a Lago.

I Democratici, avendo contenuto le perdite e anzi forse guadagnato qualcosa al Senato, continueranno faticosamente a governare; i Repubblicani, divisi oramai nettamente tra coloro che credono indispensabile ricompattare la coalizione formata da Trump nel 2016, che ora barcolla, e coloro che lo vedono come un elemento già prezioso a suo tempo, ma ormai dannoso, dovranno scegliere il candidato per il 2024. Le elezioni non hanno confermato Trump, ed anzi hanno aperto il campo a possibili sfidanti. De Santis ha dimostrato, in uno Stato in cui sono preponderanti gli elettori della destra, di poterli compattare e portare al successo elettorale senza Trump, se non contro di lui, che allora, invece di collocarsi come punto di incontro di una coalizione della destra, finirebbe con esserne invece il fattore disgregante. 

In origine, il suo trionfo si è dovuto alla sua capacità di dar corpo alle paure di un vasto numero di americani, che temono di aver già vissuto il declino del paese per colpa dei progressisti (accusati di ambizioni smisurate, fuori dalla portata del paese e contro il volere dei suoi cittadini). Trump ha individuato questo serbatoio di timori e di risentimenti, che scavalca le differenze di censo e di cultura, e ne ha fatto un’arma politica temibile - ma ora non è più solo sua.

Il contributo politico di Trump ai Repubblicani è stato quello di risolvere un vecchio dilemma: come incanalare verso il partito, che perdeva consensi, una nuova demografia comprendente la crescente etnia latina, potenzialmente attratta dalla sinistra per ragioni di censo, ma anche dalla destra per la tradizione culturale conservatrice in materia di famiglia. In più, spesso resa irriducibilmente avversa alla sinistra dall’esperienza nei paesi di origine con regimi autoritari di quel colore.

Per contro, il dibattito sull’aborto, causato dalla recente sentenza che lo depennava, emanata da una Corte Suprema di orientamento conservatore rovesciando decenni di tolleranza, ha avuto un ruolo rilevante nel radicalizzare l’elettorato spingendo il voto femminile verso i Democratici, ma anche parte di quello latino verso i Repubblicani. Assieme alla “generazione Z”, quella dell’ultimo decennio del secolo scorso, sono stati i voti pro-aborto (giovani donne in massa) che hanno salvato Biden da una probabile sonora sconfitta; ma hanno scavato una trincea, e possono aver favorito la latente spinta conservatrice degli americani di origine latina.

Oggi si addensano nuvole sul futuro dell’ex-Presidente, sul quale getta un’ombra anche il proseguimento, anzi l’intensificazione delle procedure legali in corso contro di lui. Alle consuete accuse di evasione fiscale ed altre malversazioni economiche, si aggiunge l’ombra minacciosa di dover rispondere per reati compiuti nell’esercizio della Presidenza o al momento della transizione, che vanno dall’istigazione a delinquere per i fatti del gennaio 2021, all’infrazione delle norme sui segreti di stato.  Non è chiaro fino a che punto il partito lo difenderà; avrà i mezzi per ostacolare ogni iniziativa Democratica in quel senso, grazie al controllo della Camera. Si vedono ora nella “nomenklatura” alcuni segni di distacco, di cui sono protagonisti i vecchi guardiani del G.O.P., come McConnell e altri della sua ala parlamentare, rispecchiando quelli dei suoi elettori che pensano al futuro del partito più che a quello dell’ex-Presidente.  Vista la pallida figura dei candidati da lui avallati in questa tornata, che segue la sua sconfitta del 2020, e nel dubbio che il suo momento sia passato, i Repubblicani potrebbero concludere che non sia saggio saldare per sempre la sua figura alla rispettabile storia di un movimento che vanta un passato importante nella storia del paese, e non sia necessario invece portare alla leadership altri personaggi meno discutibili; e certamente non vedono la necessità di affondare con la nave.  Ma non ci si deve illudere: tutto ciò non vuol dire passività.

Aspettiamoci che il controllo della Camera dia ai Repubblicani l’occasione per un assalto continuo e a tappeto contro Biden ad personam, direttamente e attraverso la persona del figlio, che ha dei lati oscuri e che non sarà più al riparo della autorità del padre. Aspettiamoci commissioni di inchiesta, e tentativi di procedere all’ impeachment del padre, che potrebbero - qualunque sia alla fine il loro fondamento e il loro esito - precludere la via per un rinnovo del mandato.

Se oggi il paese resta diviso, le elezioni del 2024 potrebbero vedere una divisione anche più aspra.

C’è da pregare che ciò non avvenga; in materia di miracoli, la preghiera resta ancora il ricorso più efficace.