L’ idrodiplomazia per una pace sostenibile nel Mediterraneo allargato
L’acqua è da sempre un elemento fondamentale per la vita, non solo in quanto creatore e aggregatore di comunità ma anche come luogo di incontro e di scontro tra popolazioni altre. Ormai vengono utilizzati categorie come “idropolitica”, “geopolitica dell’acqua” e “idrodiplomazia”, che indicano in qual misura questo elemento connoti molteplici aspetti della convivenza umana. La crisi climatica che il mondo sta affrontando eleva l’acqua a risorsa controllabile da uno o più attori - siano essi stati, imprese o altro - , esaltandone – in tal modo - il carattere di bene di scambio rispetto a quello patrimoniale, ovvero di bene comune da condividere.
Secondo il biologo e attivista politico statunitense Barry Commoner in natura ogni cosa è connessa con qualsiasi altra. Il fattore “acqua” è connesso con tanti altri aspetti ambientali e socioeconomici e la sua complessità emerge visibilmente quando si tratta di gestirne la scarsità, soprattutto in contesti con un tasso di crescita elevato come in alcuni stati africani. L’inefficiente e insufficiente apporto della risorsa idrica potrebbe determinare situazioni insostenibili interne ai paesi da un punto di vista sociale ed economico. Alle problematiche interne si aggiungono le rivalità tra Stati che condividono risorse idriche, in qualche caso risolte attraverso accordi interstatuali.
La ricerca di una gestione condivisa delle risorse del bacino del Nilo sta creando forti attriti in Africa e vede coinvolti Egitto, Sudan ed Etiopia nella disputa sulla diga del Grande Rinascimento Etiope, GERD – così definita nell’acronimo in inglese – situata nella regione etiope di Benishangul-Gumuz, a pochi chilometri dal Sudan e destinata a operare sul Nilo Azzurro, affluente del Nilo dal quale affluisce più dell’80% delle acque che giungono in Egitto.
Il Nilo è sempre stato descritto come sacro, fondamentale per la cultura egiziana e indissolubilmente legato alla sua nascita e al suo sviluppo. Negli ultimi anni qualcosa sembra essere cambiato. Il poeta egiziano Hisham Al-Jakh (1978) scrisse in una poesia dal titolo “Joha” alcuni versi che riflettono l’attualità della crisi idrica egiziana ma anche dei paesi limitrofi. Egli affermò “What does it mean Egypt is the “gift of the Nile”/If every day I can’t find water to drink within a mile” (“Cosa significa che l'Egitto è il "dono del Nilo"/Se ogni giorno non riesco a trovare acqua da bere nel raggio di un miglio”). Questa frase offre una rappresentazione di come il Nilo stia perdendo la sua funzione di ganglio vitale per il sostentamento della popolazione e delle attività economiche, diventando motivo di critica verso la gestione statale delle acque nilotiche.
L’avvio della costruzione della GERD – nel 2011 – è stata considerata dall’Egitto come una minaccia alle sue risorse idriche e le conseguenze che la scarsità d’acqua comporterebbe sono considerate rilevanti per la sicurezza nazionale. Fonti etiopi hanno sempre sottolineato come quest’opera non avrebbe impatti negativi nella quantità di acqua del Nilo e apporterebbe un aumento del 150% della produzione etiope di energia. La disputa principale sulla GERD consiste nel fatto che, da un lato Egitto e Sudan vorrebbero un accordo vincolante tra le parti rispetto ai meccanismi di gestione della diga per mettere al sicuro quelli che vengono definiti come “diritti storici” nello sfruttamento delle acque del Nilo. Di contro, l’Etiopia non vorrebbe che gli obblighi relativi alla gestione delle acque nilotiche siano ancora determinati da accordi stipulati durante il periodo coloniale e vorrebbe non avere dei vincoli nella gestione di una struttura che ritiene fondamentale per lo sviluppo del proprio territorio.
