Nel Mediterraneo si muovono le connessioni tra oriente e occidente

Emanuele Rossi
Analista di affari internazionali e geopolitica, focus su connessioni globali del Mediterraneo Allargato

La guerra russa in Ucraina ha riportato al cuore degli affari globali l’Europa, e con essa il Mediterraneo allargato ha riacquisito una centralità basata sulla connotazione geografica e sulla rilevanza storica e politica degli attori in gioco e di nuovi player interessati al bacino.

Se infatti l’Indo Pacifico è il quadrante in cui si snodano già equilibri e destini dell’incombente competizione tra super-potenze, il Mediterraneo è altrettanto rilevante e potenzialmente collegato.

Suez e il corridoio del Mar Rosso, così come Hormuz e il Golfo Persico, sono tratti di connessione tra Oriente e Occidente. Sponde in comune tra Mediterraneo e Indo Pacifico, collegamento geografico e geomorfologico tra le due regioni. Vi si muovono gli stessi protagonisti, Europa, Stati Uniti, Regno Unito, la Cina, la Russia, l’India, i Paesi arabi, la Turchia.

Ne hanno per esempio percepito il valore gli Emirati Arabi Uniti, che con l’obiettivo strategico della “Collana di perle” ambiscono a diventare i gestori delle rotte di connessione marittima tra gli Oceani orientali e l’Europa. Ne sono testimonianza i due grandi accordi CEPA che Abu Dhabi ha sottoscritto con India e Indonesia. Due intese che sono “parte di un piano dinamico per costruire una rete di alleanze commerciali con alcune delle economie in più rapida crescita del mondo”, per dirla con le parole (economicistiche) di Mohammed bin Zayed.

E con le nuove sfide prodotte dallo scombussolamento del mondo dell’energia (mercato, collegamenti, accordi, geopolitica conseguente), con la crisi alimentare in corso (e in evoluzione), con l’alterazione delle catene di approvvigionamento globali (subita già con la pandemia), queste interconnessioni diventano cruciali. Aspetto interessante — sotto molti versi tutt’altro che nuovo — della dimensione globale del Mediterraneo.

Elemento che comunque calamita le attenzioni delle grandi potenze. Per esempio, l’attivismo russo nel bacino — che storicamente si lega a una necessità di penetrare nel Mediterraneo al fine di creare una possibilità di accesso alle acque calde per una potenza che ha da sempre sofferto le limitazioni dei porti artici — è frutto anche di un’attiva volontà di penetrazione all’interno di queste rotte geostrategiche.

L’ingresso in guerra in Siria nel 2015 è legato alla consolidazione del ruolo del porto di Tartus, sulla costa levantina del Mediterraneo; l’appoggio alle fazioni libiche dell’est è qualcosa di simile, pensando a Bengasi; l’idea di costruire una base extraterritoriale a Port Sudan per sopperire la mancanza di appiglio in uno dei lineamenti talassocratici nevralgici, il Mar Rosso (e dunque il corridoio Suez e Bab el Mandab); e anche la Crimea rientra in questo schema.

La Cina, altro grande attore globale, segue dinamiche simili: l’infrastruttura geopolitica che va sotto il nome di Belt and Road Initiative – collegamento tra Est e Ovest, dove l’est è la Cina e l’ovest l’Europa – ha nello sbocco nel Mediterraneo il suo obiettivo di arrivo. Sbocco che significa tentativo di controllare le rotte (e gli arrivi di quelle rotte) lungo le coste europee ma anche africane.

Non è un caso se la prima base militare extraterritoriale cinese si trova a Gibuti, nel Corno d’Africa. Non sono casuali gli interessamenti su Suez, o l’aggancio logistico nel Pireo e gli occhi puntati ai porti italiani. L’arrivo in Europa da Sud, per ora (almeno fino a quando lo scioglimento dei ghiacci artici non permetterà vie d’acqua alternative) è un lineamento commerciale cruciale. Altrettanto, lo è dal punto di vista militare: è dal Mediterraneo (da Suez e dal Mar Rosso) che parte delle flotte Nato prendono il mare verso oriente.

È conseguenza naturale che tutto questo diventi centro dell’attenzione per realtà come l’Europa, il Regno Unito, gli Stati Uniti: in una parola, la NATO. Se il nuovo Strategic Concept uscito dal recente summit madrileno dell’alleanza segna la Russia come “la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli alleati e alla pace e stabilità nell'area euro-atlantica”, viene anche indicato che “le ambizioni dichiarate e “le politiche coercitive della Repubblica Popolare Cinese (RPC) sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori”.

