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Politica

Generazioni a confronto

20 May 2022
Francesco Olivieri e Madeline Brandt

Ciao Maddie,

buffo che un anziano europeo in America e una giovane americana in Europa si incontrino sul web e scambino opinioni sulla nuova generazione, che si trova sul punto di prendere possesso di questo mondo e di far fronte a nuove inattese sfide globali: una interminabile pandemia, una nuova guerra improvvisa che divampa incontrollata, l’incerta economia, l’ambiente in declino, la crescente divisione nelle nostre società…benvenuti ad un futuro impasticciato! Con questa eredità, come immagini la strada che abbiamo innanzi? Quando avevo la tua età, l’Europa stava ancora leccandosi le ferite della seconda terribile guerra in trent’anni, e c’era abbondanza di animosità politica, ma ripensandoci oggi, deve esserci stata anche un’aria carica di promesse, compresa la folle idea di unire l’Europa per volontà comune, dopo aver fallito per secoli provandoci con la forza delle armi. Eppure, il 2022 sembra tanto come il 1922 se si guarda alla polarizzazione in seno alle nostre comunità.

 La mia generazione, la “Generazione Z”, è cresciuta con abbondanza di tecnologia a disposizione sin dall’inizio delle nostre vite. Sono una donna di 21 anni, sul punto di entrare nel cosiddetto “mondo reale”, e sto attualmente facendomi strada tra gli effetti che l’era della tecnologia ha rovesciato su di noi. I nostri tempi hanno dimostrato che ci troviamo in un’era di estrema e costante comunicazione. Hai voglia di una video-chiamata con persone che stanno dall’altra parte del mondo, con sei ore di fuso orario di distacco? Facile, premi qualche bottone ed eccole sul tuo schermo. Potrebbe sembrare che più tecnologia voglia dire più collegamento culturale, ma in realtà è più complicato di così.  Si può sostenere che il mondo si trova ad un punto di disuguaglianza e divisione che sarà difficile riparare in tempi brevi. Questo porta al quesito se le generazioni future siano pronte o magari anche abbiano voglia di riunire il mondo al di là di quanto faccia di per sé il progresso tecnologico. La nostra generazione possiede gli strumenti per mettere in atto un cambiamento, ma il quesito è se vorrà farlo.

Tecnologia vuol dire strumenti. Col tempo, cresceremo e potremo usarli anche saggiamente per il loro incredibile potenziale. Per la generazione che seguirà la tua, saranno scontati. Pensa come ognuno sia già oggi potenzialmente in contatto con chiunque altro in tempo reale. Come la vita di ciascuno sia arricchita dalla possibilità di restare in contatto con le persone che contano nella sua vita, senza badare a tempo e distanza…il nostro pianeta si è ristretto. Di conseguenza, ci sono anche meno chilometri quadrati per ognuno di noi, meno risorse da estrarre dalla terra. Compiti che richiedevano lavoro sono ora automatizzati. Saremo capaci di trovare nuove maniere per estrarre sforzo da ciascuno, dire che è lavoro, e compensarlo per distribuire equamente l’abbondanza del pianeta?

Questa insicurezza non è niente di nuovo, e generazioni che ci hanno preceduto hanno sperimentato la stessa ansietà di entrare in un mondo instabile. C’è la sensazione che fino alla nascita siamo uguali, ma con la nascita l’uguaglianza finisce. Vorrei essere ottimista per il futuro della prossima generazione, ma la mia opinione nasce dall’esperienza di questi anni formativi durante i quali c’è stata una nuova insolvibile crisi mondiale ogni pochi anni. Mentre la successione delle crisi si accelera, la convergenza globale che sarebbe una virtù risolutiva diventa via via più lontana. Ciò detto, in questi tempi lo spettacolo delle atrocità che hanno luogo in Ucraina, assieme all’esperienza della pandemia in corso, mostrano dove rivolgerci per cercare di riunire il mondo. Possono le nuove generazioni che attualmente o presto nel futuro si affacciano all’età adulta dimostrarsi differenti dai loro predecessori e imparare dal casino che gli è stato regalato?

