La ricerca della necessaria Costituzione per la nuova Libia

Mario Savina
Osservatorio sul Mediterraneo – OSMED (Istit. S.Pio V)

Semanticamente, il termine “Costituzione” indica il momento di costituire la struttura dell’ordinamento e le regole fondamentali dell’istituzione giuridica originaria e sovrana. Essa definisce i caratteri di ogni singola organizzazione sociale, fissando in un determinato modo le regole al fine di inquadrare l’organizzazione dei poteri. Senza tali regole si può evidentemente parlare di una non esistenza dello Stato. In tal senso, quindi, ogni Stato ha una sua Costituzione, scritta o non scritta, in quanto in ogni esperienza statale è possibile individuare un insieme di regole dalle quali discende l’organizzazione degli apparati dei poteri, su cui si basa lo stesso Stato, e che regolano i rapporti tra tali poteri. La possibilità di rintracciare una Costituzione in ogni formazione statale è, tuttavia, una mera questione formale. Diversa è la necessità di investigare sul contenuto “sostanziale” delle Costituzioni. Questa affermazione è particolarmente vera per gli ordinamenti di quei Paesi che fanno parte della regione mediorientale e nordafricana. Qui gli Stati si sono dotati di Costituzioni scritte le quali, secondo quanto detto in precedenza, hanno evidenziato le aspirazioni a cui tali formazioni hanno riferito, sia nell’organizzazione dei poteri pubblici che nella tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. Al contempo, è anche vero che la comprensione di questi testi costituzionali “formali” passa attraverso la lettura di tutti gli elementi che caratterizzano l’intero sistema. La Costituzione deve essere quindi integrata da tutti quei fattori che caratterizzano l’ordinamento statale. Da qui il richiamo al costituzionalismo che, secondo il pensiero classico, definisce come l’esercizio del potere debba essere realizzato e la modalità attraverso cui la tutela dei diritti si concretizza nel singolo ordinamento. Pertanto, non è solo norme e regole, ma rappresenta la modalità attraverso cui si raggiunge la conformità a quelle regole stesse.

In tutti i sistemi giuridici dell’area arabo-musulmana è stata condotta negli ultimi due secoli un’esperienza di ricezione dei modelli costituzionali stranieri ispirati alle ideologie occidentali che sono sfociate in forme di organizzazione statali compiute, con il riconoscimento di principi come la sovranità nazionale, la democrazia rappresentativa, le varie forme di governo, la garanzia per i diritti individuali e collettivi. Tuttavia, in alcuni casi la transizione costituzionale non si è compiuta in maniera definitiva e questo ha causato lo sviluppo di forme di potere autoritario. La mancata conclusione del processo deve essere attribuita a determinati elementi che si sono presentati durante la fase transitoria. In vari Stati dell’area MENA è mancata una condizione necessaria per la Costituzione di uno Stato, ovvero l’identità nazionale. Una buona parte di questi ordinamenti è stata costituita unendo una pluralità di etnie, culture e lingue, i cui confini sono stati tracciati dalle amministrazioni colonialiste. Ciò ha ostacolato la nascita di un unico spirito nazionale. Un altro elemento rimanda alla forte frattura ideologica che ha caratterizzato tali popolazioni, fortemente divise tra la necessità di appoggiare la modernità o la tradizione, specialmente nelle aree più urbanizzate. La presenza di una burocrazia militare è un altro fattore distintivo rispetto alle esperienze giuridiche occidentali. In tutto ciò si innesta anche la componente religiosa. L’Islam si è consacrato quale religione e Stato, e ciò ha avuto come conseguenza la sottoposizione dell’organizzazione della società ai precetti e ai doveri imposti dal Corano. Il credo islamico è diventato la fonte della legittimazione del potere politico, in una condizione in cui è mancato un processo di laicizzazione capace di indirizzare verso una separazione tra potere religioso e potere politico.

All’interno degli ordinamenti dell’area MENA si possono distinguere sistemi che hanno accolto il principio di laicità, tanto caro all’Occidente, ed ordinamenti che, al contrario, accanto ai tradizionali poteri del costituzionalismo occidentale continuano a riconoscere la supremazia della legge religiosa, tanto da mettere in dubbio i principi del costituzionalismo stesso. Il costituzionalismo qui deve essere considerato secondo una lettura peculiare che si allontana dai principi occidentali, proprio perché calato nella realtà della cultura giuridica locale, in cui il differente sentire circa la libertà religiosa ed il conseguente riconoscimento del principio di laicità ha imposto un approccio diverso, in cui gli organi dediti alla garanzia dell’ordine costituzionale, come le Corti, sono diventati i promotori di una convergenza tra la garanzia dei diritti e la cultura giuridica locale.