Inoltre, viene messo nero su bianco che “il partenariato strategico tra la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa e i loro tentativi, che si rafforzano a vicenda, di minare l'ordine internazionale basato sulle regole sono contrari ai nostri valori e interessi”.

La sovrapposizione di questi interessi e di queste continuità sta portando nel Mediterraneo attori differenti, solo teoricamente esterni al bacino. È il caso del Giappone. Qualche settimana fa, il Mediterraneo è stato palcoscenico di una delle attività di integrazione tra Tokyo e l’Occidente quando la fregata missilistica antisommergibile "Nave Margottini" della Marina italiana e la fregata turca "Salihreis" si sono incontrate con le due navi giapponesi "JS Kashima" e "JS Shimakaz" durante il loro transito mediterraneo per la 66esima "Overseas Training Cruise".

“L'interazione di oggi è una grande opportunità per rafforzare la nostra cooperazione e il nostro partenariato", aveva commentato il contrammiraglio italiano Mauro Panebianco dal ponte della Kashima, definendo la cooperazione "reciprocamente vantaggiosa" e basata su “valori comuni”.

Sono esattamente quegli stessi valori comuni che vengono citati nello Strategic Concept, o quelli che il primo ministro giapponese Kishida Fumio ha indicato come a rischio nell’Indo Pacifico per mano delle attività cinesi. Un elemento di collegamento evidente, un asse che si crea tra gli attori del modello democratico — contro cui si muovono i protagonisti del fronte alternativo (qualcuno potrebbe dire “autoritario”). Il Mediterraneo diventa teatro di confronto e connessione.

Non è un caso nemmeno se il vertice NATO, strettamente concentrato sulla violazione di quei valori che l’invasione russa dell’Ucraina ha rappresentato, abbia visto per la prima volta la partecipazione dei leader di Giappone e Corea del Sud. Nello stesso vertice “storico”, per usare le parole del ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, in cui si è rafforzato il concetto di Fianco Sud dell’alleanza.

La ragione dell’implementazione di questa collaborazione Mediterraneo-Oriente sta certamente in quei valori comuni di cui parla il contrammiraglio italiano, il documento NATO o il primo ministro giapponese, ma anche nel ruolo globale della Russia o della Cina. La sfida all'ordine basato sulle regole che è una minaccia per il Giappone — che si è visto circondare da un’esercitazione russo-cinese nei giorni precedenti il vertice spagnolo — tanto quanto per l'Europa.

Sfida che, in questi termini, diventa più complicata quando si allarga ad alcuni protagonisti delle dinamiche del Mediterraneo allargato, come le potenze regionali del Golfo. Con Riad, Abu Dhabi, Doha, impiantare una cooperazione sul tema dei diritti è giusto quanto complesso. L’iniziativa dell’Ue — il nuovo documento di strategic partnership — seguita da quella britannica, e il tentativo di riavvicinamento dell’amministrazione Biden, raccontano come qualcosa stia cambiando in termini di consapevolezza.

Il rischio è che per questi player, come con altri Paesi terzi, sempre più fondamentali nel quadro delle dinamiche globali (e allo stesso tempo sempre più esposti a forme di fragilità), il modello proposto dai rivali delle democrazie, che assiduamente corteggiano quegli stati, risulti più confortevole e allettante. Lo sforzo sta nell’alzare il livello di comprensione reciproca e appoggiarvi le basi di una forma di dialogo articolato.

È apprezzabile come molti di questi Paesi (Arabia Saudita, Emirati, Turchia, Egitto, Giordania, Iran, Qatar) siano attualmente impegnati in un riallineamento, che sarà anche tattico ma per ora è funzionale alla distensione su alcuni dossier regionali annosi. Davanti a ciò, permangono dinamiche di instabilità anche preoccupanti, dal caos libico alla crisi istituzionale tunisina, dalla diatriba tra Algeria e Marocco al rischio economico in Egitto, fino al divampare del terrorismo in Sahel e alle schermaglie nel Levante.

All’interno di certi dossier sono attivi sia gli attori regionali, sia le potenze internazionali che vedono nel Mediterraneo opportunità, interessi e spazi di penetrazione. Il futuro della regione viaggia intersecandosi alle attività costruttive o distruttive che i vari protagonisti – principali o secondari – hanno intenzione di muovere.