L’ingresso nell’età adulta sembra ora molto differente eppure anche molto simile a quello delle generazioni passate. Abbiamo tutti lo stesso generico incubo che il lavoro che stiamo compiendo finirà in infelicità o fallimento invece di raggiungere quanto avevamo sognato all’inizio. Ho paura che ci troveremo dinanzi a uno di quei blocchi che noi giovani ci troviamo dinanzi quando puntiamo verso le stelle. Ci proviamo, ma siamo respinti dalla immobilità della nostra società. È per questo che gli studenti che escono da una laurea, un dottorato ma anche perfino da un liceo, si scontrano con una apprensione che li blocca prima ancora di poter provare a realizzare i loro sogni. E‘ triste che quando ero più giovane tutti gli “adulti” mi incitavano ad alzare la mira e perseguire i miei sogni, mentre il mondo che loro avevano creato me lo impediva.

Credevamo di aver risolto tutto con le Nazioni Unite. Poi cinque anni dopo c’era la guerra in Corea, dove non abbiamo neanche più fatto la pace. Ma molto è cambiato: guardando dove siamo ora, presto dovrai affrontare decisioni per la tua carriera, presumibilmente in America dove hai ricevuto la tua educazione, a avrai una possibilità di dar forma al tuo futuro, il tuo e quello della tua nazione allo stesso tempo. Quando sono cresciuto io, sulla carta le donne avevano le stesse possibilità di educazione dei maschi, salvo che nella pratica non funzionava così. Nella mia classe di Ingegneria a Roma alla Sapienza potevano esserci quattro o cinque donne su 1500 matricole, mentre il rapporto era rovesciato a Lettere (che portava spesso a una vita di insegnamento). Per la prima volta nella storia, quando ho fatto gli esami per la carriera diplomatica nel 1967, due donne lo hanno superato (e hanno brillato nella carriera); non ebbero nessun trattamento particolare, semplicemente si sono presentate e hanno vinto. Fino a quel giorno, a nessuna donna era stata permesso farlo. Sembra tanto tempo fa… e certamente lo è. E adesso è la competitività che decide la partita.

Il mio accesso all’età adulta avviene ben lontano da una società coesa, siamo puntati l’uno contro l’altro fin dall’inizio. Come donna, ancora di più. Le promesse dovrebbero farmi sperare che invece di lottare gli uni contro gli altri, e aggravare la crepa tra di noi, cercheremo di includere tutti nelle possibilità che si offriranno per salire i gradini della società. Un esempio potrebbe essere il mio, una donna, se potessi affrontare lo studio della Giurisprudenza senza dovermi tropo preoccupare di dover lavorare di più dei miei colleghi maschi. La discriminazione di genere naturalmente fa parte del mondo della disuguaglianza, ma non è il punto focale di questo articolo, quanto piuttosto l’immagine del livello di competizione che esiste nel mondo adulto. Questa competizione può zittire le voci di chi viene a credersi inadeguato a perseguire obiettivi cui pure aveva potuto ambire in passato. Al liceo, sognavo di frequentare un College della ambita “Ivy League”, poi studiare Giurisprudenza e magari perseguire un dottorato o una libera docenza. Questo è ancora possibile, almeno per gli studi post-grado, visto che sto per laurearmi all’Università del Minnesota (non Ivy League!) ma sento di aver perso delle occasioni per effetto della vita e dell’ambiente in cui sono nata e cresciuta. Sia chiaro che so di essere privilegiata con quello che ho, dovuto al duro lavoro che i miei genitori hanno affrontato per offrirmi le possibilità che ho avuto. Ma volevo usare questo esempio per segnalare come qualcosa che dovrebbe essere ovvio, come l’accesso ad una ottima educazione, possa diventare un confronto in cui i più privilegiati vincono. La posta in palio sono le possibilità di perfezionare l’educazione proseguendo gli studi post-grado, e poter scegliere ampiamente tra le diverse università.

In America cose come l’educazione e la sanità, che si potrebbe pensare non dovrebbero essere oggetto di dibattito politico, invece lo sono. L’America è la nazione più divisiva che abbia conosciuto nella mia corta esistenza. In Europa ormai da qualche mese, ho visto che l’accesso alla sanità e a una buona educazione a costo ragionevole sono argomenti quasi del tutto apolitici. Il raffronto con l’America offre un buon criterio per capire il punto di partenza da cui proviene una come me.  Sono cresciuta in un ambiente molto più divisivo di quello che ho trovato in Europa. Mi rendo conto che la mia visuale può essere inaccurata, ma da una prospettiva esterna appare che in Europa ci si preoccupi molto di più del benessere degli altri esseri umani che vi circondano. In America siamo molto più individualisti, e siamo fissati sui vantaggi personali che ci riguardano direttamente piuttosto che sull’insieme della nazione. Questo aspetto dell’Europa mi fa ancora sperare che la società non abbia completamente perso gli ultimi residui di unità e gentilezza.