La forza degli esponenti islamisti degli ultimi decenni ha evidenziato come la ricerca della restaurazione del potere e dello Stato islamico sia possibile. Anche laddove sono state previste libere elezioni, i poteri autocratici non hanno permesso che la sovranità del popolo potesse essere completamente rappresentata. In quei sistemi, viceversa, in cui alla competizione elettorale sono stati ammessi partiti islamisti, è stata dimostrata la forte popolarità di questi, dovuta sia ad una forma di protesta che alla delusione nei confronti del modello occidentale. Tale “successo” è stato ottenuto in particolar modo durante le elezioni che si sono svolte dopo le rivolte che hanno caratterizzato la regione dal 2010 in poi. Tuttavia, dove i movimenti islamisti hanno avuto la possibilità di governare, il risultato, per diversi motivi, è stato deludente.

Lo scontro tra queste due fazioni – islamisti e laici – è presente anche nel contesto libico. Mentre durante il regime di Moammar Gheddafi i movimenti di ispirazione islamista erano costretti ad una vita clandestina, dal 2011 – anno della caduta dell’ex capo di Stato – sono diventati un elemento attivo nella costruzione della nuova Libia.

La “rivoluzione di febbraio” non è stata una rivoluzione degli islamisti, come tanti osservatori hanno invece creduto, tuttavia tale movimento ha svolto un ruolo significativo nel portare alla caduta del precedente governo. Da qui, l'Islam e la richiesta di uno Stato di diritto islamico sono diventati un tratto distintivo della rivoluzione e delle revisioni rivolte al sistema-Paese e al sistema legale della Libia. Il successo della rivoluzione è stato seguito da un rafforzamento del ruolo della legge islamica nelle immediate fasi successive agli eventi. I segni di ciò sono visibili all’interno della Dichiarazione costituzionale dell'agosto 2011 (in vigore ancora oggi), dove la legge islamica risulta essere la principale fonte di legislazione, nel rilancio della figura del Dar al-Ifta con una legge che vieta il dibattito pubblico sulle sue fatwa e obbliga tutti a rispettarle, e sul fatto che l'attuazione della Shari’a sia diventata una richiesta pubblica sposata non solo dagli islamisti ma da una buona parte della popolazione. Negli anni successivi, gli sforzi per islamizzare le leggi non hanno mantenuto lo stesso ritmo della prima fase e la scissione politica nel Paese (Est e Ovest) ha rappresentato una svolta importante in questo senso.

Ripristinare la sicurezza nel Paese nordafricano, devastato dal conflitto civile ultradecennale, è una delle principali sfide dei leader libici, ma anche della comunità internazionale. La stabilizzazione dovrà passare per forza di cose dalle urne elettorali, ma senza non prima aver risolto le criticità strutturali che ne stanno impedendo la riuscita. Tra queste, la nuova Costituzione è uno dei punti su cui le due fazioni rivali non riescono a trovare un accordo che possa permettere la nascita di un quadro giuridico valido attraverso cui far confluire le varie fasi del processo democratico. La Costituzione, come già detto, è un documento fondamentale che cerca di definire il patto sociale tra lo Stato e il suo popolo. Di conseguenza, la riforma costituzionale nel caso libico, così come in tutti quei Paesi oggetto di una transizione politica, segnala il passaggio dall'autoritarismo (di Gheddafi) ad una nuova Libia democratica. Come del resto in passato era avvenuto per la transizione dal colonialismo all'indipendenza. L'elaborazione della Costituzione durante tali periodi, provocata da una rivoluzione politica o da un conflitto civile, viene definita costituzionalismo di transizione. Lo scopo in tale fase è quello di definire i poteri dello Stato e i diritti dei cittadini, creare un sistema politico nazionale e rafforzare la stabilità del Paese. È necessario che tale processo sia il più partecipativo possibile, che implichi una partecipazione pubblica e una trasparenza diffusa. Nel caso libico è evidente come i tratti distintivi della costituzione partecipativa – processi aperti, trasparenti, pubblici e inclusivi – siano vincolati alla divisione politica che si è creata con il conflitto civile. Il processo per la redazione della nuova Costituzione è diventato un altro luogo di battaglia, in cui le due fazioni sfruttano il processo per promuovere i propri obiettivi. In tale condizione le possibilità di esacerbare piuttosto che riconciliare il conflitto sono molto elevate, e gli eventi libici lo stanno dimostrando.

