All'Unione europea del futuro serve una visione “olistica”

Giorgio Perini
Presidente di Dialoghi Europei

E se i “sentieri” dell’UE del futuro dovessero divergere?

Vero che i quattro “sentieri”, di cui parla Giorgio Benigni nella sua nota introduttiva a questo forum, dovrebbero convergere in una meta comune. Del resto sono stati previsti dalla Commissione europea proprio a questo scopo, per strutturare i lavori della Conferenza sul futuro dell'Europa in modo ordinato ed organico. Ma che succede se qualcuno di questi sentieri porta in direzione contraria rispetto agli altri?

Non è solo un rischio teorico, ma quello che sta succedendo tra la macro area 1 “democrazia e valori europei, diritti e stato di diritto, sicurezza” e la macro area 4 “UE nel mondo”, perché a mio avviso lo strabismo tra i princìpi e le politiche europee praticate in queste due aree è sempre più evidente, con particolare riferimento alle migrazioni. Detto in termini più brutali, noi europei rischiamo di essere percepiti sempre di più come quelli che “predicano bene” ma “razzolano male”, arroccandosi nei loro privilegi, decantando i loro valori fondanti, e allo stesso tempo scavando un fossato sempre più profondo rispetto ai cittadini del mondo meno fortunati. E non basta: rischiamo anche di perdere ogni credibilità morale per i paesi che puntano all’adesione all'UE (penso ai Balcani occidentali in primis), se non – peggio ancora- di diventare cattivi maestri, cioè di esportare disvalori anziché diritti umani (anche se, non va dimenticato, questi ultimi vanno accoppiati ai doveri, come ci ricorda la “dichiarazione di Trieste dei doveri umani”, fortemente voluta in particolare da Rita Levi Montalcini).

L’impressione è che la Commissione europea, “guardiana dei Trattati”, svolga il suo ruolo un po' troppo a “scompartimenti stagni”.  Normale che l’UE non sia un monolito e gli esempi di carenza di coordinamento tra le direzioni generali della Commissione europea, su dossier specifici, si sprecano, ma ci sono sfide epocali che richiedono un cambio di passo. E quella delle migrazioni, abbinata alla “trappola demografica” del vecchio continente, è certamente una di queste!  Mentre a Bruxelles – e non solo - si parla sempre più spesso di approccio “olistico” ai problemi, è proprio l’UE che sembra dimenticarsene.

Perché è vero che la costruzione europea era stata inizialmente pensata per far fronte a pericoli che erano sempre venuti dall’interno del continente, non per rispondere alle criticità esterne e neanche per rappresentare un esempio per altre aree del mondo, ma di fatto i 65 anni trascorsi dai primi mattoni della casa comune europea hanno prodotto – e dovremmo esserne fieri- proprio quest’ultimo risultato,  cioè di rappresentare un esempio di area pacificata, economicamente fiorente,  portatrice di valori fondanti che rappresentano altrettante garanzie per i propri cittadini, tra cui la prospettiva di poter dare un futuro ai propri figli. Insomma, una sorta di “faro”, anche e soprattutto verso l'esterno, forse al di là delle più rosee aspettative. Dovremmo ora ammettere, davanti al resto del mondo, che tutta la costruzione del sistema dei valori europei, dello stato di diritto, dei diritti umani e della loro tutela è solo un castello di carte che, non solo non riusciamo (il che può essere giustificabile), ma non ci impegniamo nemmeno a difendere, non appena usciamo dai confini esterni dell’UE?

I “due pesi e due misure” non pagano

Rispetto ai Balcani occidentali per esempio, dopo 30 anni dal vertice di Salonicco e tutte le iniziative di promozione dei diritti umani, e soprattutto delle minoranze, in quell'area, risulterebbe difficilmente credibile una politica estera garantista nei loro confronti che allo stesso tempo tolleri qualsiasi privazione dei diritti umani ai migranti che quei Paesi attraversano, premiando chi facesse da argine ai confini esterni UE respingendo brutalmente i migranti o addirittura internandoli in “campi di detenzione”, se non in vere e proprie gabbie (come è già successo).

E se per caso ci fossimo illusi che le cattive pratiche, tollerate se non incentivate purché i paesi di partenza bloccassero i flussi migratori, non sarebbero state emulate nella riva sud del mediterraneo, ecco che la Tunisia del presidente Saied ha già messo fuori legge tutti gli immigrati subsahariani (clandestini), facendo perdere loro il lavoro, senza considerare che in molti casi erano indispensabili a garantire il funzionamento di tante attività economiche tunisine, pur di ricattare l’Europa, e l'Italia in particolare, con la minaccia (che si sta già concretizzando) di un flusso biblico di migranti subsahariani.

Di certo è disattesa la solidarietà esterna dell'UE verso le emergenze nel resto del mondo e gli effetti sulle popolazioni, ma lo è anche la solidarietà interna all'UE, e non mi riferisco al superamento degli accordi di Dublino, ma alla percezione del tutto insufficiente della trappola demografica alla quale stiamo andando incontro, che richiederebbe un mix di politiche verso l’immigrazione ben diverso e più articolato. Se la messa in comune di risorse come il carbone e l’acciaio, o della moneta, sono ormai consolidate, forse la maggiore sfida per l'Europa del futuro è la valorizzazione e condivisione delle risorse umane, guardando a tutto il pianeta?

Per riparare a queste, che a me sembrano deviazioni dallo spirito originario della costruzione europea, basterebbe pensare - ad architettura istituzionale inalterata - ad un maggior coordinamento tra le differenti “anime” dell'UE, soprattutto in vista delle grandi sfide che continueranno a rappresentare le priorità dei prossimi anni, ma più probabilmente decenni. Coordinamento che nel TFUE c'è già a cominciare dall'art.7 (“L'Unione assicura la coerenza tra le sue varie politiche ed azioni”). Le stesse norme sull’asilo e l'immigrazione sono inserite nel titolo V del TFUE, il cui articolo introduttivo (art.67) recita “L'Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali….”. E a tale principio deve attenersi, anche al di là del tema delle migrazioni, tutta l'azione dell'Unione sulla scena internazionale (art.205 TFUE)

Ma in pratica? Se il coordinamento “tecnico” assicurato dal segretariato generale della Commissione europea non basta, si potrebbe attribuire una competenza specifica ad uno dei commissari europei (per esempio aggiungendola al portafoglio di Věra Jourová, già competente per i valori e la trasparenza, magari in combinazione con la competenza sulle relazioni interistituzionali in capo al vicepresidente Šefčovič). Al Parlamento europeo intensifichiamo il dialogo tra le commissioni settoriali. Al Consiglio UE istituiamo una figura di coordinamento delle materie oggetto delle competenze di Coreper 1 e 2 per armonizzare l’azione interna e quella esterna in materia di diritti umani, migrazioni e transizione demografica.

In conclusione mi chiedo se il dibattito prodotto dalla conferenza sul futuro dell'Europa sia riuscito a “volare alto”, non limitandosi alle problematiche del presente, ma tentando veramente di anticipare il futuro. E anche se abbia puntato alla sostanza dei problemi, oltre a focalizzarsi sulle procedure. L’interazione tra cambiamenti climatici, spostamenti in massa di popolazioni e dinamiche demografiche rappresenta sicuramente una delle maggiori sfide che abbiamo di fronte. Un approccio genuinamente olistico, che non si fermi ai confini esterni UE né al nostro continente, è l'unico modo per affrontarla!