Eppure, si potrebbe citare l’argomento che è la competizione che fornisce un vantaggio alle nazioni quando i frutti più a portata di mano sono stati già colti, e la pressione sociale obbliga aestendersi sempre più in alto. La questione è di capire dove si trova l’equilibrio tra preparare il terreno a chi può infrangere i record (accettando che vi saranno retroguardie distaccate) e l’alternativa di tenere la tribù tutta insieme in modo da non lasciare indietro nessuno, ma a prezzo di progredire più lentamente. La riposta più ovvia è che la due scelte possono coesistere, e l’America per un paio di secoli non se l’è cavata tanto male. Ora è più difficile, siamo tanti, vogliamo essere più inclusivi, abbiamo meno risorse nuove da inserire nel sistema, e maggiori aspettative che vengono assieme al più elevato livello di educazione. Però se la competizione è il carburante che fa girare il motore, hai pur sempre bisogno di quest’ultimo: sono gli umani che compongono le nazioni; non puoi semplicemente lasciarli nella scia.

Dopo questa breve analisi dello stato della mia generazione mentre affronta i nostri giorni, devo fare qualche concessione se voglio avere delle soluzioni fattibili. Davvero sono convinta che queste soluzioni funzioneranno? Può qualcuno risolvere la divisione e la disuguaglianza che esistono nel mondo? Sono domande che restano nella mente, mentre vorrei avere speranza ma temo che ci sia un punto di non ritorno e credo che non ci siamo ancora del tutto. Quel punto esiste in uno spazio in cui il mondo ha perso completamente l’obiettivo di tenere assieme l’umanità e diminuire le diseguaglianze che esistono; e resta solo l’obiettivo di competere tutti per il primo posto. Ciò detto, credo che il primo passo per progredire sarebbe semplicemente di parlarci. Per quanto possa sembrare troppo facile, il fatto è che molti, non solo nella mia generazione ma anche nelle altre, ignorano le conversazioni che dovremmo avere. L’interazione tra umani apre la porta a un dialogo inter-culturale che può ridurre le invisibili barriere tra di noi. Ascoltare quello che ciascuno ha da dire, anche se nient’altro cambia, può aprire la mente e creare uno spazio dove si potrà costruire. Eppure per la maggior parte della mia esistenza, spesso ho incontrato la completa incapacità di sentire o ascoltare qualcuno in una conversazione, qualunque fosse l’argomento.

La tecnologia ha soltanto rinforzato questa tendenza, perché i “social media” consentono a una persona di estendere la propria voce all’altro capo del mondo, ma gli consentono anche di restare comodamente all’interno della propria bolla di voci e di conoscenze. È quello che si chiama una “camera dell’eco”. Se ne trovano in tutti i social media, perché quando entri su un programma o su un sito, il sistema individua le tue scelte e poi ti spinge verso le tue passioni e aspirazioni, e l’algoritmo continuerà a proporti sempre di più quanto pensa ti interessi. In questo modo si assicura che continuerai a vedere solo le cose che vuoi vedere, perché altrimenti non useresti più quel programma. Così tecnologia e social media consentono l’abolizione delle interazioni naturali.

Auto-rafforzamento automatico: sembra davvero un orrore. Non vedi qualche luce alla fine del tunnel?

Le mie speranze per il futuro della prossima generazione sono di vedere una società meno divisa. In una simile società vi sarebbero delle possibilità per esplorare le proprie passioni e aspirazioni, senza l’incertezza su come sostenersi mentre lo si persegue. In questa società dovrebbe anche esserci posto per preoccuparci gli uni per gli altri in un modo che è mancato sia nel passato che nel presente. Vorrei vedere un vero cambiamento, non solo in America, ma ovunque nel mondo, del modo in cui si vive la propria vita e ci si vede gli uni con gli altri, senza riguardo per il posto di ciascuno nella società. Le mie preoccupazioni al momento dell’ingresso nel mondo reale sarebbero alleviate se queste speranze giungessero a realizzarsi. Le prossime generazioni possono aprire la via a una nuova età, che saprà volgere la tecnologia al fine di combattere la disunione che ci ha oppresso così a lungo.

Amen. Oh, ma non credo che saremo liberi dalla preoccupazione. Senza di essa, quale sarebbe il motore che spingerebbe avanti l’umanità?

 

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Madeline Brandt, studentessa dell'University of Minnesota, ha trascorso nel 2022 un periodo di tirocinio al CeSPI