La gestione delle acque del bacino si basa su accordi del secolo scorso. I più rilevanti ai fini della distribuzione delle quote di acqua sono quelli tra Gran Bretagna ed Egitto (1929) e con il Sudan (1959) grazie ai quali ai due paesi africani spetta più dell’80% delle acque del Nilo. Il percorso verso la cooperazione sembrava poi essere tracciato da due progetti del 1993 e del 1999. Con il primo, all’interno del Cairo Cooperation Framework, l’Egitto e l’Etiopia si impegnavano a non implementare dei progetti idrici che potessero arrecare danni all’uno o all’altro stato. Il secondo è stato l’Iniziativa per il Bacino del Nilo, una partnership intergovernativa tra i paesi che condividono le sue acque con l’obiettivo di raggiungere uno sviluppo sostenibile gestendo in maniera equa le risorse idriche del bacino.
L’idillio si interruppe nel 2010 con l’Accordo di Entebbe (Cooperative Framework Agreement) per la revisione delle quote di sfruttamento del Nilo, ratificato da Etiopia, Ruanda e Tanzania, firmato ma non ratificato da Burundi, Kenya e Uganda e mai firmato da Egitto e Sudan. Secondo questi ultimi, la previsione del voto a maggioranza all’interno degli organismi di controllo avrebbe consentito ai paesi a monte del Nilo di avere maggior peso nelle votazioni, andando così a sacrificare gli interessi degli stati a valle. Nel frattempo i lavori di costruzione della GERD iniziarono e con essa diversi tentativi – falliti - di accordo tra Egitto, Etiopia e Sudan sulla sua gestione, dapprima tra loro e poi con il supporto di mediatori internazionali come gli Stati Uniti.
Dal lato africano, nel 2021 Egitto e Sudan hanno rafforzato la loro partnership siglando un accordo di cooperazione militare e al contempo hanno chiesto la mediazione di un quartetto internazionale che includesse Stati Uniti, le Nazioni Unite, l’Unione Europea e l’Unione Africana per arrivare a una soluzione condivisa sulla GERD. L’Etiopia ha rifiutato l’intervento internazionale riconoscendo solo all’Unione Africana il ruolo di mediatore.
Gli affari africani dovevano, insomma, rimanere tali. Ma è davvero per tutti così?
Non ne sono convinti gli attori del Golfo e la Turchia che negli ultimi anni si sono proposti come mediatori nella disputa. Dal 2021 lo scontro sulla GERD sta offrendo nuove strategie diplomatiche da parte di alcuni attori del Mediterraneo allargato. Essi si trovano davanti ad alcune questioni da affrontare. Da un lato la preoccupazione che eventuali disordini nell’Africa nord orientale si ripercuotano su tutto il Mediterraneo allargato. Dall’altro la considerazione che una mediazione efficace possa spostare gli equilibri geopolitici dell’area e definire nuovi ruoli egemonici.
La soluzione diplomatica di questa controversia non dovrà però fare a meno della partecipazione della società civile. La gestione delle risorse idriche e gli aspetti socio-economici a essa correlate devono essere condivise primariamente all’interno degli stati per cercare nuove modalità di riorganizzazione della vita economica e sociale. I contesti autoritari potrebbero non accordare un tale ruolo ad attori non statali e, per questo, una mediazione diplomatica potrebbe facilitare tali processi. Il prossimo novembre la Conferenza mondiale sul clima si terrà a Sharm el-Sheikh, in Egitto. Potrà essere la sede per riprendere a parlare di negoziati sulla GERD inserendo la questione all’interno del discorso più ampio su lotta ai cambiamenti climatici e sugli effetti sociali della sicurezza idrica? Sarebbe auspicabile, perché una risoluzione di questa situazione potrebbe rappresentare un esempio di come l’idrodiplomazia possa davvero favorire la costruzione di luoghi di pace sostenibile.