Il progetto costituzionale determinerà il futuro del Paese, dell’intero sistema statale, dei suoi principi fondanti e le relazioni tra i rami del potere: legislativo, esecutivo e giudiziario. Indire un referendum al fine di approvare la nuova bozza è uno step necessario prima dello svolgimento delle elezioni. Il voto referendario ha lo scopo di consentire ai libici stessi di discutere i principi del nuovo progetto e decidere, al momento del voto, se accettarlo o meno. Un dibattito pubblico sulla nuova Carta sarebbe auspicabile in termini democratici, ma richiederebbe molto più tempo e più organizzazione all’interno del Paese. Inoltre, lo zelo dei due organi legislativi al momento in carica, la Camera dei Rappresentanti (HoR) e l’Alto Consiglio di Stato (Hcs), ha sollevato diversi dubbi e sospetti nei diversi ambienti libici e internazionali. Il progetto in cantiere, la cui ultima bozza risale al 2017, prevede una forma di governo presidenziale, dove i poteri del Capo di Stato sono ampi e il decentramento è limitato. Ciò ha innescato le proteste dei gruppi minoritari presenti nel Paese, come gli Amazigh, i Tebu e i Tuareg. L’attuale bozza ha tradito le aspettative di tali minoranze e, ad oggi, non sembra ci sia margine per una maggiore autonomia rispetto al passato. Inoltre, il draft solleva preoccupazioni per ciò che concerne il sistema statale e la salvaguardia dell’ordine democratico, con il pericolo – secondo le osservazioni di alcuni esperti di diritto – che si possa ricadere in un regime dalle sfumature oppressive. Altri dubbi riguardano gli apparati di sicurezza: mentre esercito e polizia sarebbero soggetti all’autorità civile, non si fa menzione del comandante in capo, così come dei servizi segreti. Ancora, sebbene la Costituzione richieda l'istituzione di un Consiglio Superiore della Magistratura e di una Corte Costituzionale come le più alte giurisdizioni sulle questioni in materia, non viene fatta alcuna menzione sulla loro composizione o meccanismo di nomina. Tale vuoto lascia il quadro giudiziario vulnerabile per essere sfruttato dai gruppi politici in futuro. Il documento è stato approvato dalla Constitution Drafting Assembly (CDA), eletta nel 2014, ma respinto dall’HoR, che a sua volta nel 2018 ha approvato una legge referendaria. Alla data in cui viene scritto il presente contributo, i rappresentati di HoR e Hcs – riuniti al Cairo, sotto l’egida delle Nazioni Unite – hanno raggiunto un compromesso su circa il 70% della bozza. Un segnale positivo date le difficoltà e le tempistiche con cui tale dialogo è costretto a misurarsi. Tuttavia, il traguardo appare ancora molto distante e l’ombra del conflitto militare non è ancora svanita completamente.

In conclusione, la Libia è chiaramente un caso complesso che combina le sfide del processo costituzionale in un contesto di transizione da un regime autoritario, un conflitto civile ultradecennale e una società divisa, a cui si aggiunge la mancanza di un’identità nazionale. Mentre elaborare una Costituzione in una sola di queste situazioni sarebbe estremamente difficile, affrontare tutte queste complessità insieme sembra quasi un'impresa impossibile. Se la bozza finale sarà sottoposta a un referendum, rivista prima dell'adozione o modificata in una fase successiva, le restanti questioni discusse e le preoccupazioni dei suoi detrattori dovranno essere affrontate affinché la Costituzione sia valida e trovi il più diffuso consenso possibile. Ma, come si evince dagli eventi degli ultimi anni, le questioni controverse non sono tecniche, ma politiche e come tali necessitano di un accordo. Un compromesso più urgente che mai per costruire un futuro stabile per la Libia e, soprattutto, per i libici.