Europa 2024, guai stare nel mezzo

Marco Bentivogli
co-fondatore di BASE ITALIA

Ci avviciniamo rapidamente al rinnovo del Parlamento Europeo. Nel 2019 la divisione marcata tra forze apertamente nazional populiste e anti-europeiste che spingevano per l’uscita dall’Euro e forze dichiaratamente europeiste è stata, paradossalmente, una chiave positiva per dare vivacità, partecipazione e slancio al dibattito sull’Europa.

Lo scenario è cambiato. Lo scontro commerciale e politico tra Usa e Cina, l’invasione russa dell’Ucraina, il determinarsi di nuovi equilibri orientati a un disordine multipolare piuttosto che a un ordine multilaterale, richiedono un ruolo sempre più forte dell’Unione europea.

Eppure l’Europa è più divisa oggi che nel 2019. Il fronte sovranista si è ridefinito e riarticolato e ora, per la prossima Commissione, si profila un accordo tra conservatori e popolari. Troppe le incertezze e le timidezze che hanno indebolito il fronte anti-sovranista a cominciare dall’Italia dove

a fronte di legami strutturali sempre più stretti con i partners europei – i paesi dell’Unione continuano a rimanere di gran lunga lo sbocco principale per le imprese italiane – le ultime elezioni hanno consegnato per la prima volta il Paese alla guida di forze dichiaratamente euroscettiche e orgogliosamente sovraniste.

Peraltro occorre riconoscere come il burocratismo, l’inefficacia decisionale, la scarsa legittimazione popolare, eterogeneità delle condizioni nelle diverse regioni restano il terreno su cui i sovranisti giocano la partita contro le istituzioni di Bruxelles. In realtà, gran parte di questi fallimenti sono dovuti al ruolo preminente degli Stati nazionali e ad una scarsa cessione di sovranità alle istituzioni comunitarie: questo processo si è realizzato solo in ambito di politica monetaria con la nascita della BCE, mentre le politiche fiscali e industriali, rimaste in mano ai governi nazionali, sono scarsamente efficaci senza capacità di investimento sovranazionale È come non far arrivare l’acqua all’orto e arrabbiarsi se le piante si seccano.

Alle elezioni europee del 2024 il progetto europeo arriva quindi ammaccato. ma l’Europa unita è e resta la soluzione, non il problema, serve un’inversione di rotta. Oggi parlare di “ever closer Union” ovvero di Unione sempre più coesa, senza che le persone abbiano chiare le ricadute pratiche sulla loro vita, serve solo a dare ulteriore carburante ai populisti-sovranisti che stanno agitando il clima pre-elettorale in vista delle prossime elezioni europee del 2024.

Anche di fronte a quanto sta avvenendo tra Russia e Ucraina occorre riconoscere che l’argomento dell’Unione europea come spazio privo di conflitti e costruttore di pace, ha molta presa sulle generazioni che hanno vissuto le guerre mondiali e il loro portato di morte e distruzione ma per le nuove generazioni che hanno sempre vissuto nella pace e conoscono la guerra dalle tv “all-news” l’argomento non è altrettanto forte. Per questo non si può stare nel mezzo, bisogna impugnare la causa dell’unità europea e motivare le proprie convinzioni tra le persone.

Completare il disegno europeo significa ridurre le disuguaglianze tra le regioni, integrare i sistemi formativi, assumere il pieno controllo delle politiche economiche e fiscali, avere un sistema di difesa comune, eleggere direttamente il Presidente degli Stati Uniti d’Europa.

Tutto questo va compiuto avendo consapevolezza di quanto sia cambiata la società europea – si pensi alle nuove tendenze demografiche – e quindi quanto e come debba essere riformato il mondo della produzione. Ripensare i lavori fuori dai paradigmi e dalle convenzioni giuridiche del ‘900 può liberare energie impensabili così come ridefinire il welfare per ritrovare il consenso e l’adesione delle grandi masse al progetto comune. Finora l’Unione non si è mai direttamente occupata di questo ma proprio l’orizzonte di un welfare comune potrebbe essere quella nuova frontiera capace di dare nuova linfa e spinta propulsiva al sogno europeo. Brexit, a Ovest, Erdogan a Est sono due esempi che dimostrano quanto il sovranismo nella pratica sia nocivo e contrario agli interessi dei lavoratori.

Siamo alle porte del secondo balzo in avanti dell’umanità in termini scientifico tecnologici. La ricerca sta già offrendo e offrirà sempre di più una capacità di abitare in modo più intelligente il pianeta per chi saprà cogliere la sfida su campo aperto.

Progettare lavori, opere, ecosistemi a #umanitàumentata rilancia un’impresa e la rende non solo più forte ma il luogo di costruzione condivisa del futuro. Il nostro continente può essere lo spazio di realizzazione di queste nuove architetture sociali, economiche, industriali. L’Unione europea può diventare la piattaforma di impulso di un mondo aperto libero, sostenibile e solidale, le alternative a questi valori sono dall’altra parte. Bisogna scegliere.

Se di sovranità bisogna parlare, allora parliamo di quella industriale e tecnologica. Dobbiamo riconquistare una sovranità europea autonoma ma non equidistante, tra Cina e Stati Uniti. Intelligenza Artificiale, reti cloud, robotica, ricerca di base e applicata, etc. meritano una capacità europea che non si fermi a costruire buoni regolamenti (vedi Gdpr) ma a elaborare nuovi standard (come avvenne per il Gsmnelle tlc), come dovrebbe avvenire per le reti cloud (con Gaia X). Su questo, si può ricostruire una leadership globale, centrale e di orientamento degli stessi G2, Stati Uniti e Cina, capace di aggregare campioni europei in tutti i settori. Altrimenti, senza la capacità di revisione dei trattati (a partire dalla concorrenza), e quella di revisione del patto di stabilità, molti Governi che hanno promesso cose irrealizzabili, alla vigilia delle elezioni europee, tra un anno torneranno a dare la colpa all’Europa, quando invece la mancanza di risultati è figlia proprio dell’incoerenza e inaffidabilità delle leadership sovraniste innanzitutto nei confronti dei loro elettori, quindi del proprio Paese e infine dell’Europa stessa. Per questo non deve essere lasciato solo alle istituzioni e ai gruppi parlamentari il rilancio del sogno europeo ma deve essere portato al centro del discorso pubblico e della società civile europea.

Ma servono gruppi dirigenti, élite in ogni ambito con queste visioni e capacità. Storicamente hanno portato avanti il progetto europeo, leadership centrali agli schieramenti politici, come Adenauer, Schuman, De Gasperi, poi Kohl e Prodi.  Tutti e 5 cattolici, i primi tre, uomini di frontiera, perseguitati dalle dittature nazifasciste.

Chi ha a cuore il destino dell’Unione non può prescindere da questa eredità, da queste biografie.

Per la sinistra e tutti gli europeisti c’è un bivio, non irrilevante, inseguire i populisti (come fece Corbyn) nei loro progetti più miopi o abbandonare, tutta la retorica dell’“Europa si, ma” e dare tutte le proprie energie migliori al completamento del sogno europeo. Non vi sono solo ragioni “ideali” per seguire con determinazione la seconda strada: tornare a lavorare seriamente per il sogno europeo è conveniente ed urgente. In questa fase, le sfumature, gli atteggiamenti rinunciatari sono più pericolosi della demagogia.